Il mutismo selettivo è un disturbo che colpisce principalmente i bambini sotto gli 8 anni, causato dall'ansia che alcune situazioni sociali provocano nel piccolo. In presenza di estranei, a scuola, davanti ad adulti che non siano i suoi genitori, il bimbo teme così tanto di sbagliare a parlare che si ammutolisce completamente.
Per capire a pieno come si sentono i nostri bambini, immaginiamo di essere su un palcoscenico, una luce bianca su di noi, davanti una platea pagante pronta ad ascoltarci. Allora noi cerchiamo di parlare, di interpretare la nostra parte che fino a pochi minuti prima ripetevamo a memoria nei camerini. Improvvisamente le parole non ci escono, mettiamo le mani alla gola ma nulla, vuoto totale.
Abbiamo fatto tutti almeno una volta un incubo simile, tirando un sospiro di sollievo al suono della sveglia. Per qualcuno, però, quella sveglia non suona mai, perché tutto questo accade nella realtà. Così è come si sente un bimbo affetto da mutismo selettivo.
Cos’è il mutismo selettivo
Il mutismo selettivo è un disturbo d’ansia, che provoca l’incapacità, in alcune situazioni sociali, di parlare, interagire e comunicare. I bambini che manifestano questa patologia, in realtà, sanno parlare, lo fanno solamente in contesti familiari, come la casa, o con persone delle quali si fidano, come i genitori.
Erroneamente si è pensato per diverso tempo che tutto ciò non dipendesse dall’ansia, quanto più dall’intenzione del piccolo di comunicare solo in date circostanze. «Fino a 10 anni fa, si parlava di mutismo elettivo, quasi a voler dire che il bambino sceglie delle situazioni in cui poter parlare e altre in cui non farlo. Anche il termine selettivo fa ancora troppo riferimento alla volontà. In Inghilterra è stato proposto di definirlo mutismo situazionale, così da sottolineare la totale deresponsabilizzazione del bambino» spiega la logopedista Anna Biavati.
Come capire se il piccolo è affetto da mutismo selettivo
Innanzitutto non dobbiamo confondere la timidezza con il mutismo selettivo. Un bambino timido tende a sciogliersi, messo a suo agio inizia a chiacchierare e giocare con adulti e coetanei.
«I bambini che hanno paura di parlare rimangono molto rigidi nei contesti in cui non riescono a esprimersi. Può capitare anche che manifestino altri sintomi ricollegabili a un forte stato di agitazione, per esempio non ci guardano negli occhi se gli parliamo, sono inespressivi o diventano aggressivi» sottolinea la dottoressa Biavati.
Generalmente il disturbo si presenta per un bambino ogni 140, al di sotto degli 8 anni di età e per un bambino ogni 256 dagli otto anni in su. Ad accorgersene sono spesso le maestre, all’asilo o in prima elementare. I genitori, invece, potrebbero non rendersene conto, perché con loro il piccolo è molto loquace. Cogliere questa discrepanza tra l’utilizzo della parola del bimbo e i vari ambienti è un campanello d’allarme fondamentale per comprendere che dobbiamo rivolgerci a un professionista.
«Se il bambino manifesta questi comportamenti ansiosi, per oltre un mese dall’inizio della scuola, è compito della maestra intervenire contattando la famiglia. Serve a poco pensare di poter risolvere tutto da soli, le evidenze cliniche dimostrano che i bambini non trattati tempestivamente, rischiano di rimanere in silenzio per molto tempo» afferma la logopedista Anna Biavati. Infatti meno il piccolo si abitua a comunicare, più aumenta la sua ansia sociale.
Quali sono le cause
«Erroneamente molte persone sono convinte che la causa del mutismo selettivo sia un trauma che il piccolo ha subito, ma non è così. Quando vi è un caso di mutismo estremo che compare da un momento all’altro, allora si parla di mutismo traumatico, altrimenti le cause sono ben diverse» afferma la dottoressa Anna Biavati, smontando un falso mito in cui molti credono.
Alla base del disturbo sembra esserci una componente genetica, i piccoli ereditano l’ansia da genitori molto ansiosi o che hanno sofferto di disturbi dello spettro dell’ansia.
Ovviamente la timidezza del piccolo fa la sua parte, ma anche il nostro modo di porci come genitori, se siamo iperprotettivi e cerchiamo sempre di evitare loro situazioni ansiogene o di stress, paradossalmente i piccoli poi non impareranno mai ad affrontarle.
