La villocentesi è una delle tecniche di diagnosi prenatale, che consiste nel prelievo di una piccola quantità di villi coriali. Il prelievo dei villi coriali avviene per via trans-addominale o trans-cervicale. Si tratta, infatti, di un esame invasivo che si effettua tra la decima e la tredicesima settimana di gravidanza, solo in seguito a sospetti o evidenze di malformazioni o malattie cromosomiche del feto.
I villi coriali vengono ispezionati perché sono propaggini della placenta, che (proprio come la placenta stessa) contengono sia il sangue materno sia quello del feto, e dunque il suo patrimonio genetico. Analizzandone i cromosomi sarà possibile avere conferme o smentite riguardo eventuali malattie del feto, principalmente metaboliche o cromosomiche, come la Sindrome di Down (o trisomia 21), di Patau (o trisomia 13), di Edwards (o trisomia 18) e altre patologie genetiche.
L’esame come già detto è invasivo, ma vi sono tanti falsi miti ed eccessive paure a riguardo. La percentuale di aborto dovuta all’esame, infatti, se eseguita da operatori esperti, è di circa l'1%. E' comunque normale che il sospetto di una malattia fetale ci spaventi, anche e soprattutto perché ci hanno sempre raccontato la gravidanza come un periodo meraviglioso della vita.
A cosa serve la villocentesi
La villocentesi analizza i villi coriali che si trovano nella placenta e forniscono ossigeno e nutrimento al feto. Nella villocentesi ne viene prelevato e analizzato un campione, perché i villi presentano il corredo cromosomico del feto (oltre a quello della mamma). Così si possono individuare eventuali malattie cromosomiche, tra cui:
- La Sindrome di Down (o trisomia 21), che comporta l’aspetto caratteristico e disabilità intellettiva di vario grado. La prevalenza varia tra 1 e 5 casi su 10 000.
- La Sindrome di Edwards o (trisomia 18), comporta un ritardo nello sviluppo pre e post natale con malformazione di cranio, arti e organi interni. La sopravvivenza dopo la nascita è molto rara. L'incidenza è stimata in circa 1/6000-1/8000 nati.
- La Sindrome di Patau (o trisomia 13), comporta delle malformazioni anatomiche significative che, nella maggior parte dei casi, comportano un aborto spontaneo o la morte prematura dopo la nascita. L'incidenza è stimata in circa 1/8.000- 1/15.000 neonati.
- Altre malattie genetiche (con richiesta specifica): per esempio la fibrosi cistica, la distrofia muscolare di Duchenne, la sindrome di Werding-Hoffmann e la sordità congenita.
Come si esegue la villocentesi
Due sono le modalità con le quali la villocentesi può essere realizzata. A scegliere quella più adatta ad ogni futura mamma è il ginecologo, in base al posizionamento del piccolo nella pancia, che viene controllato all’inizio dell’esame tramite un’ecografia.
Ecco quali sono le due tipologie di villocentesi:
- Villocentesi transaddominale: questa è la modalità utilizzata più di frequente, il medico disinfetta la pelle della pancia della futura mamma e utilizza un anestetico locale per rendere meno fastidioso l’inserimento dell’ago nella pancia. Nel frattempo è in corso un’ecografia, la cui guida permetterà all’operatore di inserire il sottile ago lungo circa 12 centimetri, attraverso l’addome e l’utero, fino al raggiungimento del corion frondosum, un tessuto posto alla base della placenta, nel quale si trovano i villi coriali. A questo punto viene prelevato un campione di villi e si rimuove l’ago.
- Villocentesi transcervicale: in questo caso l’esame si svolge passando attraverso la vagina e il collo dell’utero. Viene utilizzato, come per il pap test, lo speculum (uno strumento di metallo o di plastica) per mantenere aperte le pareti della vagina e visualizzare il collo dell’utero. Anche in questo caso contemporaneamente viene svolta un’ecografia che funge da guida nell’inserimento di un cateterino collegato ad una siringa. Lo strumento sale attraverso la vagina e il canale cervicale, che sono stati precedentemente disinfettati, raggiunge la sede dei villi e preleva un campione di tessuto.
Al termine della villocentesi (che sia eseguita nella prima o nella seconda modalità) sempre tramite l'ecografia si controlla la regolarità del battito cardiaco del feto.
