Abbiamo gli anni contati. Con i ritmi attuali di natalità e mortalità, tra circa 200 anni si registrerà l’ultima nascita in Italia. È lo scenario previsto dallo studio “Rinascita Italia” presentato in occasione dell’inaugurazione del 49esimo Forum di Cernobbio da The European House Ambrosetti, che ha prospettato un futuro desertico per l’Italia.
In effetti, l’Istat negli ultimi anni aveva già lanciato l’allarme sull’inverno demografico che si sta abbattendo sul nostro Paese. Secondo il report Istat pubblicato a settembre 2022, entro il 2070 la popolazione italiana è destinata a perdere più di 10 milioni di abitanti (da 59,2 mln del 2021 a 47,7 mln del 2070), nel 2041 una famiglia su cinque non avrà figli ed entro il 2049 i decessi raddoppieranno le nascite.
Lo studio “Rinascita Italia” ha proiettato il suo sguardo più lontano, interrogandosi sulle conseguenze della denatalità odierna sulla vita dei pronipoti dei nostri nipoti. La risposta è drammatica: se si mantengono i trend attuali e il divario di nascite e decessi continua ad aumentare al ritmo degli ultimi vent’anni, tra circa 200 anni si registrerà l’ultima nascita e intorno all’inizio del 2300 – nello specifico nel 2307 – la popolazione italiana potrebbe cessare di esistere.
Come gestire lo squilibrio demografico
La ricerca, oltre a tratteggiare uno scenario desolante, propone delle soluzioni. Gli attori principali da coinvolgere nella gestione dello squilibrio demografico sono le donne, le giovani coppie, l’immigrazione, gli anziani, la tecnologia, mentre gli strumenti su cui investire per invertire la rotta sono le politiche a sostegno della natalità, le nuove abitazioni, la Procreazione Medicalmente Assistita e il sistema educativo.
Donne: favorire la conciliazione tra lavoro e famiglia
Per frenare la denatalità occorre favorire la conciliazione tra vita professionale e vita familiare nell’universo femminile. Da un sondaggio condotto nell’aprile 2023 su un campione di 802 intervistati è emerso che il più della popolazione in Italia è convinta che la genitorialità costituisca un ostacolo all’occupazione femminile, con conseguenti ripercussioni sulla natalità. Il risultato del sondaggio è confermato dalle motivazioni di recesso dal posto di lavoro: la cura dei figli è la causa principale (44%) per cui le mamme nel nostro Paese lasciano il lavoro, a differenza dei padri, i quali solo nel 3% dei casi si licenziano per dedicarsi alla gestione familiare. Lo studio, quindi, propone di investire nelle politiche di conciliazione vita-lavoro attraverso, ad esempio, i congedi (rendendoli obbligatori e favorendo quelli parentali e di paternità, da portare a 71 mesi i primi e a 4 mesi i secondi) e del part-time, anche maschile.
Giovani coppie
Altro tasto dolente è quello delle giovani coppie e della precarietà lavorativa tra gli under 30. In Italia i giovani iniziano a lavorare a 25,1 anni, cioè 4,7 anni più tardi rispetto ai coetanei inglesi e 2,6 anni dopo i francesi. In più, l’Italia registra un primato negativo: è il secondo Paese d’Europa, dopo la Romania, per tasso di under 30 inattivi, i cosiddetti “Neet”, cioè ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano né lavorano. Le incertezze, la precarietà lavorativa, l’instabilità, il senso di spaesamento e le paure delle nuove generazioni determinano un conseguente ritardo nel raggiungimento dell’indipendenza dai genitori e, quindi, nella creazione di una famiglia. Anche qui, la soluzione è puntare su politiche di promozione della genitorialità, incentivando le imprese a concedere premialità e congedi ai neogenitori attraverso crediti fiscali, introducendo contributi monetari per l’assunzione di babysitter se entrambi i genitori lavorano e garantendo l’accesso ad asili nido e al servizio di mensa e mobilità casa/scuola.
