Il 2022 è stato un anno record per la denatalità e anche i primi sei mesi del 2023 non fanno ben sperare. Il rapporto ISTAT sulla "Natalità e fecondità della popolazione residente – 2022" ha infatti registrato per la prima volta nella storia repubblicana un numero di nuovi nati inferiori alle 400mila unità: 393.333 nascite che comportano un calo dell'1,7% rispetto all'anno precedente.
Numeri che confermano l'irreversibile crisi di natalità del Belpaese e che molto probabilmente proseguirà la sua inarrestabile discesa verso l'inverno demografico anche nel 2023.
Secondo i dati provvisorio del periodo gennaio/giugno infatti, le nascite nei primi sei mesi dell'anno in corso sono ulteriormente diminuite di circa 3.500 unità (-1,9%) rispetto al medesimo periodo del 2022.
I numeri della crisi
Nella sfilza di voci che presentano un segno negativo, a spiccare è ancora una volta la decrescita del dato riguardante il numero di figli per donna, fermo a 1,22 nella prima parte del 2023 e che nel 2022 era stato pari a 1,24.
Ben lontano dunque l'ultimo picco del 2010, quando figli per donna erano "addirittura" 1,44, ben lontani comunque da numeri come quelli dell'odierna Franci, dove il numero di figli per donna è superiore a 1,8.
Ma a cosa si deve questo tracollo? Secondo gli autori del report il calo delle nascite è imputabile sia al difficile contesto socio economico nel quale l'Italia versa da ormai due decenni, sia alle trasformazioni che hanno interessato la popolazione femminile in età feconda, ossia nella fascia tra i 15 e i 49 anni
«In questa fascia di popolazione le donne sono infatti meno numerose di un tempo – si legge nel documento – Quelle nate negli anni del baby-boom (dalla seconda metà degli anni Sessanta alla prima metà dei Settanta) sono quasi tutte uscite dalla fase riproduttiva mentre quelle che oggi ancora vi si trovano scontano l’effetto del cosiddetto baby-bust, ovvero la fase di continua riduzione della fecondità del ventennio 1976-1995 che ha portato al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995».
Fino a qualche anno fa questo fenomeno veniva attenuato dal contributo della popolazione di stranieri immigrati. Ora però, anche i nuovi italiani e i cittadini extracomunitari, pur aumentando di numero, non fanno più tanti figli come un tempo.
Genitori sempre più anziani
Tra i pochi trend in crescita vi è il numero di primogeniti, tornati a salire con l'affievolirsi degli effetti della pandemia.
Nel 2022 infatti, quasi il 50% dei nuovi nati è stato un primo figlio, elemento che si lega a doppio nodo con una genitorialità che nel nostro Paese rimane piuttosto tardiva: è di 31,6 anni ad esempio l’età media in cui le donne italiane diventano madri per la prima volta. Ben tre anni in più rispetto al 1995.
«Confrontando i tassi di fecondità per età del 1995, del 2010 (italiane e totale residenti) e del 2022 (italiane e totale residenti), si osserva uno spostamento della fecondità verso età sempre più mature – scrivono gli esperti – Rispetto al 1995 i tassi di fecondità sono cresciuti nelle età superiori a 30 anni mentre continuano a diminuire tra le donne più giovani. Questo fenomeno è ancora più accentuato se si considerano le sole cittadine italiane, per le quali, confrontando la fecondità del 2022 con quella del 2010, il recupero della posticipazione si osserva solo a partire dai 35 anni».
I nomi più diffusi
All'interno di questo quadro dai toni poco confortanti, l'Istituto di statistica nazionale ha registrato anche i nomi più diffusi tra i nuovi nati del 2022.
Tra i maschi è ancora Leonardo a comandare la classifica, un primato che si conferma ormai dal 2018. Al secondo posto Francesco e al terzo Tommaso. Chiudono la Top 5 Edoardo e Alessandro, sceso al quinto posto dopo il secondo piazzamento dell'anno precedente.
Per le femmine invece è ancora Sofia la regina tra le preferenze di neo-genitori. Stabili anche Aurora (secondo posto), Ginevra (terzo) e Giulia (quarto). New entry Vittoria, che sale da settimo al quinto gradino del podio.