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17 Maggio 2023
9:00

La storia di Cinzia: “Quel giorno che mio figlio mi ha detto: Mamma, sono gay…”

La lotta all'omofobia passa dalla conoscenza. Parola di Cinzia, madre e vicepresidente di Agedo che ha dovuto affrontare un percorso d'accettazione per rendersi conto che la felicità dei propri figli rimane ben più importanti delle aspettative di un genitore.

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La storia di Cinzia: “Quel giorno che mio figlio mi ha detto: Mamma, sono gay…”
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Quando il figlio quindicenne dichiarò che aveva un annuncio da fare, Cinzia pensò subito a qualche disavventura scolastica.

Il ragazzo ogni tanto incappava in qualche inciampo scolastico e quella sera sembrava doversi liberare di un grande peso.

«Non riusciva a dire quello per cui ci aveva riuniti. Pensavamo volesse comunicarci un brutto voto. Poi, dopo qualche sollecitazione si decise: “Mamma, papà – disse – io sono gay»

Immediatamente calò il silenzio. Cinzia non si era mai pensata come una mamma all'antica, ma in quel momento capì immediatamente di non essere pronta a quello che aveva appena ascoltato.

La tradizione, la società, i discorsi quotidiani di amici e parenti alla fine condizionano il nostro modo d'immaginare il futuro e in quel momento tutte le convinzioni di una madre si stavano dissolvendo di fronte ad una rivelazione inaspettata.

«Mio figlio aveva aspettato l’11 ottobre, la Giornata Mondiale del Coming Out, per fare la sua dichiarazione ufficiale ed “uscire dall’armadio” in cui teneva nascosta la sua omosessualità – ci ha raccontato – In quel giorno, tutto d’un tratto si è liberato di questo macigno che portava dentro e lo ha passato a me e mio marito».

Questo "giorno del suo coraggio" – come tutt'ora ama ricordarlo – non è stato però la fine per Cinzia e la sua famiglia, ma un nuovo inizio. Certo, i primi tempi furono piuttosto complicati, ma dallo sconforto iniziale Cinzia è riuscita a rinascere con nuove certezze e un rinnovato amore.

Oggi questa mamma è Vice Presidente di Agedo Milano – associazione con 33 sedi in Italia e che dal 1993 accompagna aiuta genitori, parenti e amici di persone LGBTQIA+ a superare iniziale di disagio e pregiudizi dopo il coming out dei figli – e ha condiviso con Wamily la sua bellissima storia per lanciare un messaggio: la diversità è solo negli occhi di chi guarda.

La storia di Cinzia

Cinzia è diventata madre piuttosto tardi grazie all'adozione ma si è sempre considerata una mamma decisamente fortunata: normalmente i tempi dell'adozione sono biblici, eppure suo figlio le arrivò in braccio quando aveva appena 20 giorni.

«Fin da piccolo mio figlio ha sempre saputo di essere stato adottato, da subito ha fatto i conti con la sua storia e i suoi vuoti, è cresciuto fiero e sereno, senza nasconderci mai nulla reciprocamente eppure oggi quello che mi rattrista è saperlo solo in tutto quel periodo in cui scopriva il suo orientamento sessuale»

Il coming out è stato un fulmine a ciel sereno?

Gli unici dubbi che avevamo erano dettati da pregiudizi e stereotipi: non giocava a calcio, non amava gli sport tradizionalmente maschili, ogni tanto da bambino voleva giocare con le bambole… Tutte cose che in realtà sono normalissime e non sono indicatori di nulla. Anzi, aveva avuto anche una fidanzata, ma quello probabilmente è stato il momento che lo ha aiutato a comprendere di non nutrire alcuna attrazione per l’altro sesso.

Cosa accadde dopo questa rivelazione?

Ci fu solo del silenzio. Per quanto non mi sentissi una mamma all’antica, fu davvero un colpo. Quella sera non sono riuscita a dirgli nulla. Non sono riuscita nemmeno ad abbracciarlo. Sono stata in silenzio perché in certe occasioni, parlando puoi sbagliare molto. In quel momento stavo vivendo il giorno più brutto della mia vita. Oggi, con la consapevolezza di oggi, credo invece sia stato uno dei giorni migliori, perché mi hanno trasformato in una persona più aperta e più libera.

Dopo quanto hai iniziato a metabolizzare?

