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9 Maggio 2023
18:00

Le mamme carcerate che scontano la pena con i figli in una casa protetta. Il direttore: «Offriamo loro un’alternativa al carcere»

L’Associazione Ciao accoglie sei mamme detenute con i loro piccoli che arrivano dal carcere San Vittore. Vivono in tre appartamenti a sud di Milano e sono seguiti dal mattino alla sera da una rete di educatori, psicologi, pedagogisti e psicoterapeuti. Il direttore Tollis: «Non promettiamo miracoli, ma lavoriamo per offrire loro una possibilità abitativa e di accompagnamento».

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Le mamme carcerate che scontano la pena con i figli in una casa protetta. Il direttore: «Offriamo loro un’alternativa al carcere»
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Alcuni bambini che vivono con le mamme detenute nella struttura gestita dall’Associazione Ciao

«Abbiamo una mamma con il figlio che potrebbe venire da voi, avete posto?». La richiesta arriva periodicamente dall’Istituto a Custodia Attenuata per detenute Madri (ICAM) del carcere San Vittore di Milano. A rispondere al telefono, dall’altro lato, è l’Associazione Ciao, che dal 2011 ospita mamme che stanno scontando una pena con i loro piccoli. Si tratta di una realtà fuori dal comune: in Italia ne esistono due soltanto, e la seconda – la Casa di Leda – si trova nella capitale. «Fino ad oggi non abbiamo mai detto di no e abbiamo accolto tutte le mamme che ci sono state presentate dall’istituto penitenziario – racconta con orgoglio a Wamily il direttore dell’Associazione, Andrea Tollis, che insieme alla dott.ssa Elisabetta Fontana gestisce Ciao – il nostro è un lavoro di ricostruzione di esseri umani: la nostra missione è offrire alle mamme con figli la possibilità di non stare in carcere, di avere un luogo dove vivere, di contare sul supporto di figure di accompagnamento che si prendono cura di loro e del loro bambino».

Cucinano, puliscono i loro appartamenti, accompagnano i figli a scuola, lavorano, riempiono il carrello al supermercato dietro l’angolo, salutano i conoscenti del quartiere. La giornata delle mamme accolte dall’Associazione meneghina scorre, apparentemente, come quella di qualsiasi altra, con un’eccezione di fondo: sono, in realtà, detenute, condannate per aver commesso un reato di lieve o di grave entità, a cui è stato concessa l’opportunità di vivere fino alla fine dello sconto di pena in una casa famiglia protetta per crescere i figli in uno spazio diverso dal carcere. È una soluzione prevista dalla Legge 62/2011, che regolamenta le case famiglia protette, anche se l'Associazione Ciao se ne occupava già prima: nata nel 1995 come organizzazione di supporto ai detenuti in carcere, dal 2010 ha aperto le porte alle mamme detenute con figli, un anno prima dell’approvazione della normativa. «Dopo la richiesta di misura alternativa e l’autorizzazione da parte della magistratura, le madri scontano da noi la detenzione domiciliare speciale, prevista dall’articolo 47 quinquies, trascorrendo nella nostra struttura la parte rimanente della pena, per un periodo di tempo che a volte supera i 2-3 anni» spiega il direttore.

Al posto delle celle, sale giochi per i piccoli

I tre appartamenti destinati alle madri e ai loro piccoli sorgono negli spazi della parrocchia dei Quattro Evangelisti, nel quartiere Tibaldi di Milano. Sullo stesso piano, si trovano le aree in comune: la sala giochi, la stanza per le feste, il corridoio, la lavanderia e l’ufficio dove le mamme quotidianamente inondano gli operatori di domande e raccontano le loro piccole grandi questioni quotidiane. «Sai, oggi ho comprato una pentola per la cucina!». «Mio figlio ha il raffreddore». «Ho finito il sale, come faccio?». Ad abitarli sono sei mamme e sette minori, generalmente straniere, con una prevalenza di donne rom, arrestate per illeciti di diverso tipo, dai furti, ai reati contro il patrimonio, dallo spaccio, ad aggressioni, fino ad omicidi. «La possibilità di entrare nella casa famiglia non dipende dall’entità del reato commesso – continua il direttore – la priorità è che il piccolo stia con la madre se è ritenuta idonea a svolgere il ruolo genitoriale». Arrivano per lo più da Brasile, Costa Rica, Santo Domingo, Nigeria, Marocco, Filippine, Lituania, Romania e tendenzialmente sono mamme con alle spalle drammatiche esperienze di vita, vittime di abusi domestici e provenienti da tessuti sociali intrisi di illegalità e violenza. A casa, o nel Paese d’origine, hanno una prole numerosa, contando fino a sei o sette figli l'una, e quando arrivano nella struttura tendono a chiudere definitivamente i rapporti con quell’ex partner o con quella famiglia di cui conservano orribili ricordi.

