La funzione essenziale delle vitamine per il nostro organismo è una condizione ormai ben nota a tutti. Si tratta di molecole necessarie che tuttavia il nostro corpo non produce e che quindi devono per forza essere introdotte dall’esterno tramite l’alimentazione. La vitamina D, però, tra tutte rappresenta un’eccezione e, se anche in piccola parte viene introdotta attraverso la dieta, nella percentuale maggiore è prodotta proprio dal corpo umano in seguito all’esposizione della pelle al sole.
I raggi ultravioletti, infatti, trasformano un grasso simile al colesterolo già presente a livello cutaneo in vitamina D3 (una delle due forme disponibili di vitamina D assieme alla vitamina D2 che, invece, è di origine vegetale). La vitamina D prodotta nella pelle assieme a quella introdotta attraverso il cibo passano poi nel sangue dove si legano ad una proteina specifica che le trasporta ai diversi organi e tessuti pronte alle successive trasformazioni.
Vale la pena, inoltre, ricordare che la vitamina D fa parte del gruppo delle vitamine liposolubili: a differenza quindi di vitamine del gruppo B e C, che essendo idrosolubili non vengono accumulate nel corpo ma smaltite attraverso l’urina, la vitamina D che viene assorbita tramite il grasso, viene anche immagazzinata nell’organismo. Motivo in più per tenerne sotto controllo i valori ottimali: al rischio di livelli bassi, infatti, si aggiunge anche quello tossico legato all’eccesso di accumulo della vitamina stessa.
La funzione principale della vitamina D quella di favorire il processo di mineralizzazione dell’osso (attraverso un aumento di assorbimento di fosforo e calcio da parte dell’intestino). In tutte quelle condizioni di fragilità ossea, per età o patologia, o di formazione delle ossa stesse come nel caso del feto all’interno dell’utero, la vitamina D ha quindi un ruolo cruciale. Ma non è l’unico: questa molecola svolge anche importanti funzioni extra-scheletriche come contribuire al buon funzionamento del sistema immunitario.
È fondamentale, infatti, il suo ruolo per favorire l’attivazione della prima linea di difesa contro alcuni microrganismi patogeni. Inoltre ha una capacità significativa di controllare la risposta all’infiammazione facilitando l’attivazione di cellule apposite.
Perché la vitamina D è importante in gravidanza?
I motivi già citati rispetto all’importanza della vitamina D si riscontrano anche durante la gravidanza. La sua azione, tuttavia, parte già dal concepimento: durante il ciclo ovarico, infatti, questa molecola in simbiosi con estrogeni e progesterone aiuta il processo che rende l’endometrio (cioè il tessuto più interno dell’utero) più adatto ad ospitare l’annidamento dell’embrione.
La vitamina D, poi, per tutta la gravidanza sembra avere una azione simile a quella del progesterone visto che aumenta durante la durata dei nove mesi (e in questo ha un ruolo molto significativo la placenta che svolge un’azione importantissima di conversione della vitamina D nella sua forma “attiva” e quindi utilizzabile dal resto del corpo).
Questa crescita del fabbisogno di vitamina D a cui la donna va incontro durante la gravidanza e l’allattamento è dovuta al fatto che durante la gestazione il metabolismo stesso di tale molecola si modifica per far fronte ad una necessità maggiore di calcio, essenziale per la mineralizzazione dello scheletro del feto.
Il feto, infatti, dipende quasi completamente dalla madre per quanto riguarda i livelli di vitamina D: quindi per fornire al bimbo che si sta formando una quantità di calcio sufficiente a garantirne la crescita e lo sviluppo, senza penalizzare il corpo materno, è importante che durante la gestazione i livelli di vitamina D rimangano dentro i range di adeguatezza (secondo l'IOM, Institute of Medicine, la forma attiva di vitamina D in gravidanza deve essere superiore a 50nmol/L).
Cosa comporta la carenza di vitamina D in gravidanza
La conseguenza più nota di una carenza di vitamina D si riscontra nei bambini. Importanti insufficienze di questa molecola durante l’infanzia comportano infatti il rachitismo, una malattia caratterizzata da una difettosa mineralizzazione dell’osso, che lo rende più fragile e deformabile.
