I bambini non vengono al mondo tutti nello stesso modo: quando si nasce sono infatti tantissime le variabili che possono determinare questa o quella modalità di parto. Tuttavia quando si discute di parto naturale, parto cesareo o parto indotto, non sempre è così semplice avere ben presente ciò di cui si sta parlando.
Per fare un po' di chiarezza, ci siamo rivolti allora a Riccardo Federle, ostetrico presso l'Ospedale P.Pederzoli e membro del Comitato Socio-Scientifico di Wamily, il quale ha risposto alle domande più frequenti sulle diverse tipologie di parto.
Differenza tra parto naturale e parto distocico
Prima di tutto è importante chiarire la terminologia. Le tipologie di parto possono infatti essere suddivise in due macro aree:
- Parto vaginale
- Taglio cesareo
La grande differenza riguarda la "modalità di uscita" del bambino. Il parto vaginale è quello più naturale, dove il bimbo nasce fuoriuscendo dall'utero. Il parto con taglio cesareo, invece, prevede l'esecuzione taglio che faccia breccia all’interno della cavità uterina e permetta di estrarre il bambino dall’addome.
All’interno di queste due tipologie esistono però delle sostanziali variazioni. In particolare il parto può essere
- Eutocico. È il parto naturale al 100%, con assistenza ostetrica ma portato a termine dalle spinte e contrazioni materne.
- Distocico. In questa definizione rientrano tutti i tipi di parto che vengono "sbloccati" grazie ad un intervento esterno.
Il parto distocico quindi ricopre un ventaglio piuttosto ampio di casi e può interessare anche i parti che si concludono per via vaginale: in questo caso si parla di parto operativo, ossia un parto vaginale ma affrontato in modo distocico.
Ad esempio può essere distocico un parto in cui la dilatazione troppo rallentata necessiti un ricorso all’ossitocina, ma anche anche quando la testa non “s’impegna” (non entra cioè nello scavo pelvico) si viene a creare una distocia che, in questo caso, può richiedere un intervento più invasivo, come l'utilizzo della ventosa ostetrica. Qualora però tutti i tentativi si rivelassero vani, allora il taglio cesareo rappresenterebbe l'unico esito possibile per portare a buon fine il travaglio.
«Di fronte ad una complicanza (o distocia), il compito dell'ostetrico o dell'ostetrica è di individuare il problema e correggerlo, magari cambiando la posizione di madre e feto, usando l’ossitocina o ricorrendo alla ventosa» spiega Federle.
La scelta del parto: quanto influisce la volontà della madre?
Talvolta ci si chiede se la madre possa scegliere a quale tipo di parto sottoporsi. In realtà però, le linee guida non prevedono parti cesarei “a richiesta”, anche perché non sussistono evidenze che, laddove ci siano le condizioni per un parto naturale, sottoporsi ad un intervento chirurgico come il taglio cesareo possa migliorare molto le cose.
Certo, esistono alcuni casi in cui il taglio cesareo rappresenta la scelta preferibile, ma in questo caso la decisione segue un’indicazione medica e non una preferenza della paziente. Se ad esempio il bimbo è podalico, si può provare il rivolgimento (una manovra ostetrica per girare il piccolo dentro la pancia), ma questa non è una manovra obbligatoria per la paziente che vorrebbe comunque provare a partorire per via vaginale.
Qualora però la manovra non riuscisse o la situazione non si sbloccasse, il parto cesareo potrebbe diventare l'unica opzione possibile.
«Allo stesso modo, se la placenta dovesse impiantarsi nella parte bassa dell’utero, dove c’é la via d’uscita per l’utero, in fase di parto potrebbero verificarsi delle complicazioni – afferma Federle – Anche l’infezione da HIV può rendere necessario un cesareo per ridurre l’esposizione del feto al sangue infetto, tuttavia sono casi molto meno frequenti di quanto si possa pensare e ad ogni modo non c’entra la volontà della madre».
C'è un caso però in cui la volontà può fare la differenza, ossia quando la paziente si è già sottoposta in passato ad un parto cesareo. Quando ciò accade, le linee guida consigliano comunque di preferire il parto vaginale – a meno di parti gemellari, podalici o indotti – ma spetta comunque alla madre decidere se accettare il consiglio personale medico o scegliere il cesareo.