Immigrazione
L’apporto dell’immigrazione, con l’ingresso in Italia di una popolazione giovane (a volte derivante dai ricongiungimenti familiari favoriti dalle regolarizzazioni) ha parzialmente contenuto gli effetti del cosiddetto “baby-bust”, cioè il disastro delle nascite, tuttavia oggi non è più sufficiente. L’apporto positivo dell’immigrazione sta infatti lentamente perdendo efficacia perché sta invecchiando anche il profilo per età della popolazione straniera residente. Lo studio mette in luce l’urgenza di intervenire sull’immigrazione, sviluppando una politica d’immigrazione selettiva (selezionando i Paesi d’origine e promuovendo politiche di attrattività),aumentando la quota massima di ingressi in Italia a 250mila, facilitando i riconoscimenti dei titoli di studio esteri e delle abilitazioni professionali e realizzando una legge sull’immigrazione che favorisca l’integrazione e la mobilità sociale.
Anziani: puntare su un invecchiamento attivo
L’Italia è il Paese con il più alto indice di vecchiaia (182,6 over 65 ogni 100 giovani), tuttavia gli anziani rappresentano anche un’opportunità, più che un fardello, come vengono dipinti di solito. Lo studio supporta un cambio di prospettiva che inquadri gli anziani come risorsa, anziché come costo, proponendo il modello dell’invecchiamento attivo: se la qualità della vita migliora in età avanzata, ha senso che gli anziani “invecchino bene”, preoccupandosi della loro salute fisica, mentale e sociale e partecipando attivamente nella società per quello che riguarda la sfera economica, culturale, civile e sociale, attraverso attività di volontariato, cura di figli e nipoti, partecipazione politica, assistenza a persone anziane, oltre alla loro partecipazione alla forza lavoro. Allo stato attuale, anche sul fronte del coinvolgimento attivo degli anziani, l’Italia è indietro, con un indice di invecchiamento attivo del 33,8, decisamente lontano dal 47,2 della Svezia.
Tecnologia: sfruttare la nuova frontiera dell'Intelligenza Artificiale
La tecnologia ha le carte in regola per fungere da àncora di salvataggio e offrire soluzioni significative nel mercato del lavoro, nell’assistenza sanitaria e nell’assistenza agli anziani. L’introduzione della robotica dell’Intelligenza Artificiale, per esempio, aiuterebbe a compensare la riduzione della forza lavoro, dovuta all’invecchiamento della popolazione, e a supportare i lavoratori anziani, permettendo loro di rimanere attivi più a lungo. Sul fronte della salute, telemedicina, algoritmi di Intelligenza Artificiale e robot ridurrebbero il bisogno di visite mediche frequenti e alleggerirebbe il carico di lavoro del personale sanitario. I robot possono rivelarsi utili anche nell’assistenza agli anziani: ne sono un esempio i robot di assistenza per la mobilità e la cura personale che possono offrire un sostengo alle fasce d’età più avanzate nello svolgimento delle attività quotidiane.
Educazione alla crisi demografica, Pma e co-housing
Secondo lo studio, occorre poi mettere le nuove generazioni al corrente della grave crisi di denatalità che sta colpendo il nostro Paese introducendo momenti formativi sulla demografia, sulla natalità e sulla genitorialità durante le lezioni di Educazione Civica in classe.
L’età delle madri al primo figlio si sta alzando progressivamente, con conseguenti difficoltà a procreare. È, quindi, essenziale ampliare l’accesso alla Procreazione Medicalmente Assistita, consentendo anche alle famiglie mono e omogenitoriali di praticarla, oltre che rafforzare il sostegno economico da parte del Sistema Sanitario Nazionale previsto per l’accesso alla Pma.
L’ultimo punto di intervento riguarda la casa, che è «uno dei tre pilastri fondamentali alla base della scelta di fare un figlio». A fronte dell’aumento dei prezzi e locazione, lo studio propone di promuovere progetti di co-housing con all’interno infrastrutture adatte alla gestione dei figli.