Quali accorgimenti possiamo attuare
Purtroppo accadrà che qualcuno, con poca sensibilità o che crede di sbloccare il piccolo dall’ansia gli chiederà “Ma non parli?”.
La logopedista Anna Biavati ci ha dato qualche dritta da seguire per aiutare il bimbo a superare la sua paura di comunicare:
- Non serve chiedere al piccolo “Allora, perché non parli?”, la domanda sembra sottolineare che dietro al mutismo ci sia una sua scelta. Poi, come abbiamo detto il tutto dipende da una fobia del linguaggio e non c’è una spiegazione alle paure. «Il piccolo potrebbe non essersi sviluppato completamente a livello emotivo, e non comprendere ciò che accade, sentirsi chiedere perché potrebbe renderlo più frustrato. Piuttosto invitiamolo a fare una riflessione “Hai notato che in alcuni momenti le paroline si nascondono?”» Non importa se il bimbo non risponde, conta che ragioni su questo disturbo.
- Possiamo quindi osservare il piccolo e accettare il suo comportamento.
- Non serve a nulla imboccare il bambino dicendo frasi come “Amore saluta e chiedi come stanno”, rincareremo solo la sua paura.
- Allo stesso modo non dobbiamo sostituirci al bimbo rispondendo per lui. Può capitare che le persone che ci circondano si straniscano davanti al suo silenzio, ma etichettare il bimbo dicendo “Ah è timido, non parla”, non servirà a molto, se non a farlo sentire sbagliato. «Davanti alle domande indiscrete possiamo dire “Ci sta pensando, la prossima volta prova di nuovo a rispondere” così facendo spieghiamo al piccolo che non ha fallito, che serve sempre riprovarci, perché tramite l’errore si impara».
Come avviene la diagnosi di mutismo selettivo
Il mutismo selettivo è un disturbo principalmente causato dall'ansia, in questo differisce totalmente da altri tipi di problemi del linguaggio. Dunque la diagnosi avviene quando viene appurato dallo specialista, grazie all'aiuto dei genitori e degli insegnanti, che il piccolo non riesce proprio a parlare in certe specifiche situazioni sociali. Questo è molto evidente a scuola, davanti a un'interrogazione orale o a una lettura ad alta voce, oppure per strada, quando a rivolgere loro la parola è un adulto che non conoscono.
L'esperto per effettuare la diagnosi chiederà se questa situazione dura da almeno un mese. Senza considerare però il primo mese di scuola, periodo in cui il piccolo deve ancora abituarsi a questa situazione del tutto nuova e che magari lo stressa un po'.
Un altro elemento che viene indagato per dare una diagnosi di mutismo selettivo è il livello di agitazione del piccolo quando sa di dover parlare in pubblico, dunque ha dei disturbi quali tic, pianti inconsolabili o iperventilazione.
A chi rivolgerci in caso di mutismo selettivo
Inizialmente possiamo rivolgerci a un neuropsichiatra infantile, che sia specializzato in questo. «Troppo spesso viene detto ai genitori di non preoccuparsi, che il piccolo imparerà, quando invece dall’esterno il bimbo è sottoposto a una fortissima pressione sociale e ha bisogno di essere aiutato da uno specialista» afferma la logopedista Anna Biavati.
Ad intervenire, poi, possono essere lo psicologo infantile e il logopedista. In ogni caso, la cosa più importante è che il team che si occupa del piccolo faccia lavoro di squadra. Adulti e professionisti devono collaborare per mettere in atto una strategia comune.
Anche gli insegnanti sono fondamentali, in una sistema scolastico come il nostro che prevede letture ad alta voce e interrogazioni, devono essere attuate delle strategie per aiutare il bimbo. Dobbiamo sempre provare a metterci nella sua testa, più che non ricordare le parole il piccolo ha paura che tutti scoppino in una fragorosa risata per il suo tono di voce, per le sue incertezze, perché dice parole sbagliate.
«Non importa in quale modo chiediamo al piccolo di parlare, anche il modo più dolce che conosciamo potrebbe farlo sentire sotto pressione. In base alle sue abilità dobbiamo studiare il metodo migliore, perché affronti e superi la sua paura» dice la logopedista Anna Biavati.
La chiave è farlo sentire compreso e accolto, fargli capire che capiamo i suoi sforzi e partire proprio dai suoi punti di forza. Solo così lo convinceremo che il mondo di cui ha tanta paura, non è lì per giudicare come parla, piuttosto per ascoltarlo.