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6 Febbraio 2024
11:00

Ma è vero che la musica trap ha effetti negativi sugli adolescenti?

La musica trap ha effettivamente influenze negative sui teenager, o si tratta di false paranoie da “boomer”? Negli Stati Uniti se lo chiedono da decenni e sono stati pubblicati studi a riguardo. Wamily ne ha parlato con la musicoterapeuta Marinella Maggiori.

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Ma è vero che la musica trap ha effetti negativi sugli adolescenti?
Intervista a Dott.ssa Marinella Maggiori
Presidente dell’Associazione Italiana Professionisti della Musicoterapia (AIM) e musicoterapeuta del Centro Terapeutico dell’Antoniano di Bologna
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È sufficiente scorrere la classifica di Spotify per accorgersi che quello della musica trap è un dominio incontrastato. Popolano loro, rapper e trapper, l’Olimpo della discografia italiana, e affollano le playlist dei più accaniti ascoltatori mensili delle piattaforme musicali (per lo più teenager). Per trovare una canzone indie o pop, si è costretti a scendere fino alla sedicesima posizione della “Top 50”, mentre per incontrarne, quasi per sbaglio, una seconda, occorre inabissarsi fino alla venticinquesima.

Bpm rallentati, autotune a manetta, inni alla mascolinità, al sesso violento e ai gruzzoli di banconote sono i marchi di fabbrica delle canzoni trap. A intonarle sono personaggi-influencer idolatrati dagli adolescenti, con marchi di lusso indosso, tatuaggi in vista, alla guida di macchinoni metallizzati o circondati dalla loro “gang” di quartiere.

Se è vero che l’apparenza è un biglietto da visita, si spiega perché tanti genitori rimangono scandalizzati dai gusti musicali dei loro figli adolescenti. Specie se, allo sfoggio dei denti dorati, al linguaggio sessuale esplicito e all’elogio del denaro e della droga, si aggiungono notizie di trapper arrestati, come nel caso di Shiva, Baby Gang e Simba La Rue, che contribuiscono a fomentare le critiche sul sottogenere del rap da parte dei suoi detrattori. Ma, quindi, la trap ha effettivamente influenze negative sui più giovani, o si tratta di false paranoie da “boomer”?

La domanda è tornata ad animare i talk-show televisivi dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, lo scorso novembre. «Ma l’avete ascoltata la musica trap che ascoltano gli adolescenti? – aveva commentato l’attrice Cristiana Capotondi, ospite di Massimo Gramellini su La7 – Di che ci sorprendiamo se un giovane di 22 anni considera una donna come un oggetto?».

Gli studi americani

Negli Stati Uniti, dove il rap e la trap (come la più recente drill, l’emo-rap e il “gangsta rap”) trovano le loro radici, se lo chiedono da decenni. I primi studi che indagano le influenze della musica più cruda, nata dai bassifondi, sulla cultura e sulla condotta degli adolescenti risalgono agli anni Novanta.

Una ricerca pubblicata nel 2003 sulla rivista accademica American Journal of Public Health ha esaminato l’effetto dei video musicali rap sul comportamento di un gruppo di adolescenti afro-americane di sesso femminile nell’arco di 12 mesi. Dall’indagine è emerso che le ragazze (di età compresa tra i 14 e i 18 anni), rispetto ai coetanei meno esposti ai video musicali rap, avevano «una probabilità 3 volte superiore di picchiare un insegnante; 2,5 volte più alta di essere arrestate; 2 volte superiore di aver avuto più partner sessuali; 1,5 volte superiore di aver contratto una nuova malattia a trasmissione sessuale, di aver fatto uso di droghe e di alcol».

Proprio la promozione dell’uso di droghe è uno dei topos più ricorrenti dei testi trap. Un articolo di Sciencedaily del 2008 riporta i risultati della prima indagine scientifica che ha analizzato il contenuto della musica rap tra il 1979 e il 1997, basandosi sulle classifiche di Billboard e Gavin. Dalla ricerca è emerso che i riferimenti all'uso illegale di droghe nella musica rap sono aumentati di sei volte nei due decenni successivi al 1979, l'anno in cui "Rapper's Delight" della Sugar Hill Gang raggiunse le classifiche e introdusse al pubblico mainstream un genere musicale nato nei centri urbani americani. All’inizio degli anni Novanta nei testi rap americani si iniziò a descrivere il consumo della marijuana come un’attività positiva, associata alla ricchezza, alla creatività e allo status sociale.

