“Fare meno, fare meglio”: questo dovrebbe essere il mantra della medicina. Eppure molto spesso è tutt’altro che così: anche il processo di cura è diventato, infatti, una vera caccia contro il tempo, perché travolto dalla frenesia della società. Ed è curioso perciò notare come questo si rifletta nella nostra vita in modo più consistente di quello che potremmo pensare: così due donne gravide che si incontrano a fare la spesa non avranno che da raccontarsi di quanto il ginecologo dell’una la visiti tutte le volte, quello dell’altra, invece, le faccia sempre l’ecografia; o quanto l’ostetrica della prima le dedichi ogni volta almeno un’ora e mezza, quella dell’altra, invece, le faccia fare esercizi di ogni genere.
Spesso siamo portati a pensare che più più saranno bravi: ma è veramente così?
Le evidenze scientifiche non sono d’accordo: ma partiamo affrontando un argomento alla volta. Cerchiamo di capire, prima di tutto, cos’è una visita ostetrica e chi la fa.
Cosa si intende per visita ostetrica?
Quando parliamo di visita ostetrica intendiamo una vera e propria presa in carico della paziente in gravidanza sia dal punto di vista della storia clinica sia da quello dell’evoluzione della gestazione, completa di interpretazione dei risultati degli esami ematochimici.
I livelli essenziali di assistenza, stabiliti dal Ministero della Salute, garantiscono che la successione di esami e controlli che vengono effettuati durante la dolce attesa mese dopo mese, sia più o meno equivalente su tutto il territorio nazionale (anche se qualche piccolo aspetto può subire delle variazioni a causa dell’autonomia di ogni singola regione).
All’incirca una volta al mese, quindi, ogni donna si reca dalla propria ostetrica o dal proprio ginecologo per fare il punto della situazione, valutare lo stato di salute e benessere propri e del bimbo dentro la pancia e capire gli step successivi da fare.
Ho parlato sia di ostetrica che di ginecologo: ebbene sì, è ormai assodato come entrambi questi professionisti siano abilitati per legge ad erogare delle visite ostetriche e, pertanto, a sorvegliare la corretta evoluzione della gravidanza.
L’unica differenza sta nel momento di deviazione dalla fisiologia: la gravidanza patologica, infatti, ricade nell’ambito di azione del ginecologo. All’interno del campo della fisiologia, invece, l’ostetrica si muove in piena autonomia e responsabilità e può quindi rispondere pienamente ai bisogni delle gestanti.
Cosa si fa durante una visita ostetrica?
Durante una visita ostetrica gli step sono diversi soprattutto a seconda dell’epoca gestazionale: la prima visita è di gran lunga la più accurata perché necessita di un colloquio approfondito necessario per raccogliere quante più informazioni rispetto allo stato di salute attuale e pregresso della donna, completo di notizie riguardanti la famiglia.
Eventuali patologie o malattie genetiche presenti nel nucleo familiare, infatti, potrebbero avere una componente ereditaria e necessitare di una attenzione maggiore da parte dei professionisti sanitari che effettuano la presa in carico.
Segue poi un momento dedicato all’informazione rispetto ai vari step della gravidanza, in modo particolare quello della diagnosi prenatale: la scelta per la coppia di aderire a test di screening o a diagnosi prenatale invasiva deve infatti essere formulata quanto più precocemente possibile, pena la possibilità di uscire dall’epoca gestazionale di riferimento utile e necessaria ad eseguire il tutto.
Non sono da considerare in secondo piano, poi, tutte quelle informazioni che possono riguardare alimentazione e stili di vita, sempre nell’ottica per cui “prevenire è meglio che curare”.
Le visite successive, invece, non dovendo ripetersi nelle informazioni già fornite in questa prima fase, si possono concentrare sulla valutazione degli esami ematochimici e della crescita del feto.
Questi aspetti sono ovviamente fondamentali perché rappresentano i parametri più significativi per decretare il buon proseguimento della gravidanza.
La visita interna
Molte volte con il termine “visita ostetrica” si fa riferimento alla sola esplorazione vaginale: quella che, propriamente, sarebbe la visita per manovre interne.
In pratica consiste nell’introduzione di due dita del professionista all’interno del canale vaginale con lo scopo di andare a valutare alcune caratteristiche della cervice uterina quali lunghezza, consistenza ed, eventualmente, dilatazione.
Se però questa manovra è necessaria per fare la diagnosi di travaglio e deve essere ripetuta più volte durante lo stesso allo scopo di valutarne la progressione è invece un errore pensare che, in assenza di sintomi sospetti (come dolore o perdite anomale), possa essere fruttuoso eseguire la visita per manovre interne ad ogni incontro durante i nove mesi di gravidanza.
Al contrario, l’esecuzione di questa procedura eseguita routinariamente, rischierebbe solamente di disturbare l’equilibrio della flora batterica vaginale: la misurazione della lunghezza del collo dell’utero andrebbe quindi riservata a dei momenti specifici durante l’arco della gestazione e non è assolutamente necessario eseguirla di continuo.
L’ecografia
Allo stesso modo le ecografie che le linee guida ritengono necessarie durante tutta la gravidanza sono due o al massimo tre:
- la prima serve a datare la gravidanza e, per le coppie che lo desiderano, anche a misurare la translucenza nucale (utile per eseguire il test combinato con l’aggiunta di un prelievo ematico);
- la seconda, conosciuta come morfologica, serve invece a monitorare la crescita del feto e, soprattutto, il corretto sviluppo anatomico
- la terza, infine, qualora fosse ritenuta necessaria, valuta ancora l’accrescimento con un ulteriore controllo dei principali organi fetali ma meno approfondito rispetto all’ecografia morfologica del secondo trimestre.
Quindi non è in alcun modo indispensabile (anche se sicuramente d’impatto, questo è innegabile) che il feto venga visionato ecograficamente ad ogni visita. La crescita, ad esempio, nelle gravidanze a basso rischio, riuscirebbe ad essere tranquillamente monitorata anche tramite la misurazione sinfisi-fondo, attuabile con un semplice metro da sarta: in sostanza l’utero potrebbe essere misurato esternamente dal suo punto più alto fino alla sinfisi pubica e ciò risulterebbe sufficiente per permette di valutare, assieme ad altri parametri, la normale evoluzione della gestazione.
Verso una giusta misura
Tutto questo è naturalmente ben lontano dal voler contrastare le infinite risorse che possono giungere dal progresso della medicina: fare meno non significa, infatti, tornare indietro nel tempo alla ricerca di tecniche della tradizione. Vuol dire, piuttosto, mirare a ridurre le azioni non necessarie con l’obiettivo di preservare un momento tanto delicato come quello di chi si appresta a diventare madre.
Non sarà quindi il numero di visite ed ecografie a definire il meglio per la nostra gravidanza quanto invece la qualità della presa in carico frutto dell’aggiornamento e delle linee guida.
Ad ogni mamma in dolce attesa il consiglio è quindi quello di cercare di vivere i nove mesi della gravidanza nel modo più sereno possibile. Non è un confronto a chi si controlla di più. Rimane invece un’unica importante raccomandazione: “fare meno, fare meglio”.