Negli ultimi anni la figura paterna ha subito una trasformazione radicale. Smessi definitivamente i panni del padre-padrone, i papà moderni ora non solo vogliono passare molto più tempo di qualità con i propri figli, ma desiderano – anzi – pretendono di essere sempre più coinvolti in ogni aspetto della loro crescita, dalle strategie educative al cambio dei pannolini.
Un cambio epocale? Macché, solo genitori che vogliono fare i genitori….
Un passato ormai passato
"L'hai fatta grossa, ora vedi quando arriva tuo padre".
Alzi la mano chi non ha mai sentito dire questa frase, anche solo in un film o in una serie TV. Impossibile, anche perché per molto tempo espressioni come queste sintetizzavano alla perfezione l'essenza stessa del ruolo paterno: l'autorità, l'uomo di casa, il genitore, per quanto amorevole e affettuoso, era preposto a incarnare la severità e a riportare l'ordine quando s'infrangeva qualche regola.
Non solo, il padre era anche colui che "arrivava", perché durante il giorno era uscito per andare a lavoro e per secoli la famiglia è stata questa, con la madre impegnata ad educare i figli e il padre investito del compito di portare il pane in tavola e, occasionalmente, intervenire per impartire un po' di disciplina.
Oggi però le cose stanno cambiando e se da un lato la donna non vuole più essere più solo l'angelo del focolare, dall'altro è lo stesso papà a rivendicare un ruolo da protagonista nella crescita dei figli. Anche al punto di stravolgere completamento il modello "tradizionale" e lasciare che sia l'altro genitore a lavorare mentre lui rimane a casa a curare i bambini.
La riscossa dei papà
Consci dell'importanza della loro presenza sin dai primi attimi di vita del neonato, i papà moderni vogliono "esserci" per i figli, nel senso più completo del termine. Non solo nei momenti di svago e di gioco, quindi, ma in tutte le tappe decisive della loro crescita e formazione.
Questo naturalmente comporta anche diversi risvolti più pratici. I papà di oggi preparano pappe, lavano, stirano, maneggiano palloni sporchi, cucinano e indossano con orgoglio le fasce porta-bebè, senza timore alcuno nell'adempiere a compiti che fino a qualche tempo fa sembravano spettare esclusivamente alla donna.
In una società che cambia, questo coinvolgimento può anche sfociare in una radicale scelta di vita: fare il papà a tempo pieno mentre il partner può dedicarsi alla carriera.
Le motivazioni dietro una decisione del genere possono essere diverse e variegate, dalle considerazioni di tipo economico e logistico – l'altro genitore guadagna di più, non ci sono i nonni a dare una mano, il nido costa troppo, non si è riusciti a iscrivere i bimbi all'asilo e serve che qualcuno badi a loro – al semplice desiderio di accompagnare i propri figli attraverso la loro crescita.
Qualcuno li chiama "mammi", ma sono semplicemente padri che si comportano come tali.
Ma quali mammi!
Accantonare definitivamente l'orrenda parola "mammo" vuol dire porre fine ad un clamoroso paradosso.
Se una casalinga che rimane a casa per curare i figli è una buona madre, perché un padre che decide di fare lo stesso non è più un bravo papà ma un "mammo"? La risposta risiede in un sistema che fatica a spogliarsi del proprio machismo latente e vede in questa scelta un'invasione delle sfere di competenze femminili, tanto da inventare dal nulla una nuova parola per sottolinearne la natura bizzarra.
Può sembrare una sciocchezza, ma una simile visione si riverbera poi su questioni molto più ampie e rilevanti, come un congedo parentale non egualitario che in Italia continua a interessare quasi esclusivamente le madri, obbligandole ad assentarsi dal proprio impiego anche quando i loro partner sarebbero disposti a prendere il loro posto.
Farla finita con i "mammi" e iniziare a parlare finalmente (e seriamente) di papà rimane dunque il regalo più grande che in questo 19 marzo la nostra società possa fare a sé stessa e al futuro dei nostri figli.