L’intero esame non dura molto: il tempo necessario per prelevare il campione di tessuto si aggira tra i 10 e i 15 minuti. A questo segue poi una breve fase di osservazione di mamma e feto.
Quando fare la villocentesi
Dato che si tratta in ogni caso di un esame invasivo, la villocentesi va effettuata solo in seguito alle indicazioni di un professionista. Innanzitutto, per diminuire il rischio di aborto, può essere eseguita solamente tra la 10ma e la 13esima settimana di gravidanza, quindi qualche settimana prima rispetto all’amniocentesi, che invece si fa tra la quindicesima e la ventesima settimana.
Diversi sono i casi in cui il medico potrà prescrivere il test:
- A seguito degli esiti di esami di screening non invasivi per accertamenti relativi alle anomalie cromosomiche: translucenza nucale e dosaggio su sangue materno di proteina plasmatica A e Beta-hCG.
- Dopo il test del DNA fetale che riporti anomalie cromosomiche.
- Quando durante un’ecografia si riscontrano anomalie o malformazioni del feto.
- Nel caso in cui si abbia già un figlio affetto da una qualche malattia genetica.
- Quando la mamma ha un’età superiore ai 35 anni.
- Quando uno dei genitori ha un’alterazione cromosomica o quando entrambi o uno dei due è portatore sano di malattie come l’emofilia, la fibrosi cistica, l’anemia mediterranea, la talassemia, la distrofia di Duchenne.
I rischi della villocentesi
I rischi legati alla villocentesi dipendono fortemente dal grado di esperienza di chi effettuerà l’esame. Come già detto, in generale, il rischio di aborto a causa del test, se questo viene eseguito da un operatore esperto, è circa dell’1%.
Se la villocentesi viene effettuata troppo presto potrebbe causare, come indicato dalle linee guida dell’ISUOG, società Internazionale di Ecografia Ostetrica e Ginecologica, difetti degli arti del bambino e ipoplasia mandibolare. Tuttavia gli studi che hanno riscontrato questa coincidenza richiedono certamente alcuni approfondimenti.
L’ago, poi, se l’ambiente non è stato accuratamente sterilizzato, può trasmettere un’infezione al feto.
Un alto rischio si registra anche quando la mamma è Rh negativa e il bambino Rh positivo, situazione che si verifica solo se il papà è Rh positivo. A seguito dell’esame i globuli rossi della mamma potrebbero entrare in contatto con quelli del feto. L’organismo materno, però, riconoscerebbe i globuli del piccolo come corpi estranei, tentando di eliminarli. Per questo viene proposta la profilassi anti-D (eseguibile entro 72 ore dall’esame): la mamma assume così delle immunoglobuline che impediscono la distruzione dei globuli del piccolo.
Ovviamente a incorrere nei rischi non è solo il bambino: l’esame è invasivo, perciò al termine si consigliano alla mamma due o tre giorni di riposo. È importante non sollevare pesi, non fare movimenti azzardati e astenersi da rapporti sessuali.
Nel caso in cui si manifestassero perdite molto abbondanti di liquido amniotico o di sangue, febbre e brividi, è bene recarsi al più vicino pronto soccorso ostetrico.
La villocentesi è dolorosa?
Attenzione a non confondere il termine “invasivo” con il termine “doloroso”. La villocentesi come già detto può essere definita un esame fastidioso, ma non doloroso.
La sensazione di fastidio è molto simile a quella che si prova durante il pap-test.
Per chi esegue l’esame secondo la modalità trans-addominale, l’anestesia evita il dolore della siringa al bucarsi della pelle. Anche in questo caso la sensazione paragonabile a un pizzicotto, che si prova nel momento in cui l’ago buca la cute e in alcuni casi piccoli crampi localizzati alla muscolatura dell’utero.
Villocentesi o amniocentesi?
L’amniocentesi, come la villocentesi, è un esame diagnostico prenatale invasivo, che permette di conoscere prima della nascita del piccolo eventuali anomalie genetiche o malattie infettive. La diversità tra i due esami inizia dal tessuto analizzato: i villi nel caso della villocentesi, il liquido amniotico, e in particolare le cellule fetali che vi sono contenute, nel caso dell'amniocentesi.
Differente è anche la tempistica: la villocentesi può essere effettuata prima, tra la decima e la tredicesima settimana, mentre l’amniocentesi tra la 15esima e la 20esima, salvo casi eccezionali. I risultati della villocentesi, poi, arrivano prima rispetto a quelli dell’amniocentesi.