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La vita nella casa senza sbarre

Prima di varcare la soglia della struttura senza sbarre le mamme hanno l’obbligo di informare le Forze dell’Ordine, rispettando gli orari di entrata e di uscita. Chi esce per accompagnare il figlio a scuola, chi per andare al supermercato, chi per lavorare o frequentare uno stage o un corso di formazione. E al rientro, cucinano, puliscono casa, seguono lezioni di lingua italiana, partecipano a laboratori di teatro, di yoga, di coaching e di danzaterapia, con il supporto di professionisti che le aiutano nel percorso di reintegrazione nella società. La loro giornata, insomma, scorre tra la cura dei figli, la gestione della casa, a volte il lavoro, e attività di gruppo. Iniziative aperte all’intera comunità del quartiere per creare un ponte con il territorio e favorire l’integrazione delle mamme. «Quando arrivano da noi le madri e i loro bambini si trovano in condizioni psicofisiche compromesse – spiega il direttore Tollis – noi li aiutiamo con educatori, pedagogisti, una criminologa, psicologi, psicoterapeuti, che seguono le madri e i figli in grande difficoltà. Non promettiamo miracoli, ma lavoriamo per offrire una possibilità abitativa e di accompagnamento alternativa a quella del carcere».

"Una ricostruzione di esseri umani"

La struttura di Ciao è una rarità sul territorio nazionale, la prima in ordine di tempo ad aver aperto e l’unica attiva nel Nord Italia. In estate gli operatori dell’Associazione organizzano gite fuori porta ed escursioni e accompagnano le mamme e i piccoli in Val d’Aosta per qualche giorno. Un viaggio che, prima della partenza, deve essere autorizzato dalla magistratura, poiché coinvolge donne in esecuzione. E durante l’anno, la struttura permette ai papà dei piccoli, spesso anche loro in carcere, di incontrare i figli negli spazi della casa famiglia. «I padri, se sono detenuti, vengono a vedere i bambini da noi, scortati dalla Polizia Penitenziaria, trascorrendo qualche ora con i piccoli e con la madre, così da evitare che mamma e figlio tornino nell’ambiente carcere. – spiega il direttore Tollis – I rapporti con l’esterno, se la mamma lo vuole, continuano, tuttavia l’idea di famiglia esterna pronta ad accogliere le esigenze affettive della madre è una visione stereotipata». È un grande lavoro insomma di «ricostruzione di esseri umani», come chiosa il direttore.

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La sala giochi della casa famiglia protetta dove vivono le mamme detenute con i figli

Chi sostiene l'Associazione Ciao

L’assurdità è che l’impegno dell’Associazione milanese non è supportato economicamente dallo Stato. La casa in cui le madri espiano le loro pene con i piccoli al seguito, sopravvive grazie alle raccolte fondi e alla generosità di fondazioni attive sul territorio. A eccezione dell’intervento del Comune di Milano, che copre la retta dei minori seguiti dai Servizi sociali, quindi, non arrivano contributi pubblici a sostegno dell'Associazione, nonostante nel 2020 con un emendamento della Legge di Bilancio fossero stati riconosciuti 4 milioni e mezzo di euro per tre anni alle strutture di accoglienza per donne con bambini. Di recente, Regione Lombardia è intervenuta con una manifestazione di interesse e al momento l’Associazione è in attesa di un’evoluzione.

«Noi ci mettiamo a disposizione con figure che per la prima volta nella loto vita si occupano della loro cura e della presa in carico. – conclude il direttore Tollis – Non credo l’abbiano mai sperimentato prima».

Una realtà, quella di Associazione Ciao, a due passi dalla Madonnina che restituisce a mamme che scontano la pena e ai loro figli una semi-libertà e la speranza nel futuro. Una struttura che offre ai più piccoli – che sono innocenti e totalmente estranei alle dinamiche degli adulti – l’occasione di crescere in uno spazio che assomiglia quanto più possibile a una casa “normale” e il lusso di affacciarsi a una finestra priva di sbarre.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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