«La musica rap è particolarmente attraente per i giovani, molti dei quali guardano ai rapper come modelli – aveva commentato l’autrice dello studio, Denise Herd, professoressa associata di scienze comportamentali dell'Università della California –. Come ricercatore sulla salute pubblica e come genitore di un bambino di 7 anni, sono preoccupata per l'impatto che a lungo termine l'esposizione a questa musica ha sui suoi ascoltatori». La ricercatrice aveva ipotizzato diverse ragioni dietro all’aumento dei riferimenti alla droga nella musica rap: dai cambiamenti nelle abitudini di consumo di droga di rapper e ascoltatori, alla crescente popolarità della marijuana, dalla maggiore commercializzazione della musica rap all’ascesa del gangsta rap e di altri generi musicali rap, fino alla ribellione sociale derivante dalla punizione spropositata degli afroamericani nella guerra alla droga del governo americano.

Veniamo a tempi più recenti. Nel 2021 su Jama Pediatrics è stato pubblicato uno studio che ha esaminato 125 canzoni rap americane evidenziando come i riferimenti ai problemi di salute mentale nei testi musicali – come ansia, depressione, stress, suicidio – siano aumentati sensibilmente dal 1998 al 2018. Oggi in America è stato coniato un termine per indicare quel genere dell’hip-hop che, nel testo, privilegia l’interiorità e la sfera emozionale: “emo-rap”. Gli studiosi, comunque, alla fine sottolineano che «sono necessarie ricerche future per esaminare i potenziali effetti positivi e negativi che questi messaggi sempre più diffusi potrebbero avere nel plasmare il discorso sulla salute mentale e le intenzioni comportamentali per i giovani statunitensi».

La trap come “male assoluto” è una semplificazione

Tuttavia, occorre una precisazione. Quello fra la musica italiana e quella americana è un paragone piuttosto audace: il rap a stelle e strisce (e i suoi sottogeneri), per quanto venga preso a modello nel resto nel mondo, conserva delle differenze sostanziali con la musica prodotta in Italia. Il rap e i suoi sottogeneri (come la trap, la drill, il gangsta trap) sono nati nei quartieri periferici degli Stati Uniti almeno vent’anni prima del loro arrivo in Italia e tendenzialmente il rap americano è più crudo di quello italiano e strettamente legato al tessuto sociale dove è proliferato.

In più, non esistono studi recenti che abbiano dimostrato un affettivo aumento nell’abuso di droghe o nel ricorso a pratiche violente tra gli adolescenti a causa della musica ascoltata.

«Dal mio punto di vista, colpevolizzare la trap in caso di condotte estreme è una generalizzazione semplicistica, – risponde a Wamily la dott.ssa Maggiori, Presidente dell’Associazione Italiana Professionisti della Musicoterapia (AIM) – chi compie gesti estremi generalmente ha alla base situazioni di disagio personale o psicologico. Oggi tanti adolescenti vivono grosse difficoltà a livello personale che hanno a che vedere, più che con il musicale, con il loro stare nel mondo. Le nuove generazioni faticano a trovare un loro posto nella società, come testimonia l’incremento di disturbi alimentari, suicidi, disagi di vario genere che riguardano l’area dell’espressione personale. In più, c’è del disagio culturale».

Dopotutto, prima della trap, venivano visti di malocchio generi come l’heavy metal, l’hardcore, il punk. Pure Vasco Rossi ai suoi albori veniva descritto come un pessimo modello per i giovani dell’epoca, che oggi sono adulti che storcono il naso perché i figli hanno nelle cuffie le hit di Sfera Ebbasta. È rimasto nella storia l’articolo che il giornalista Nantas Salvalaggio dedicò al cantautore emiliano sul settimanale Oggi nel lontano 1980, quando “Blasco” aveva da poco pubblicato l’album Colpa di Alfredo:

«Il divo […] è un certo Vasco. Vasco de Gama? Ma no, Vasco Rossi… […] un bell’ebete, anzi un ebete piuttosto bruttino, malfermo sulle gambe, con gli occhiali fumè dello zombie, dell’alcolizzato, del drogato “fatto”. […] E non è tutto: era anche banalmente, esplicitamente allusivo. Diceva in parole povere: emozioni forti, sensazioni violente, questo voglio, violente sensazioni, sempre più forti, anche se il prezzo da pagare è la vita… […] E intanto mi chiedevo: gente della Tv, della stampa, del governo, ma quando faremo un’indagine seria, un calcolo approssimativo, di tutti i giovani che si sono “fatti”, che si sono procurati un passaporto per l’altro mondo, sulle orme dei cantori dell’eroina, come quel tale Lou Reed, che a Milano si pronuncia giustamente Lùrid? […] A questo punto, temo, “alti lai” si alzeranno da ben noti ambienti industriali: da quelle case discografiche, voglio dire, che si sono da tempo ritagliato questo losco praticello che esalta con psichedeliche suggestioni, il “messaggio”, la “ribellione” della droga. […]. Così va la cultura: mi piacerebbe tanto ascoltare ciò che ne pensano gli illuminati ometti del passato: ma sì, alludo a un Platone, a un Socrate, un Seneca: cosa direbbero del Vasco cotto da periferia?…».

