Il primo errore di cui voglio parlare è proprio il chiamare errori gli sbagli che si commettono nell’educazione dei figli, meglio definirli come mancate opportunità.
Chiamarli errori, infatti, pone già a livello di rappresentazione mentale l’idea che vi sia un giusto e uno sbagliato. Se ci si lascia guidare da questo principio allora l’ansia da prestazione è sempre dietro l’angolo, avere una rappresentazione mentale, invece, più dedicata alle opportunità, permette di stare in osservazione. Non nel cercare di non fare errori, quanto piuttosto nel tentativo di cogliere le opportunità educative di cui i bambini hanno bisogno.
- 11. Sostituirsi ai propri figli
- 22. Proiettare le proprie paure sui figli
- 33. Usare parole cattive nei confronti dei figli
- 44. Voler responsabilizzare, senza lasciare spazio all'azione
- 55. Pensare che i bambini abbiano una stima del tempo strutturata come la nostra
- 66. Fare monologhi infiniti per spiegare ai bambini cosa hanno sbagliato
1. Sostituirsi ai propri figli
Ero seduto in un bar, mentre bevevo un caffè e guardavo la scena di una nonna con la sua nipotina, mentre la bimba iniziava a camminare in modo impacciato, goffo e disarmonico, la nonna le stava dietro. Più la bimba provava ad alzarsi, più cadeva con il sedere a terra. Nonostante ciò la nonna non faceva nulla, se non aspettare che la bimba si rialzasse, al massimo le porgeva un dito, senza farsi troppo vedere.
Ad un certo punto, all’ennesima caduta la mamma si accorge della bimba per terra e inizia a dire “Ah la mia povera bambina è caduta”. La bimba di tutta risposta ha iniziato a piangere. La nonna stava insegnando alla sua nipotina che non doveva sostituirei a lei, perché poteva benissimo farcela da sola. La mamma invece le stava insegnando che da sola non ce l’avrebbe fatta, sostituendosi a lei nel tirarla su. Mancando l’opportunità di dire a questa bambina che lei poteva farcela da sola.
2. Proiettare le proprie paure sui figli
In studio da me c’erano una ragazza e i suoi genitori, stavamo discutendo del fatto che la ragazza probabilmente sarebbe stata bocciata quando la madre si è pronunciata dicendo: «Ho paura che non ce la faccia e che venga bocciata». A quel punto le ho chiesto:«Ma chi verrà bocciata?» E lei mi ha detto «Mia figlia», a io le ho chiesto «Allora chi deve avere paura, lei o sua figlia?».
A volte si deve fare attenzione a non proiettare troppo le proprie paure sui figli, perché facendolo si finisce per evitare che la cosa di cui si ha paura, accada al figlio. I ragazzi devono avere la possibilità di sperimentare il fallimento e anche la frustrazione che una bocciatura porta con sé. Il significato della bocciatura è che per qualche ragione il ragazzo non ha raggiunto gli standard primitivi disposti dalla scuola e se non li ha raggiunti ci possono essere una serie di motivi, sui quali è fondamentale che il ragazzo lavori.
Se si toglie ai ragazzi questa opportunità, proiettando su di loro la paura che loro non ce la facciano, facendo di tutto perché evitino il fallimento, stiamo facendo di tutto perché questi ragazzi perdano un’opportunità, l’occasione di verificare come funziona il mondo e come ci si devono adattare.
3. Usare parole cattive nei confronti dei figli
Quando ci si fa prendere dalla rabbia e da altri sentimenti, si perde la linea e il focus fino ad utilizzare delle parole che non si dovrebbero mai usare. Mi è capitato di vedere un padre che osservando la figlia allontanarsi e correre verso le strisce pedonali, la ha incalzata gridando da lontano:«Ei non fare la scema, vieni qui!». Sul momento, presi dalle emozioni i genitori si lasciano andare a parole che non dovrebbero dire, poiché hanno un effetto risonante nei figli.
