Ogni anno in Italia ci sono bambini che, pur non avendo mai commesso alcun crimine, si trovano a crescere dietro le mura di un carcere. Sono i figli delle detenute, bimbi sotto i sei anni d'età che dovendo rimanere con le loro mamme assaporano i primi assaggi della propria esistenza in un ambiente limitato, talvolta ostile, e che rischia di comprometterne precocemente il futuro.
Al marzo 2023 sono 26 i minori che abitano in una struttura detentiva, ma si tratta di un numero che varia ogni mese in base alla lunghezza delle pene delle madri. L'ordinamento italiano infatti tende a evitare le reclusione per le madri di bambini molto piccoli, tuttavia vi sono casi in cui le misure alternative alla detenzione, come gli arresti domiciliari, non possono essere applicate.
Ciò avviene ad esempio quando le donne condannate non presentano fissa dimora, provengono da contesti familiari particolarmente violenti e degradati o vi è il pericolo di reiterare il reato.
Cosa dice la legge?
Quando si parla di madri e regime carcerario, la norma da prendere in considerazione è la legge n.354 del 1975 che regolamenta l'ordinamento penitenziario in Italia.
Al momento della sua promulgazione, questa normativa prevedeva che le madri condannate a scontare un periodo detentivo potessero tenere i figli in carcere con loro fino al compimento dei tre anni. Nel 2011 però, l'integrazione della legge n.62 andò a cambiare le disposizioni in materia con il dichiarato intento di «valorizzare il rapporto tra detenute madri e figli minori».
In particolare le modifiche riguardarono:
- Sospensione della custodia in carcere per le madri con figli d'età non superiori ai sei anni a meno di particolari esigenze cautelari (pericolo di fuga, rischi per l'incolumità del minore ecc…)
- Istituzione degli ICAM (istituti a custodia attenuata per detenute madri) ossia strutture esterne al carcere e dotate di sistemi di sicurezza non riconoscibili dai bambini dove le madri in custodia cautelare – e per le quali non può essere disposto l'arresto domiciliare – possono vivere insieme ai figli minori di 6 anni (o 10 in caso di pena definitiva).
- Ricorso alle case famiglia protette per scontare gli arresti domiciliari.
- Possibilità – in base alle decisioni del giudice – per donna incinte o madri conviventi con figli di età inferiore ai 10 anni di scontare la pena ai domiciliari presso la propria abitazione o in una casa famiglia protetta.
- Diritto della madre di ottenere permessi per uscire dal regime detentivo e visitare il figlio minore di 10 anni se questi versa in gravi condizioni di salute.
A completare il quadro normativo vi è infinte l'articolo 146 del Codice Penale riguardante il differimento della pena, ossia il rinvio delle pene superiori all'anno previste per i malati di malattie gravi come l'AIDS o, per l'appunto, donne incinte e madri con bambini sotto all'anno di vita.
Come vengono applicate le regole?
Quella riguardante la difficile compatibilità tra madri e carcere rimane una realtà molto complessa.
Se infatti da un lato c'è chi lamenta una certa inadempienza dello Stato, reo di concedere una sorta d'impunità a donne che continuano a delinquere indisturbate perché certe di non finire in prigione (lampante il recente caso di cronaca riguardante il fenomeno delle borseggiatrici sulle metro a Milano), dall'altro si palesa un sistema non solo poco efficace nella rieducazione e riabilitazione delle detenute – principio espresso tra l'altro dall'Articolo 27 delle nostra Costituzione – ma anche inadatto a tutelare la crescita dei bimbi.
L'obiettivo delle modifiche attuate nel 2011 era infatti quello di evitare il carcere alle donne con bambini molto piccoli, ma l'applicazione delle nuove norme si è dovuta scontrare con le lacune di un sistema carcerario come quello italiano, dove le strutture per accogliere mamme e bambini sono molto poche, mal distribuite sul territorio e, in molti casi, poco compatibili con uno sviluppo quanto più sereno del minore.
Certo, gli Icam hanno i muri colorati, sono sorvegliati da guardie senza divisa né armi e prevedono la presenza di educatori e specialisti per seguire la crescita dei piccoli ospiti, tuttavia centri del genere rimangono strutture detentive, con le sbarre alle finestre e spesso localizzate in contesti piuttosto isolati.
Ciò implica non solo che i bambini dispongano di un ristretto spazio fisico per giocare e fare esperienza del mondo, ma anche che vi siano pochissime occasioni d'interazione con altri pari età che non siano i figli delle altre detenute.
Questo può che implicare importanti conseguenze sia per l'evoluzione delle capacità relazionali dei piccoli, sia per quelle linguistiche, visto che il generale scarso livello culturale del contesto sovente porta lo sviluppo di un vocabolario inefficiente e assai limitato.
Da qui l'annosa discussione sulla necessità di prevedere per queste madri pene giuste e commisurate al reato connesso ma che evitino il carcere in modo da salvaguardare i loro figli.
Le proposta di legge e il suo ritiro
Nascere e passare i propri primi anni di vita in una prigione può rappresentare ovviamente un macigno pesantissimo per lo sviluppo psicofisico di un bambino. I piccoli che crescono in una cella o un Icam infatti spesso sviluppano stati d'ansia costanti, faticano a distaccarsi dalla figura materna e palesano difficoltà comunicative.
Per ovviare a questa situazione, negli ultimi tempi il Parlamento aveva messo al vaglio una nuova legge per togliere definitivamente i bambini dal carcere e prediligere il ricorso a pene alternative. Nel marzo 2023 però, gli stessi firmatari dell'iniziativa – oggi all'opposizione in quota Partito Democratico – hanno ritirato la proposta in seguito alle modifiche volute dalla maggioranza che, a detta degli autori, avrebbero snaturato il senso dell'intervento, riproponendo la pena detentiva in caso di recidiva da parte delle madri e, anzi, cancellando il su citato differimento della pena che ad oggi impedisce alle donne incinte o con figli con meno di un anno di varcare le porte del penitenziario.
Dopo la rinuncia dei parlamenti PD, ora sarà la maggioranza, Lega in testa, a proporre una nuova legge che, stando agli annunci delle parti coinvolte, andrà ad inasprire le misure già previste.