La Procura di Padova sembra aver rivisto la sua posizione riguardo alla decisione di cancellare uno dei genitori nei certificati di nascita che lo scorso marzo colpì 33 bambini nati in seguito il ricorso alla fecondazione assistita eterologa da coppie con due mamme.
Nel corso delle due udienze iniziali per il procedimento sulle impugnazioni di questi atti di nascita, la Procura ha infatti richiesto al Tribunale di Padova di sollevare la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale per valutare se l'esclusione delle coppie lesbiche e dei loro figli dalle normative sull'accesso alla PMA eterologa rappresenti effettivamente una violazione dei loro diritti fondamentali.
Con questa mossa a sorpresa la procuratrice aggiunta Maria D’Arpa – sostituta della collega Valeria Sanzari che impugnò i certificati anagrafici – sembra dunque ammettere il vuoto normativo che al momento esclude le famiglie arcobaleno da un pieno riconoscimento, chiedendo così alla Consulta di esprimersi per risolvere la questione.
Il quadro d'insieme
Già nel gennaio 2021 la Corte Costituzionale aveva infatti stabilito che l'assenza di una legge per il riconoscimento tempestivo dei figli delle coppie lesbiche violava i diritti fondamentali dei bambini e aveva esortato il legislatore a colmare questa lacuna, così da garantire la tutela degli interessi dei minori nati da procreazione medicalmente assistita praticata da coppie dello stesso sesso.
Con l'avvento del nuovo governo Meloni però, l'aria era tornata a farsi pesante per le famiglie arcobaleno, con il culmine che venne raggiunto proprio dalla decisione della Procura padovana d'impugnare vecchi atti di nascita – tutti già registrati e ratificati da diversi anni – e che legalmente "toglievano" un genitore a tutti i minori coinvolti.
Perché potrebbe essere una svolta?
L'attuale legge 40 del 2004 limita l'accesso alla fecondazione eterologa alle coppie eterosessuali ma allo stesso tempo stabilisce che il consenso di un uomo alla fecondazione assistita della moglie o compagna con il seme di un donatore lo renda irreversibilmente il padre del bambino, anche in assenza di legami genetici.
Da tempo chi si occupa di tutelare i diritti delle famiglie omogenitoriali – come gli avvocati dell'associazione Rete Lenford – chiedono di estendere questa parte della legge 40 anche alle coppie lesbiche, rendendo co-genitori coloro che acconsentono all'utilizzo del seme di un donatore da parte della propria compagna.
Con la richiesta odierna dunque, la Procura sembra affiancarsi alle richieste di madri e associazioni pro-LGTBQIA+, chiedendo ai giudici della Consulta di pronunciarsi sulla legittimità delle cancellazioni dei cognomi materni e dei diritti genitoriali.
«Finora la Procura aveva sempre chiesto in modo molto secco la cancellazione della seconda mamma – dichiara a Wamily Vincenzo Miri, presidente di Rete Lenford – oggi però ha detto che le norme, a sue dire, imporrebbero la cancellazione ma vorrebbe sottoporre a vaglio della Corte per farle dichiarare illegittime, così da non poter più annullare simili atti di nascita».
Ora la palla passa al Tribunale di Padova, il quale dovrà decidere se sollevare la questione di legittimità, chiedendo alla Corte costituzionale di valutare se l'esclusione delle coppie lesbiche dalle normative di riconoscimento dei bambini nati con fecondazione eterologa violi i loro diritti e quelli dei loro figli.
La mossa della Procura rappresenta però uno spiraglio inaspettato verso la protezione dei diritti di tutte le famiglie omogenitoriali.
«Le questioni di legittimità hanno tanti aspetti da valutare, però nutriamo delle buone speranza» ha concluso Miri.