"Scema" è una parola carica di negatività e l'opportunità mancata sta nel fatto che la bimba si stava allontanando, e che forse sarebbe valsa la pena di vedere se era in grado di mettere in pratica le regole che le avevano insegnato: fermarsi, guardare a destra e a sinistra, aspettare i genitori. Magari bastava un piccolo richiamo o un cenno d'intesa per trasmettere fiducia, stima e autonomia, perdere quest'occasione andando in una situazione carica di negatività è sicuramente un'opportunità mancata.
La bambina in quell'occasione ha imparato che quando prende un margine di autonomia c'è un guinzaglio dietro, carico di parole di negatività che la fa tornare indieto subito, senza l'opportunità di dimostrare che aveva il controllo della situazione e poteva muoversi in autonomia.
4. Voler responsabilizzare, senza lasciare spazio all'azione
Immaginiamo questa scena si torna dal lavoro e la casa non è in ordine come l'avevamo lasciata, i figli sono stati a casa tutto il pomeriggio e hanno creato un gran disordine a quel punto ci chiediamo come sia possibile che non facciano niente, non sistemino nulla e dobbiamo occuparci di tutto noi. Mentre lo diciamo, iniziamo però a sistemare.
L‘opportunità mancata è quella dell'autonomia, della responsabilità. Si viene a creare l'incoerenza educativa, mentre si rimproverano i figli di non aver fatto qualcosa lo facciamo noi. A questo punto vale la pena di gestire la propria emotività, chiedendoci se è più importante rassettare la casa per averla sempre in ordine o rendere autonomi i figli. Altrimenti impareranno che basta ascoltare 5 minuti di ramanzina per poi continuare a lasciare tutto in disordine come sempre, tanto ci sarà chi se ne occuperà. Non si deve lasciare che i figli pensino di non avere un ruolo attivo tra le mura domestiche.
5. Pensare che i bambini abbiano una stima del tempo strutturata come la nostra
I bambini percepiscono il tempo in modo soggettivo e non oggettivo, vedono l'orologio e le lancette girare ma non sanno dare una stima al tempo che passa. Già gli adulti quando fanno qualcosa che gli piace dicono che il tempo sembra volare o al contrario che quando si fa qualcosa che annoia non sembra passare mai. Questa è già la dimostrazione che il tempo è un affare soggettivo.
Non si può pensare di dire ai bambini:«Dobbiamo andare tra poco, tra 5 minuti ti voglio vestito» loro non sanno cosa sia poco e nemmeno quanto impieghino a scorrere 5 minuti, piuttosto si deve cogliere l'opportunità di stare insieme al bambino mentre svolge le sue attività. Bisogna cercare di essere l'orologio del bimbo, vivendo con lui l'esperienza del tempo soggettivo, al posto di impostare un timer. La durata poi diventa la relazione con i genitori.
6. Fare monologhi infiniti per spiegare ai bambini cosa hanno sbagliato
Il bambino si perde in un mare di parole, l‘unica cosa che gli arriva è il tono, il tessuto della relazione in cui stiamo dicendo lui qualcosa. Per imparare, a volte, al bambino basterebbe un po' di silenzio, un po' di emozione portata, un contenimento emotivo ben strutturato, davvero poco, anche solo uno sguardo.
Ripetere 100 volte a un bambino cosa deve o non deve fare non è il modo migliore per evitare che faccia qualcosa, o faccia qualcos'altro. Spesso i genitori mi dicono «Gli devo sempre ripetere le stesse cose», io rispondo «Ottimo non le ripeta più, le aveva già imparate la prima volta». I bambini non hanno bisogno degli spiegoni, basta fermarsi, fare un po' di silenzio gestito bene, in modo che il bambino possa provare le sue emozioni e frustrazioni, possa capire perché ha fatto arrabbiare i genitori. Se poi i genitori fanno fatica a non gettare tutta la loro frustrazione sui figli, possono chiedere aiuto a uno specialista ma di sicuro gli spiegoni infiniti non servono a niente, il bambino si sarà già perso alla quinta parola.