In genere l’hip hop viene ingiustamente e «interamente bollato come violento e promotore della droga, misogino o sessualmente offensivo», si legge nel libro Therapeutic Uses of Rap and Hip Hop, pubblicato nel 2012 da un gruppo di musicoterapeuti americani, tuttavia secondo gli autori si tratta di una banalizzazione. La musica rap è uno sbocco che permette a diversi artisti di esprimere se stessi e la cultura in cui sono cresciuti, indipendentemente dalle controversie sul contenuto o sul messaggio. Anzi, secondo gli autori del libro il rap può avere anche una funzione terapeutica, se utilizzato nel giusto contesto, poiché offre ai pazienti l’opportunità di rispecchiarsi in quelle parole di sofferenza.

Ha senso accusare una forma d’espressione artistica imputandole la colpa dei “mali del mondo”? Forse, la musica trap viene utilizzata come capro espiatorio in funzione apotropaica: è più facile trovare un colpevole, piuttosto che realizzare e accettare la complessità della realtà e della società in cui viviamo.

Cambiare prospettiva quindi è la soluzione più auspicabile. Anziché vedere un nemico nei testi delle canzoni e arrendersi all’idea che i giovani non siano in grado di distinguere tra realtà e arte, è più sensato lavorare per allenare e sviluppare il senso critico degli adolescenti. Per aiutarli a leggere tra le righe, a crearsi dei valori e dei principi solidi.

«La misura rap e trap piace specialmente ai giovani perché parla di loro e perché è partita da loro – aggiunge la musicoterapeuta –. L’adulto preso dalla routine del lavoro, della frenesia, non si sente in risonanza con quello che i testi comunicano. Oggi, poi, tra le nuove generazioni c’è un grande bisogno di trovare uno spazio per confrontarsi, per parlare, per buttare fuori, per esprimersi, per poter raccontare anche i loro disagi, per dare un senso all’esistenza. Uno spazio che i giovani trovano nella musica, perché nella realtà non si sentono riconosciuti».

La musica ha il compito di educare?

Ma, quindi, è scorretto pretendere che la musica svolga un ruolo educativo? Secondo gli antichi Greci, la musica educava l’anima, come la ginnastica educava ed esercitava il corpo. La musica, insieme alla matematica, era uno dei pilastri del sistema educativo di una delle prime civiltà sviluppate. E continua pure oggi, nelle sue diverse forme, a svolgere un ruolo pedagogico.

«Non bisogna assolutamente slegare la musica dall’educazione, anzi l’educazione deve essere fatta anche e soprattutto attraverso l’arte, e quindi anche attraverso la musica, che aiuta nel percorso di crescita a tirare fuori dall’individuo le sue potenzialità, oppure a trovare nuovi contenuti» risponde la musicoterapeuta.

«Detto ciò – continua la musicoterapeuta Maggiori –, è giusta la libera espressione, ma chi scrive canzoni deve tenere conto della società in cui viviamo, della nostra cultura. Negli anni Cinquanta esisteva la censura che eliminava dai testi delle canzoni delle parole che oggi ci sembrerebbero anacronistiche. A volte si trascura la fase dell’elaborazione delle emozioni: la rabbia, presente in tante canzoni, è l’espressione del buttare fuori, e va bene, ma è importante elaborarla».

«Come ci insegna la storia della musica, ovviamente c’è trap e trap – spiega la dott.ssa Maggiori –. Certo, in Italia è diventata dilagante da pochi anni, ma, come genere di nicchia è sulla scena da parecchio ormai. Oggi è popolare, e per questo c’è stato un grande investimento da parte dell’industria discografica, e parallelamente l’amplificazione sui social che ha raccolto proselitismo, con i rischi che ne derivano. Viene trasmessa ovunque, ascoltata da bambini come da adulti e rientra nella musica commerciale, quindi diventa difficile controllare quello che accade».

Non è unicamente il testo comunque ad esercitare un’influenza sull’ascoltatore: la musica trap è attivante innanzitutto per il suo suono. «La trap è una musica energizzante, con poca melodia e tanto ritmo, che ha un effetto attivante sull’ascoltatore – spiega la musicoterapeuta –. I bassi, le pulsazioni accelerate, i testi attenti alla metrica, il ritmo incalzante rendono l’ascoltatore più sveglio, partecipativo e inducono il corpo a muoversi, come accade con la musica da discoteca». «Quella tra suono e testo è una vecchia diatriba dell’opera lirica. In realtà sono importanti in egual misura, bisogna saperli usare bene entrambi perché il brano abbia la maggior presa sul pubblico e il maggior contatto».

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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