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2 Gennaio 2024
18:00

L’(ab)uso dei social tra teenager e il business multimiliardario potenzialmente dannoso per la loro salute mentale: lo studio di Harvard

Intorno all’utilizzo delle piattaforme digitali da parte dei più piccoli gravita un business pubblicitario multimiliardario. Uno studio della Harvard TH Chan School of Public Health ha stimato il guadagno derivante dalle pubblicità per bambini e adolescenti sui social, sottolineando i potenziali rischi per la salute mentale delle nuove generazioni.

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L’(ab)uso dei social tra teenager e il business multimiliardario potenzialmente dannoso per la loro salute mentale: lo studio di Harvard
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Le nuove generazioni rappresentano una vera e propria miniera d’oro per le maggiori piattaforme di social media. Secondo uno studio della Harvard TH Chan School of Public Health, con i contenuti promozionali apparsi nell'arco di un anno sugli schermi di smartphone e tablet di bambini e adolescenti residenti negli Stati Uniti, le società di social media avrebbero guadagnato oltre 10 miliardi di dollari di entrate pubblicitarie. I ricercatori hanno sottolineato l’urgenza di introdurre una regolamentazione governativa dei social per contenere i danni alla salute mentale degli under 18 e ridurre le pratiche pubblicitarie potenzialmente dannose destinate ai più piccoli.

Il nodo della questione consiste nelle campagne pubblicitarie che circolano sulle diverse piattaforme digitali e che trovano particolare terreno fertile fra i più giovani, con i conseguenti rischi legati alla salute mentale. Per questo motivo, secondo i ricercatori, le normative attualmente in vigore sull’utilizzo dei social network da parte delle fasce d’età più basse della popolazione sono insufficienti.

«Mentre crescono le preoccupazioni sulla salute mentale dei giovani, sempre più politici stanno cercando di introdurre una legislazione per limitare le pratiche delle piattaforme di social media che possono portare depressione, ansia e disturbi alimentari nei giovani -, ha affermato l'autore senior Bryn Austin , professore presso il Dipartimento di Scienze sociali e comportamentali –. Sebbene le piattaforme di social media possano affermare di poter autoregolamentare le proprie pratiche per ridurre i danni ai giovani, devono ancora farlo, e il nostro studio suggerisce che hanno enormi incentivi finanziari per continuare a ritardare l’adozione di misure significative per proteggere i bambini».

Intorno all’utilizzo dei social da parte dei più piccoli gravita un business miliardario. Dall’analisi condotta dal gruppo di ricerca della Harvard TH Chan School of Public Health, è emerso che negli Stati Uniti nel 2022 le piattaforme hanno prodotto 2,1 miliardi di dollari da utenti di età pari o inferiore a 12 anni e 8,6 miliardi di dollari da utenti di età compresa tra 13 e 17 anni.

Lo studio, tuttavia, presenta dei limiti legati alla sommarietà dei dati utilizzati. I ricercatori hanno attinto ai dati di sondaggi pubblici e ricerche di mercato del 2021 e del 2022 per stimare il numero di utenti giovani e le relative entrate pubblicitarie, poiché le informazioni sull’età degli utenti o sui ricavi pubblicitari per fascia di età non vengono resi noti dalle piattaforme digitali.

Nel 2020 l’American Academy of Pediatrics aveva dedicato un intero articolo alle strategie di marketing rivolte ai minori online e ai loro pericoli, evidenziando che «i bambini e gli adolescenti in età scolare possono essere in grado di riconoscere la pubblicità, ma spesso non sono in grado di resistervi quando è incorporata in social network affidabili, incoraggiata da influencer di celebrità o fornita accanto a contenuti personalizzati». Fonte di messaggi pubblicitari sono infatti anche tanti creator e influencer per bambini che arrivano a guadagnare milioni di dollari pubblicando in rete video in cui recensiscono giocattoli, giocano con gli amici o imparano qualcosa.

La richiesta di una regolamentazione più stringente dell’uso dei social, comunque, non è una novità. Da tempo ricercatori e legislatori si concentrano sugli effetti negativi derivanti dai social media e dai loro algoritmi personalizzati. Nel 2023 il governatore dello Stato dello Utah, Spencer Cox, ha deciso di agire autonomamente, introducendo una legislazione che ha come obiettivo quello di limitare l’uso dei social media fra i più piccoli. Cox ha stabilito che a partire dal 1° marzo 2024 i minori residenti nello Stato americano non potranno più iscriversi ad un social senza il consenso firmato da un genitore (o da un tutor legale). Tra le misure previste per ridurre l’esposizione dei piccoli alle piattaforme digitali e tutelarne il sonno notturno, è inclusa l’interruzione dell'accesso ai social dalle ore 22.30 alle 6.30 del mattino con un coprifuoco. Altri Stati stanno seguendo le orme dello Utah, come Arkansas, Texas, Ohio e Louisiana, anche se l’iniziativa ha sollevato delle polemiche. I responsabili delle piattaforme social hanno risposto alla presa di posizione dello Utah dichiarando di aver già adottato parecchi strumenti per il supporto degli adolescenti.

In più, nelle scorse settimane la Federal Triade Commission, agenzia governativa statunitense con il compito di tutelare i consumatori e prevenire o eliminare pratiche commerciali anticorrenziali, ha proposto modifiche radicali a una una vecchia legge federale che regola il modo in cui le aziende online possono tracciare e fare pubblicità ai bambini, inclusa la disattivazione predefinita degli annunci mirati ai bambini sotto i 13 anni e la limitazione delle notifiche push.

Il critico rapporto fra nuove generazioni e social media, insomma, è in via di cambiamento, anche se ad oggi è ancora difficile immaginare un sistema di controllo efficace che, oltre a verificare l’età degli iscritti, garantisca il pieno rispetto della privacy degli utenti.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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