Dura da ormai quasi due settimane lo sciopero della fame di Elena Improta, la madre battagliera che da quasi trent'anni lotta nei tribunali per cercare la verità sulle cause che portarono il figlio Mario a nascere affetto da tetrapresi spastica, una grave forma di paralisi che colpisce i muscoli volontari e impedisce i corretti movimenti di tutti e quattro gli arti.
Secondo la 60enne romana, all'origine dell'ischemia cerebrale che ha distrutto la vita del figlio ci sarebbe infatti la negligenza dei medici della clinica in cui avvenne il parto, responsabili di aver provocato le condizioni per una mancanza d'ossigeno e sangue al cervello del nascituro che ne danneggiò irreparabilmente le funzioni motorie.
Dopo oltre 27 anni dall'inizio del contenzioso però, i giudici si sono espressi contro le accuse di Elena: secondo la sentenza la paralisi di Mario fu sì causata da una sofferenza ipossico-ischemica (ossia un mancato afflusso di ossigeno al cervello), ma non fu il personale medico il diretto responsabile di questa fatalità.
Un duro colpo per Elena, reso ancora più gravoso dal maxi-risarcimento di 276mila euro comminato per coprire le spese legali. Da qui la decisione d'iniziare a smettere di nutrirsi come estrema forma di protesta verso un provvedimento insostenibile.
Da 34 anni infatti Elena vive condizionata dalla necessità di badare alle numerose (e dispendiose) esigenze del figlio tetraplegico, il quale non parla, non cammina e non può provvedere in autonomia a nessuna funzione vitale che non sia respirare o ingerire ciò che che gli viene portato alla bocca.
«Stiamo aspettando la definizione ufficiale degli avvocati» ha dichiarato la donna al quotidiano La Nazione, spaventata anche dalla prospettiva di dover chiudere la "Casa di Mario", un progetto fondato dall'onlus Oltre lo Sguardo – da lei stessa fondata – per dare ricovero e assistenza alle famiglie con ragazzi affetti da gravi disabilità.
Non è un segreto infatti che in molti casi le tutele e gli aiuti erogati dallo Stato riescano a coprire solo una piccola parte dei costi sostenuti per terapie, attrezzature e assistenza delle persone colpite da pesanti handicap fisici e neurologici e per questo spesso sono proprio le associazioni e gli enti benefici a fornire un supporto decisivo per i tanti genitori in difficoltà.
Le prospettive però non sembrano essere rosee. Villa Mafalda – la clinica con la quale Elena era in causa – ha infatti rigettato qualsiasi forma di conciliazione, rifiutandosi categoricamente di accettare una riduzione del risarcimento per le processuali e concedendo solamente la possibilità di dilazionare i pagamenti.
Ora Elena si augura che volontario e preti da tempo interessati alla sua realtà possano aiutarla a raccogliere i fondi necessari ad affrontare il salasso, ma il tempo per la protesta non potrà protrarsi molto a lungo.
L'assenza di alimentazione sta infatti minando gravemente la salute di questa madre guerriera e i medici le hanno già riscontrato un principio di sofferenza renale.
Elena intanto spera, lotta e si prende cura del suo Mario. Come ha sempre fatto da 34 anni a questa parte.