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2 Settembre 2023
18:00

«Oggi non sono potuta andare al lavoro perché sono una mamma». Lo sfogo di Melanie, divisa tra famiglia e professione

Melanie Ayivi, 28 anni, mamma di Jonathan, 2 anni, e freelancer si è sfogata sui social sulla condizione delle mamme lavoratrici in Italia. Il video, diventato virale, è stato ricondiviso da migliaia di altre donne che si ritrovano nella stessa situazione. «Una mamma ha diritto di essere madre ma anche di lavorare e di avere una mente leggera».

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«Oggi non sono potuta andare al lavoro perché sono una mamma». Lo sfogo di Melanie, divisa tra famiglia e professione
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«Oggi non sono potuta andare al lavoro perché sono una mamma». Era iniziato così lo sfogo di una giovane madre di 28 anni, Melanie Ayivi, diventato virale sui social ottenendo migliaia di condivisioni, cuoricini rossi e pollici in su da parte di mamme “solidali”, che si rispecchiano nelle sue parole. La donna, che con il compagno Marius ha un figlio di 2 anni, Jonathan, ha racchiuso in un minuto e mezzo di video una critica alla condizione delle mamme lavoratrici in Italia, costrette a vivere in bilico tra famiglia e lavoro, cimentandosi in salti mortali per conciliare la riunione delle 10 in ufficio con il virus intestinale del figlio. Raggiunta da Wamily, Melanie racconta di avere come obiettivo quello di trasferirsi con la famiglia nel Nord Europa, in Olanda, «che è avanti anni luce per gli ausili alla genitorialità» e ribadisce la difficoltà a incastrare la sua vita da freelance con quella di madre. «Io non solo solo la mamma di Jonathan, – ha continuato – sono Melanie Ayivi e voglio lavorare».

Un tema, quello delle mamme lavoratrici, che non è ancora una priorità politica e sociale nel nostro Paese, nonostante sia legato a stretto filo a questioni bollenti, come la denatalità, il calo demografico, la lotta per la parità di genere. Sta lentamente prendendo piede nelle arringhe politiche e nel dibattito pubblico, ma fatica a trovare una svolta effettiva e netta.

«Essendo una mamma, quando mi devo assentare sono costretta a dipendere da qualcuno, che siano i nonni o persone esterne che io pago perché tengano Jonathan» ha continuato Melanie, che vive con il figlio di 2 anni, il compagno e un cane, Ade, a Cesenatico, in provincia di Forlì-Cesena. Oltre alla sua professione freelance come graphic designer, lavora in un bar nel fine settimana e in locale notturno per arrotondare. «Adoro disegnare, amo il mio lavoro, – dice – vorrei fare un cinquanta e cinquanta, vorrei potermi dedicare sia a me come persona, come donna, sia a Jo (il figlio, ndr). Perché non è la quantità di tempo che trascorriamo con i nostri figli, è la qualità a fare la differenza».

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Melanie Ayivi (28) con il figlio Jonathan (2) nel video–sfogo sui social

Ad aiutarla, quando anche il compagno è al lavoro, sono la madre (nonna del piccolo) e le amiche, come è accaduto quel sabato in cui, in preda allo sconforto, Melanie aveva girato il video-denuncia. A venirle in soccorso era stata un’amica fidata, che aveva curato Jonathan mentre la 28enne era andata a servire i clienti dietro il bancone del bar. «Se assumi una babysitter, ti ritrovi a lavorare per poter mantenere chi tiene tuo figlio» puntualizza. «Prima, quando non avevo un figlio, non mi rendevo assolutamente conto di quanto fosse facile andare a lavoro, – ha rivelato Melanie – mi svegliavo la mattina, mi preparavo la colazione, uscivo dalla porta, e non dovevo chiedere niente a nessuno, non dovevo dipendere da nessuno, non dovevo implorare mia madre di tenere mio figlio».

Le difficoltà incontrate da Melanie coincidono con quelle di migliaia di madri lavoratrici in Italia. Come riporta l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), nel 65,5% dei casi le dimissioni volontarie di mamme lavoratrici sono dovute alle difficoltà di conciliazione tra lavoro e funzione di cura. Significa che più della metà delle mamme si licenzia perché non riesce a incastrare con serenità la vita a casa, tra figli e faccende domestiche, con quella professionale. Scoraggiate e ostacolate dalla carenza o assenza di servizi destinati ad agevolare le donne con figli (44%) o dall’organizzazione poco flessibile dell’azienda (22%), lasciano il posto di lavoro.

«Mi è capitato ai colloqui di lavoro che chi avevo davanti cambiasse tono non appena rivelavo di avere un figlio. Mi rispondevano “ti facciamo sapere”, e non venivo mai ricontattata. Non vedono altro che “è mamma, quindi potrebbe non esserci a lavoro”. Non vedono le tue capacità, ma che tu a volte non ci sarai».

A pesare sul più delle mamme lavoratrici è la fragilità della rete di aiuti, tra chi non ha il supporto di nonni o di parenti disponibili a tenere i nipoti mentre i genitori lavorano, e chi si ritrova a fare i conti con la mancata accoglienza al nido del piccolo. «Io non voglio un secondo figlio – risponde Melanie –. Come faccio? Con Jo riesco appena appena ad organizzarmi, figurati con due. Se hai degli aiuti è diverso».

Accettare che una mamma voglia continuare ad essere anche donna è ancora difficile per parte della società, che continua a pretendere che sia la figura femminile a gestire (quasi) in autonomia la casa, i figli, la famiglia, sobbarcandosi il fardello più gravoso dei doveri domestici. E se non se ne occupa, o se rivendica il suo diritto a lavorare e a godersi ore di svago, si punta sul senso di colpa.

Lo sfogo online di Melanie è stato ricondiviso da migliaia di mamme, che si sono rispecchiate nelle sue parole. Come di consueto, insieme alla pioggia di like, è arrivata pure una valanga di critiche. Gli emittenti? Altre donne. «Tante donne mi hanno anche criticata perché “prima figliano, poi si lamentano» risponde Melanie.

I nonni generalmente sono dei “salvavita” nel rientro a lavoro dei neogenitori dopo la nascita di un figlio. Secondo il rapporto Le equilibriste di Save The Children aggiornato al 2023, il 57,9% di mamme e papà chiede ai nonni di curare i figli durante la giornata, la scelta prediletta sia in termini economici, che di flessibilità, adattabilità alle esigenze e mobilità. «Una mamma – conclude Melanie – ha diritto di essere madre ma anche di lavorare, di avere una mente leggera, di respirare, di staccare la testa».

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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