L’amniocentesi è suggerita nei casi in cui la villocentesi dovesse aver dato dei risultati incerti, per scongiurare eventuali casi di mosaicismo placentare (cioè quella particolare situazione in cui solo una parte delle cellule risulta alterata a livello della placenta, con un feto che potrebbe anche essere completamente sano)
In ogni caso è bene farsi accompagnare nella scelta da uno specialista, che indirizzi verso l’uno o l’altro esame, a seconda dello specifico caso.
Quelle mediche non sono le sole differenze tra i due esami. Infatti anche per quanto riguarda il costo, la situazione cambia: l’amniocentesi ammonta tra i 700 e i 1000 €, mentre la villocentesi tra i 700 e i 1700 € a seconda della specificità del risultato che si vuole trovare. Il Sistema Sanitario Nazionale prevede, però, che le donne che presentino l’attestazione di un forte rischio di malattia genetica fetale, a prescindere dall’età, possano sottoporsi a entrambi gli esami gratuitamente.
Risultati della villocentesi e affidabilità
I tempi per l’arrivo dei risultati della villocentesi, a seconda della specificità della malattia ricercata, possono arrivare a 21 giorni. Se il risultato della villocentesi è negativo, significa che il feto non è colpito dalle malattie genetiche indagate, altrimenti sì. In quest’ultimo caso la coppia discuterà col medico a proposito della soluzione migliore, tenendo conto che l’interruzione di gravidanza in Italia è regolamentata dalla Legge 194/78, e deve seguire tempistiche prestabilite.
Come in tutti gli esami, possono verificarsi casi di falsa positività, stimati all’1%, e casi di falsa negatività stimati allo 0.04%, dovuti ad una mancata corrispondenza tra il patrimonio genetico delle cellule considerate e quelle del feto. In ogni caso, qualsiasi dubbio sarà risolto dall’amniocentesi.
E se la villocentesi fosse positiva?
Non c’è un modo giusto di reagire a una diagnosi che lascia poco all'interpretazione, decretando che il bambino ha una malattia cromosomica. Come già detto, oltre alle principali trisomie, la villocentesi indaga patologie come la Sindrome del cromosoma X fragile, che comporta un ritardo cognitivo, la distrofia muscolare di Duchenne, che porta un progressivo indebolimento dei muscoli che costringe il bimbo alla carrozzina e vede la sua prospettiva di vita non superiore i trent’anni.
La fibrosi cistica, è un’altra malattia genetica individuabile tramite la villocentesi che colpisce l’apparato respiratorio e quello digerente.
Consapevoli che nonostante la rarità di queste malattie, la villocentesi potrebbe confermarle, sentiamoci liberi di avere paura, dialoghiamo nella coppia e chiediamo aiuto oltre che ad un medico, ad uno psicologo se lo riteniamo necessario.
La medicina e la scienza fanno progressi di continuo, ed è bene attaccarsi alla speranza di una cura, ma nessuno si può permettere di giudicare la scelta fatta. Anche perché la decisione si prende sempre accompagnati da un medico.
Nessuno nasce pronto a fare il genitore, ed è normale pensare alla maternità o alla paternità come a momenti felici della propria vita. Quando una diagnosi incombe tutto sembra svanire e ci arrabbiamo, chiedendoci perché proprio a noi. Non sentirsi pronti ad affrontare tutto questo è normale, al pari di desiderare la nascita del bimbo ad ogni costo e di poterlo accompagnare nella crescita, lottando per un mondo che si faccia giorno per giorno più inclusivo e pronto ad accogliere.
Il consiglio dell'ostetrico
«Da operatori sanitari ci si sente spesso rivolgere dalle coppie la fatidica domanda: "Lei cosa farebbe al nostro posto?" .Non è sicuramente facile dare una risposta anche perché forse una vera risposta non c'è. Nessuna competenza medica, infatti, si potrà mai sostituire al vissuto personale di donne o coppie che, per le più svariate ragioni, possono desiderare di intraprendere o meno un percorso di diagnosi prenatale.Sicuramente comunque, lo screening offerto dai test prenatali non invasivi oggi può magari già essere considerato una modalità sufficiente per far accedere a percorsi diagnostici più avanzati solo quelle gravidanze che presentano un rischio di alterazione cromosomica più elevato».