L’istinto materno? Non esisterebbe. Sarebbe un mito. Una leggenda. Una narrazione che non risponde al vero. Eppure, i danni che ha prodotto – e continua a produrre – la convinzione che esista una predisposizione innata alla maternità sono inestimabili. Sì, perché accettare che quello materno sia un istinto naturale ed esclusivo del genere femminile, significherebbe qualificare come «meno donna» chi non avverte quello slancio alla maternità. Non sognare di diventare un giorno mamma o, quando lo si diventa, non percepire nell’immediato l’attaccamento “istintivo” verso il pargolo non è innaturale, non è strano, non è sbagliato. Un istinto fisiologico è quello che ci spinge a cibarci, a dormire, ad assolvere ai nostri bisogni primari in quanto esseri viventi, non ad accudire un figlio. Amare un figlio significa tessere una relazione di cura e amore, che cresce con il tempo. Non è un qualcosa di automatico, né un sentimento universale, che nasce “con lo stampino” in qualsiasi neomamma. Ne abbiamo parlato con il dott. Antonio Viscardi, Psicologo Perinatale.
L’istinto materno esiste?
Nell’ideologia comune, per “istinto materno” s’intende la propensione femminile ad avere un figlio oppure la predisposizione innata ad accudire i più piccoli.
«Quando parliamo di istinto ci riferiamo, generalmente, a qualcosa di innato – spiega il dott. Viscardi – che biologicamente è dentro di noi. Il termine istinto materno è utilizzato per designare la spinta di una donna a diventare madre oppure ad accudire i bimbi. In realtà, nella letteratura scientifica non abbiamo prove dell’esistenza di questo slancio naturale».
Depressione post partum e baby blues smascherano il mito dell’istinto materno
Allora, se l’istinto materno è una fandonia, perché è così comune sentirlo nominare? A volte, è utilizzato come arma contro chi non lo percepisce e provoca dolore, senso di inadeguatezza, imbarazzo. Perché, magari, un figlio non lo desideriamo, perché non riusciamo ad averlo o perché, anche se è nato, non è scaturito insieme a lui quel sentimento totalizzante e incondizionato che le nostre mamme, nonne, amiche ci avevano descritto.
«Siamo condizionati dall’ambiente in cui viviamo – continua lo specialista – si tende a pensare che la donna per essere completa debba arrivare a concepire un bambino ad un certo punto del suo percorso evolutivo. Un ragionamento che causa un forte senso di inadeguatezza in chi non vuole o non può avere figli. È uno stereotipo che danneggia anche chi ha un figlio e inizialmente non percepisce questa spinta di cura. Se esistesse l’istituto materno, infatti, non si spiegherebbero sentimenti tipici del post parto, quali la depressione post partum, il baby blues, fino ad eventi più drammatici».
La narrazione tossica della maternità
«Vedrai: quando te l’appoggeranno sul petto, qualsiasi dubbio svanirà, e t’innamorerai al primo sguardo». Ok, e se non succede? No, non siamo aliene. Nè madri insensibili o snaturate. I racconti altrui, probabilmente dispensati in buona fede, creano, come effetto collaterale, quello di inculcare nella testa delle mamme che quella è l’unica reazione ammissibile alla nascita di un figlio. Una versione romanticizzata, che non concede spazio a sentimenti diversi dalla gioia incontenibile.
«Il parto è un avvenimento che crea sensazioni inaspettate, a cui le mamme non arrivano mai preparate – continua lo psicologo – per quanto si siano informate e siano accompagnate da professionisti. Secondo una narrazione comune della maternità, quando terrai per la prima volta il piccolo fra le braccia, ti dimenticherai di tutte le sofferenze vissute, ti innamorerai al primo sguardo del neonato, ma non funziona così per tutte. Alcune mamme non avvertono l’amore materno e iniziano a interrogarsi, in loro nascono paure e senso di inadeguatezza, temono che qualcosa non vada, mentre quel che provano è naturale. “Come mai non provo amore?”. “C’è qualcosa che non va in me?”. “Non sono una mamma sufficientemente buona”. Sono pensieri che potrebbero nascere nella neomamma, perché la maternità e la costruzione della relazione con il bambino è qualcosa che costruiamo nel tempo. Ecco perché mi piace parlare di “divenire” mamma, più che di “diventare” mamma. È come quando ci innamoriamo: al primo incontro possiamo avere un colpo di fulmine, ma la relazione si costruisce col tempo».
La mancanza d’empatia non è, tuttavia, da sottovalutare.
«Ovviamente, i sentimenti di negazione verso il piccolo, di mancata empatia ed emotività, non vanno ignorati. Se si protraggono per circa più di due settimane dalla nascita, è opportuno chiedere aiuto a un professionista. Potremmo essere davanti a una depressione post partum, che, se gestita, non comporta rischi per la relazione».
La mamma potrebbe incontrare difficoltà già durante la gravidanza. Il corpo cambia e, insieme a lui, i pensieri della gestante, che potrebbe essere intimorita dal cambiamento che la aspetta.
«Anche durante la gravidanza la gestante potrebbe vivere un conflitto interiore tra l’essere donna e l'essere mamma. – spiega il dott. Viscardi – In dolce attesa il corpo inizia a cambiare, e la donna potrebbe entrare in conflitto con quello che è il ruolo che intende adottare una volta che sarà nato il bambino. Se passa il messaggio che la gestante debba fare spazio all’essere madre lasciando da parte l’essere donna, il conflitto si amplifica, determinando meccanismi psicologici di sofferenza. Mi rattrista che la maternità venga spesso presa in considerazione solo da un punto di vista medico, con una cura particolare per il benessere fisico, e solo in minima parte per la salute mentale della mamma».
Come favorire l’attaccamento tra la mamma e il figlio
«Potrebbe avere effetti positivi sulla relazione mamma-bambino il massaggio neonatale perché il contatto col proprio bambino permette di entrare in sintonia con lui. In più, al corso per imparare il massaggio di solito partecipano altre donne, e sentirsi in una comunità aiuta la neomamma a sentirsi più libera, esprimersi e condividere le sue emozioni».
Più che “istinto”, chiamiamolo “desiderio" di maternità
Più che un istinto – che implica una spinta naturale, imprescindibile e universale verso qualcosa (nel nostro caso la maternità) – sarebbe più corretto parlare di desiderio. Un desiderio di maternità, che non è obbligatorio sperimentare in quanto donna.
«Se arrivo a un punto della mia vita in cui desidero diventare mamma – prosegue il dott. Viscardi – costruire una relazione con un’altra persona, è un mio desiderio, è una mia volontà. Se fosse un istinto, allora ad un certo punto scatterebbe irrimediabilmente l’orologio biologico per rincorrere questa realizzazione. Se ho l’istinto della fame, la spinta a mangiare la avverto finché non appago quel bisogno, mentre non accade niente di simile con l’istinto materno».
E l’istinto paterno?
«Se esistesse l’istinto materno, i papà che si prendono cura del bambino da cosa sarebbero mossi? L’istinto paterno non è quasi mai menzionato, – continua – eppure il papà ha un ruolo importante nella gestione della triade (a proposito, iniziamo a parlare anche di “triade”, non solo di “diade” e del rapporto mamma-figlio). Il papà ha un ruolo attivo e può aiutare la mamma a costruire la relazione col bimbo» conclude lo psicologo.