Ci è voluto del tempo. I genitori non sono dei supereroi, hanno tutte le paure di un genitore: l’amore per mio figlio mi ha spinto a trovare delle risorse dentro di me per farcela. Ho passato tante notti insonni tra pianti e domande: "dove avrò sbagliato? Quali sono state le mie colpe? E ora cosa faccio?" C’era anche del senso di vergogna, ma tutto era dovuto agli stereotipi con cui cresciamo.

In che modo la società influisce ancora oggi sulla percezione dell’omosessualità?

Io sono nata e vissuta in una società eteronormata, dove la lente con cui si misura il mondo è solamente l’eterosessualità. Questo ci porta ad alimentare delle aspettative sui nostri figli e io stessa mi ero ormai fatta un film ben delineato su ciò che avrei voluto per mio figlio: un matrimonio con una bella ragazza, dei figli, dei nipoti. Erano però i miei sogni, non i suoi.

Come sei riuscita ad intraprendere il tuo percorso di auto-accettazione?

All’inizio i sensi di colpa ci sono stati eccome: sarò stata troppo permissiva? Avrà commesso errori educativi? Un giorno però mi sono detta «basta piangere, informiamoci». Quello dell'omosessualità era dopotutto un mondo pressoché sconosciuto. Non perché ne fossi ostile, ma perché mi appariva estraneo, non me ne ero mai occupata prima. In questo passaggio è stato importantissimo l'incontro con l'associazione AGEDO.

In che modo la condivisione ti è stata d'aiuto?

Nell'associazione ho trovato genitori fantastici che avevano già passato quello che io stavo provando riuscendo a superare il loro disagio. Erano in grado dunque di raccontare la loro esperienza e condividere le risorse che avevano messo in campo per accogliere il coming out dei figli. È stato importantissimo per me rendermi conto che non ero sola. Non mi sentivo più unica e isolata in un mondo a parte, ma sentivo che tante altre persone stavano affrontando la stessa cosa.

Quanti ci hai messo per elaborare il tutto?

Per fortuna dopo pochi mesi dal primo shock la voglia d’informarmi e conoscere mi ha aperto gli occhi e la mente. Più vuoi capire, più vuoi entrare in questo mondo, meglio riesci a comprendere. Ho un’amica che lavora nel mondo della moda e che allora tempestai di domande. Le sue risposte sono state fondamentali per riportare alla normalità tutte le mie obiezioni: «e se non trova un ragazzo? E se poi si lascia?». «Quante coppie etero si lasciano ogni giorno – mi rispondeva -Quale sarebbe la stranezza?».

Quale consapevolezza hai raggiunto?

Ho compreso che i nostri figli devono essere felici, non farci felici.

Cosa ti rimane quando ripensi a quei momenti?

Oggi mi rimane tanta rabbia per aver lasciato mio figlio gestire da sola quella fase del silenzio. Mi dico che se me ne fossi accorta prima anche lui si sarebbe liberato prima di quel peso. Mi rimane anche un bel po' di paura, paura di un mondo che non è ancora pronto e in cui se mio figlio va in giro con il fidanzato rischia di essere insultato, discriminato o peggio.

In queste situazioni qual è la miglior forma di supporto che possiamo dare ai nostri figli?

Essere aperti, lasciar parlare i propri figli e saperli ascoltare.

Qual è una cosa che proprio non ti va giù della retorica sull’omosessualità?

Che sia una moda, qualcosa che si scelga. E tante persone ahimè lo pensano davvero, senza cattiveria. E poi quando dicono che si tratta di una malattia. Lì sfodero tutte le nozioni acquisite e le ricerche scientifiche a riguardo. Il mio impegno è tutt’ora rivolto affinché figli e genitori possano costruire un futuro sempre più inclusivo, lottando per abbattere tutte le barriere di disuguaglianza basate sull’orientamento sessuale e identità di genere.

Un tempo avevi certe aspettative per tuo figlio. Ora cosa ti auguri?

Che sia libero di essere se stesso.

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Niccolò De Rosa
Redattore
Dagli studi umanistici all'esperienza editoriale, sempre con una penna in mano e quel pizzico d'ironia che aiuta a colorare la vita. In attesa di diventare grande, scrivo di piccoli e famiglia, convinto che solo partendo da ciò che saremo in grado di seminare potremo coltivare un mondo migliore per tutti.
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