La sala parto è il tempio della fisiologia: nulla è più naturale, infatti, della nascita di un bambino. Se tuttavia l’obiettivo principale è proprio quello di garantire la spontaneità di questo evento magico non bisogna dimenticare che un altro grande fine è quello di salvaguardare la salute di mamma e bambino.
Può accadere, perciò, che il personale qualificato debba effettuare alcune manovre meno fisiologiche con l’obiettivo di accelerare un percorso nel quale si ravvisa qualche difficoltà.
Sono le manovre ostetriche e qui vi spieghiamo in cosa consistono e quando si rendono necessarie durante il parto.
Amniorexi o Amnioressi
Si tratta della rottura artificiale delle membrane amniotiche (quello che in gergo non tecnico chiamiamo “sacco” o “borsa” o, semplicemente “rottura delle acque”).
È una manovra indolore eseguita attraverso una semplice visita vaginale, per la quale però ci si avvale di uno strumento sterile, l’amniotomo, che ha una piccola punta ad uncino non pericolosa. Attraverso questo oggetto risulta più facile pizzicare le membrane per favorirne la rottura.
Perché farlo? I motivi possono essere vari. Può essere usata come tecnica per accelerare un travaglio un po’ statico perché si è visto come la rottura delle membrane liberi prostaglandine, ormoni responsabili delle contrazioni.
In altri casi, invece, l’ostetrica o il medico possono semplicemente avere la necessità di controllare il colore del liquido amniotico per ricevere rassicurazioni rispetto ad alcune situazioni cliniche.
Ventosa ostetrica
La ventosa ostetrica è un dispositivo che permette di agganciare (tramite la creazione del vuoto) con una coppetta la testa del bambino così che il medico possa fare forza tirando dall’esterno e aiutando l’uscita del neonato.
Si tratta di uno strumento che può diventare necessario quando il ginecologo o l’ostetrica si rendono conto che il feto è in difficoltà nell’affrontare l’ultima fase delle spinte e ha bisogno che il tutto finisca quanto prima.
Talvolta anche la mamma può arrivare in fondo al travaglio molto stanca e provata, con spinte meno efficaci che necessitano di un aiuto esterno.
Manovra di Kristeller
Si tratta di pressioni eseguite, da parte di personale qualificato, sul fondo dell’utero (quindi sulla pancia della mamma), in concomitanza con la contrazione, con l’obiettivo di favorire l’uscita del piccolo.
Sono manovre invasive e fastidiose e, anche per questo motivo, la letteratura scientifica le sconsiglia.
Ad oggi, quindi, si preferisce molto di più utilizzare la ventosa. Ma vale comunque la pena parlarne, essendo parte del ventaglio di possibilità a disposizione dei professionisti.
Episiotomia
È un taglio lungo qualche centimetro che viene eseguito dall’ostetrica (o dal medico) sul perineo.
Un tempo si credeva che effettuare questa manovra fosse un metodo per controllare e prevenire le lacerazioni maggiori. Oggi, invece, la letteratura ha ampiamente dimostrato come non solo non sia significativo ma, addirittura, che una lacerazione spontanea ripara con risultati migliori rispetto ad una provocata artificialmente.
Le indicazioni per l’episiotomia rimangono davvero poche: si esegue quasi esclusivamente quando c’è un forte stress del feto che necessita di ridurre i tempi di uscita.
Chiaramente, prima del taglio, viene eseguita una infiltrazione con anestetico in modo da non far sentire dolore.
Sutura delle lacerazioni del perineo
La riparazione delle lacerazioni perineali è una manovra sempre necessaria, a meno che non si tratti di piccole abrasioni non sanguinanti.
Dopo il parto, tuttavia, la madre è spesso stanca e anche questo aspetto diventa l’ennesima prova di pazienza: per prima cosa viene eseguita una infiltrazione con un anestetico locale e poi con ago e filo si riavvicinano i piani di tessuto che, con l’uscita del piccolo, possono aver subito qualche danno.
Analgesia epidurale
L’epidurale o peridurale è la nuova manna dal cielo per tante mamme che vivono la sala parto.
Si tratta di una forma analgesica che mira a iniettare farmaci anestetici nello spazio peridurale, senza raggiungere il midollo spinale. Questa procedura, a differenza di quanto accade per un taglio cesareo, permette alle pazienti di sperimentare una assenza o riduzione di dolore pur mantenendo la mobilità delle gambe e la conseguente possibilità di movimenti liberi.
L’autore di tutto, questa volta, è il medico anestesista e la procedura necessita di un consenso specifico non essendo, comunque, priva di rischi.
Esistono comunque delle valide alternative anche all’analgesia epidurale: sperimentare il travaglio/ parto in acqua, ad esempio, nelle strutture che lo permettono, può aiutare enormemente nella gestione del dolore. Allo stesso modo anche il protossido d’azoto, ove disponibile, è una forma inalatoria di analgesia dalla quale spesso si ricavano importanti benefici.
Infusione di ossitocina
Non di rado capita, in sala parto, che venga utilizzata l’ossitocina.
Questo ormone sintetico, copia esatta di quello naturale, permette di regolarizzare le contrazioni qualora il travaglio rallentasse nei tempi e ha inoltre un ruolo fondamentale nella prevenzione dell’emorragia del post partum.
Chiaramente l’infusione con l’ossitocina, visto che le contrazioni che ne conseguono sono associabili ad un dolore non fisiologico, è associata anche ai benefici della partoanalgesia.
Tutto questo, ovviamente, è quanto può accadere in situazioni di relativa normalità. In caso di emergenza, invece, il comportamento del personale segue strade bene definite e protocollate.