In gravidanza, invece diversi studi hanno associato un basso livello di vitamina D materna a esiti avversi della gestazione tra cui preeclampsia, diabete gestazionale, nascite premature e basso peso alla nascita anche se la correlazione tra i due aspetti meriterebbe di essere approfondita in ulteriori studi.
Certamente più significativi, invece, sono i problemi che la carenza di vitamina D può determinare nei nascituri: una tra queste sembra essere la lassità cranica nei neonati, cioè un ammorbidimento delle ossa del cranio, aspetto che potrebbe non necessitare di trattamenti a patto che l’ipovitaminosi non permanga anche durante l’allattamento. In tal caso, infatti, la condizione si potrebbe protrarre fino a determinare effettive complicazioni durante l’infanzia come la riduzione della massa ossea, l’indebolimento del sistema immunitario oppure alterazioni endocrinologiche come il diabete di tipo I.
Infine, un corretto apporto di vitamina D, risulterebbe anche favorente la salute dentale dei futuri nati come scoperto da uno studio dell’Università di Manitoba.
Durante la gravidanza e poi l’allattamento è bene dunque sempre tenere presente che il corpo della donna richiede un maggior apporto di calcio il cui assorbimento è favorito proprio dalla vitamina D: mantenere i livelli adeguati della stessa durante la gestazione e anche oltre, assicurando il corretto fabbisogno di nutrienti e il giusto tempo di esposizione al sole, risulta perciò un fattore cruciale anche a prescindere dei possibili effetti sul feto o sul neonato.
Come assumere la vitamina D in gravidanza
Prima di capire come assumere la vitamina D in gravidanza vale la pena soffermarsi sull’eventuale necessità di una integrazione: secondo le indicazioni dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), le donne con una gravidanza fisiologica dovrebbero assumere almeno 600 UI/die di vitamina D (15 mcg/die) mentre il massimo livello tollerabile risulta 100 microgrammi al giorno (4000 UI) per essere sicuri di non avere effetti dannosi per madre e bambino.
Tuttavia quando si parla di assunzione non ci si riferisce per forza ad una integrazione: molte donne riescono serenamente a mantenere i livelli normali di vitamina D tramite alimentazione (10% del fabbisogno) ed esposizione al sole (90% del fabbisogno).
L’AIFA ci tiene a sottolineare, pertanto, che in una donna sana con gravidanza fisiologica, uno stile di vita equilibrato e una dieta variegata non è indicato effettuare una specifica supplementazione di vitamina D durante i nove mesi di gestazione. Allo stesso modo le linee guida della gravidanza fisiologica e molte società scientifiche non ritengono opportuno effettuare uno screening a tappeto per la valutazione del livello ematico della molecola.
A partire dal 2012, comunque, alcuni organismi come il Sistema Sanitario Inglese, agiscono preventivamente e consigliano comunque alle donne gravide e durante l’allattamento di assumere 10 microgrammi di vitamina D giornalieri prevalentemente tra settembre e marzo, mesi in cui è ridotta l’esposizione alla luce solare.
Nelle donne con fattori di rischio, invece, la supplementazione dovrebbe essere maggiormente implementata e valutata da ginecologo e/o reumatologo. Le gravide considerate maggiormente predisposte ad una carenza di vitamina D sono:
- donne con elevato rischio di preeclampsia (cui viene proposta una supplementazione di 800UI giornaliere unitamente ad una supplementazione di calcio)
- donne ad elevato rischio di deficienza di vitamina D: di origine sud-asiatica, africana, caraibica e medio orientale (sono etnie e popolazioni considerate a rischio di ipovitaminosi); donne obese con BMI > 30
- donne che si espongono raramente al sole (per usanze religiose o sociali)
- donne che seguono un’alimentazione povera di vitamina D.
Rimane comunque poi importante cercare di inserire nella dieta alimenti ricchi di questa sostanza come pesce azzurro, uova e carne rossa anche se, come è già stato ribadito, l’introduzione di questo elemento tramite il cibo avviene solo in minima parte.