L’attuale Ministero della famiglia, della natalità e delle pari opportunità ha, dal momento della sua nascita, subìto diversi cambiamenti nella denominazione. Ad ogni modifica è corrisposto un diverso intento del governo vigente, riguardo all’attenzione da dare a certe tematiche e alle manovre da mettere in atto a tal proposito.
La storia del Ministero della natalità
Il Ministero per pari opportunità in Italia è nato nel 1996, a seguito della IV conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle donne di Pechino. Doveva il suo nome a una delle tematiche più calde emerse dalla conferenza, il principio di pari opportunità e non discriminazione delle donne. La speranza era che questo diventasse un valore universale.
Fu Sergio Mattarella, 23 anni dopo, a volerlo rinominare aggiungendo alla dicitura il tema della famiglia: “Ministero per le Pari Opportunità e per le Politiche Familiari”. L’obiettivo primario era quello di conciliare la vita lavorativa con la genitorialità, soprattutto per le donne.
Il governo Meloni nel 2022 ha invece introdotto una nuova dicitura: la natalità. Ha ordinato poi gli altri nomi trasformando quello che era nato come un Ministero volto a tutelare le pari opportunità, a un Ministero che lascia in fondo questa tematica.
Così è nato il “Ministero per la famiglia, la natalità e le pari opportunità”. A capo la Ministra Eugenia Roccella, che ha ripetuto più volte che questo Ministero è nato dai movimenti delle donne e dunque che lei desidera occuparsi prettamente di loro e delle ingiustizie che ancora subiscono.
Inevitabilmente a rimanere in coda sono tutte le tematiche delle quali quel Ministero dovrebbe occuparsi, come il diritto all’aborto, l’identità di genere, le famiglie arcobaleno, le unioni civili. Temi centrali per il grosso problema di denatalità che investe il nostro Paese e che la presenza del termine natalità nel nome del Ministero, fa intuire che il governo voglia in qualche modo contrastare.
Ma non è solo tutelando le donne, aumentando il loro stipendio nei mesi del congedo parentale, per esempio, che si risolverà la questione. Dovrebbe essere assodato ormai nel 21esimo secolo che le donne non siano le uniche a doversi occupare dei figli e che la famiglia tradizionale non sia più la sola a popolare la nostra società. È necessario porre al centro questioni come l’adozione per single e coppie omogenitoriali e l’accesso alle tecniche di PMA, per ogni tipologia di famiglia.
La denatalità in Italia
I dati riportati dal report Istat del 2022, riguardo la natalità nel nostro Paese da qui al 2070 parlano chiaro: nel 2048 i decessi potrebbero diventare il doppio delle nascite. Si prospettano, però, fasi alterne. Se fino al 2030 il trend di nascite post-pandemia sarà in recupero, raggiungendo il numero di 422mila nati entro il 2038, subirà poi un calo a causa dell’invecchiamento generale della popolazione.
Le donne in età fertile invecchieranno, riducendo quindi il potenziale riproduttivo del Paese. Le famiglie in generale aumenteranno, ma a crescere saranno quelle senza nucleo famigliare, ossia i single. Caleranno invece quelle composte da almeno due componenti, che siano una coppia o il duo genitore-figlio. E le coppie senza figli, invece, aumenteranno del 13% entro il 2040 e nel 2045 arriveranno a superare quelle con figli.
Perché in Italia non si fanno più figli
Viviamo in un periodo di incertezza economica, ormai dalla crisi del 2008, negli ultimi anni si sono evidenziati poi i risultati dei danni che abbiamo inflitto all’ambiente, tra guerre, epidemie e crisi climatiche. Il nostro Pianeta non sembra a tutti gli effetti il posto più sicuro in cui nascere.
Ma lasciando da parte le paure che possono prendere tutti noi davanti all’idea di diventare genitori, dobbiamo fare i conti con delle impossibilità sociali ed economiche. Purtroppo anche con le leggi che impediscono a qualcuno di diventare genitore.
Innanzitutto, non è più una priorità delle giovani coppie fare figli. L'Istat rileva che il progetto della genitorialità tenderà sempre più ad essere posticipato. Posti di lavoro precari o sottopagati fanno sì che si abbandonino le mura domestiche mediamente a trent’anni in Italia.
L’instabilità economica porta i genitori a spendere fino a 10.000 euro all’anno per mantenere e aiutare i figli, i quali al massimo possono ambire a un affitto, che spesso non dà loro la giusta idea di stabilità. Questa mancanza di sicurezze sociali e economiche fa sì che a muovere i giovani sia uno spirito individualista e di autodeterminazione prima che il desiderio di mettere al mondo un bambino.
In Italia non tutti possono diventare genitori
C’è chi, invece, il desiderio di diventare genitore lo ha da sempre, ma vive in una società in cui le leggi e lo Stato non lo aiutano di certo. La medicina permette di avere figli anche a chi non può averne in maniera naturale, con le tecniche di procreazione medicalmente assistita, normate dalla legge 40 del 2004. A poter accedervi, però, sono solo le persone con una diagnosi di infertilità, eterosessuali e con un compagno o una compagna. Pensiamo a che fetta immensa della popolazione rimane fuori: le coppie omogenitoriali e i single.
Assurdo pensare di vietare di avere figli a chi un giorno, come conferma l’Istat, sarà in maggioranza ad abitare il nostro Pianeta, e poi ergersi a paladini della natalità. Tutte queste persone devono quindi recarsi all’estero, o meglio, solamente chi di loro ha le possibilità economiche per farlo.
Single e omosessuali non possono neanche decidere di adottare, a stabilirlo è una legge che sta per compiere 40’anni. Salvo, per i single, nei casi delle adozioni particolari, ossia l’adozione di bambini affetti da patologie o invalidità, specificate dal testo di legge, parentela fino al sesto grado col piccolo o constata impossibilità dell'affidamento pre adottivo.
Visti i presupposti il tentativo del Governo di incentivare la natalità, sembra un’impresa impossibile, soprattutto se non si incentiva né tutela il desiderio di chi vuole diventare genitore.
Il congedo parentale in Italia vede ancora un'immensa disparità tra i 10 giorni fruibili dall’uomo e i giorni che effettivamente trascorre lontana dal luogo di lavoro la mamma. Per non parlare della quota di part-time che mediamente le donne sono obbligate a scegliere, in una società che ancora crede che spetti solo alle donne la cura dei bambini.
Dobbiamo evolverci e comprendere che è importante, ma non basta, sostenere solo economicamente le famiglie già esistenti. Serve soprattutto rattoppare un sistema legislativo che frena il desiderio di genitorialità di molti.
Se davvero desideriamo che il trend delle nascite cambi direzione, dobbiamo comprendere che non basta mettere la natalità nel nome del Ministero ma applicarci affinché chi desidera diventare genitore lo possa fare davvero.