Urla, pianti e litigi. Cosa fare quando il bambino si comporta male o combina qualche marachella?
La risposta naturalmente non può essere solo una, tuttavia troppo spesso la questione si riduce all’eterno derby tra genitori permissivi, che le danno tutte vinte per paura di urtare la sensibilità dei piccoli, e genitori autoritari, affezionati a divieti e castighi. Come spesso accade però, la strada più corretta risiede esattamente nel mezzo.
«Non servono i manuali per dirci come fare, anche perché non c’è una sola soluzione, ma bisogni educativi diversi – afferma Lorella Boccalini, pedagogista e collaboratrice del CPP (Centro PsicoPedagogico per l’educazione e la gestione dei Conflitti) – tuttavia è importante che i genitori si prendano la responsabilità del loro ruolo e si pongano come “contenitori” delle esuberanze dei loro figli».
Per farlo, dunque, la cosa migliore è organizzarsi per tempo, stabilendo sin dai primi anni di vita alcune regole semplici ma irrinunciabili, che poi possono, anzi, devono essere rafforzate tramite una serie di comportamenti dall’alto valore educativo: i rituali.
Cosa sono i rituali?
I rituali sono delle azioni ripetute nel tempo che stabiliscono dei momenti fissi nella routine quotidiana di un bambino. Lavarsi le mani prima di mettersi a tavola, abbracciarsi dopo un litigio o il bacio della buonanotte prima di mettersi a dormire, sono tutti rituali che identificano chiaramente alcune situazioni frequenti e abituano i bambini a comportarsi di conseguenza.
«Se ben presidiato, un rituale insegna al bambino cosa aspettarsi in determinate occasioni del suo quotidiano, il che lo tranquillizza – spiega Boccalini – In questo modo il rito aiuta a rimanere all’interno di una proposta, che poi diventa la capacità interiore di fare la cosa giusta». Certo, stabilire i rituali non è facile, ma lo sforzo vale la fatica, perché per i bambini è rassicurante.
«Se la sera, prima della nanna, il bambino vuole tre storie anziché due, non bisogna agitarsi o innervosirsi: molto meglio rimanere sul punto e fargli capire che tanto già lo sa che le storie raccontate saranno due».
Dopotutto, come ricorda Boccalini, uno degli esempi più lampanti dell’efficacia di questi rituali la si può osservare in qualsiasi asilo, dove non ci sono né i genitori e né le loro coccole, ma i bimbi dormono comunque tutti e alla stessa ora. Certo, ogni tanto c’è qualche intemperanza, ma rimangono casi isolati. E se a dirlo è una professionista che per 13 anni ha diretto un asilo, allora possiamo crederci.
Come impostare i divieti
I rituali da soli non bastano. Servono delle regole chiare che facciano capire ai piccoli cosa si possa o non si possa fare. Questo però non significa esercitare un comando irragionevole e che non tenga conto dell’età dei bimbi, anche perché l’obiettivo dell’educazione non è l’obbedienza, ma la capacità di diventare autonomi.
Un divieto, quindi deve essere fermo, né aggressivo, né perentorio (“Non si toccano le prese elettriche”, “non si sale sul tavolo”, “non si morde”), rimanendo consapevoli che il bambino proverà a fare quell’azione, ma non è importante. Ciò che conta e continua a stoppare il comportamento e non transigere.
«Ripetere le cose non è un fallimento educativo – precisa Boccalini – ma una cosa del tutto normale, perché a quell’età il passaggio da principio di piacere a principio di realtà (ossia la capacità di frenare il proprio bisogno di soddisfare immediatamente un piacere, n.d.r) non è immediato».
Naturalmente tutto ciò non significa istituire in casa un ordine draconiano con mille regole e mille proibizioni.
Redarguire e sgridare
Urlare, volente o nolente, è un grande classico del genitore. Si urla perché si vuole richiamare l’attenzione del bambino, si urla perché si pensa di dare forza al proprio messaggio, si urla perché si è arrabbiati o frustrati dal comportamento del figlio. Peccato però che sgridare ad alta voce non serva proprio a nulla
«I bambini non se ne accorgono nemmeno. Conoscevo una maestra molto intelligente che quando doveva sedare la confusione, abbassava la voce. Ovviamente è inevitabile che un bambino, nonostante regole e rituali, prima o poi faccia delle cose sbagliate. È proprio qui però vale la pena valutare la situazione e tenere sul punto».
Se ad esempio ci si trova davanti all’esplosione emotiva di un capriccio o di una reazione violenta( come lanciare via i giochi o mettere la mani addosso alla sorellina), un genitore può aiutare a contenerla, stoppando il comportamento e spiegando che alcune cose non si possono fare anche se siamo molto arrabbiati. Anche la spiegazione però, dev’essere sostenibile per l’età, sia per termini usati, che per contenuti.
Quando fa un capriccio, infatti, il bambino non vuole intenzionalmente fare un dispetto all’adulto, ma non riesce a controllarsi perché non possiede ancora la capacità di regolare i propri impulsi. Ed è qui che deve intervenire l’adulto per abituarlo a gestire le emozioni (es: “a ora di cena la merendina non si può mangiare e non la mangi!”).
E se qualche volta si perde la pazienza? Può succedere ed è inutile demonizzarsi:
«Sfatiamo il mito del genitore perfetto: urlare una volta o strattonare il figlio, non lascia traumi, si integra nella relazione».
I castighi
Anche in questo caso l’efficacia è molto limitata, perché le privazioni punitive non portano apprendimento.
«Di solito il castigo è spostato nel tempo: se un bambino fa i capricci adesso, poi domani viene privato di qualcosa? Il bambino non ha gli strumenti per collegare le due cose, dunque non riconduce la punizione al suo comportamento errato. In più spesso i castighi negano delle esperienze (un allenamento di calcio, una visita al museo…), il che sarebbe da evitare».
Oppure talvolta si pone un castigo irrealizzabile (niente televisione per un mese) e si depotenzia il tutto. Il genitore dovrebbe quindi tentare d’intervenire quando si sta verificando il capriccio o l’atteggiamento sbagliato, magari mettendo lo stop al comportamento e portando il bambino a tranquillizzarsi.
Perché il genitore troppo permissivo mette in pericolo il bambino?
Il bambino sente il bisogno di regole e decidere per i figli non è comando, ma esercitare la responsabilità del proprio ruolo. Benché possa sembrare un controsenso, la mancanza di regole e rituali impedisce infatti al bambino di poter essere veramente libero.
«Solo all’interno di certi paletti il bambino può essere libero di essere tale. Se può fare quello che vuole, rimane immaturo e non avrà mai gli strumenti per affrontare il mondo. Il bambino necessita di paletti perché non sa cosa sia meglio per lui non può decidere sempre cosa mangiare o quando andare a dormire) – conclude Boccalini – Se io ho una bella macchina, voglio provarla in un’autostrada libera o in un deserto? Nel deserto non sai dove andare! Così il genitore deve dare degli argini all’interno del quale sentirsi liberi».