Perché si preferisce il parto vaginale al cesareo?
Il parto cesareo è necessario in diverse situazioni e permette ogni giorno a tantissimi bambini di nascere senza rilevanti controindicazioni. Si tratta però di un intervento chirurgico, dunque un'operazione che richiede un'anestesia (che già di per sé comporta qualche effetto collaterale), può portare ad eventuali complicanze e allunga le tempistiche necessarie per consentire al corpo materno di riprendersi.
Se ad esempio la neo-mamma avesse in programma di avere altri figli, dopo un cesareo dovrà aspettare un po' di tempo in più prima di cercare una nuova gravidanza, così da diminuire il rischio che l’utero si rompa a causa di una cicatrice troppo fresca.
«Il parto spontaneo poi è strutturato da Madre Natura in modo tale da preparare il bambino alla vita fuori: il passaggio attraverso un canale stretto, ad esempio, comprime i polmoni e li sollecita ad espellere il liquido amniotico, rendendoli dunque più pronti alla respirazione. Col cesareo invece questo non avviene e dunque l’adattamento alla vita “esterna” può risultare un po' più complicato», spiega Federle.
Cos'è il parto indotto?
L’induzione è una modalità per far iniziare in modo artificiale il travaglio naturale. Ciò può avvenire attraverso l’utilizzo di ausili meccanici (palloncino o catetere di Foley che viene gonfiato al livello del collo dell’utero che crea una dilatazione meccanica che stimola le contrazioni) o farmacologici (prostaglandine per generare contrazioni). Obiettivo dell’induzione è appiattire il collo dell’utero a pochi millimetri e dilatarlo per consentire la fuoriuscita del bebè.
Vista la componente artificiale, il parto indotto richiede tempi più lunghi e, talvolta, comporta un dolore più accentuato. Per questo, se la madre o il piccolo non sono pronti alla nascita, si può aspettare ancora qualche giorno oltre il termine stabilito. Se però sorgono delle complicanze nella madre o nel bambino (come un caso di preclampsia), le linee guida consigliano tempistiche diverse: maggiore è il rischio, più si cerca di anticipare.
Perché il parto in acqua?
L’acqua è una grande risorsa non solo per il travaglio, ma anche per i suoi prodromi. La doccia calda, infatti, rilassa la muscolatura (e fa sentire meno il dolore), favorisce la dilatazione e aumenta l'efficacia delle contrazioni, così come la vasca che, rispettando certe tempistiche, rende il momento del parto più agevole. Non si può però stare tutto il tempo in acqua, se non si ottiene l’effetto contrario.
«L'efficacia del parto in acqua dipende molto dalle caratteristiche della persona – specifica Federle – Se una persona ha una buona affinità con l’elemento, allora il parto in acqua mette maggiormente a proprio agio la partoriente e comporta importanti benefici, come un minor dolore e l'assunzione di posizioni che possono facilitare l'uscita del bimbo».
Affinché tutto vada per il meglio, è necessario che il parto in acqua sia naturale e privo di particolari complicazioni. Infatti, benché anche in acqua la paziente venga costantemente monitorata, le strumentazioni possono soffrire di piccole interferenze e ciò non deve mai accadere durante un travaglio "difficoltoso". Senza parlare poi del fatto che ventose e manovre non possono essere utilizzate con agio in una vasca piena d'acqua.
Consigli per prepararsi al parto
Oltre all'utilità "pratica" dei corsi pre-parto, anche l'atteggiamento mentale può risultare decisivo per rendere il meno problematica possibile l'esperienza della nascita.
«Il mio consiglio è quello di impegnarsi in un duplice lavoro: imparare a scegliere, ma anche imparare ad accettare. Se finissimo per considerare un fallimento tutto ciò che non va secondo i piani, allora sarebbe finita. Un cesareo o l’utilizzo di una ventosa non sono fallimenti di madri troppo deboli, ma strade alternative per arrivare al medesimo risultato. Lavorare su questa consapevolezza è estremamente importante. Prepariamoci dunque a farci sorprendere e anche ad accettare il dolore e i tempi legati alla nascita».