Il parto distocico è un parto difficoltoso, che richiede dunque l'aiuto del personale medico per permettere al bimbo di venire al mondo. Con questo termine si indica di fatto uno squilibrio dei fattori che concorrono al parto e che, secondo gli autori anglosassoni sono: Power (la forza: contrazioni uterine); Passage (dimensione, morfologia e mobilità del canale osseo e molle); Passanger (il feto: dimensioni, forma dell’estremo cefalico, presentazione e posizione); Pain (il dolore e le modalità della donna di viverlo); Psyche (lo stato emozionale della partoriente).
Il parto naturale senza complicazioni, si chiama invece parto eutocico: in questo caso il bimbo non trova alcun tipo di rallentamento e riesce ad uscire attraverso il canale del parto senza bisogno di un intervento di emergenza da parte del personale ospedaliero.
Parto distocico e manovre
In caso di difficoltà durante il travaglio, il personale medico può provare a "sbloccare" la situazione con modalità che cambiano a seconda del tipo di distocia e dell'urgenza che essa comporta.
Se ad esempio una cervice uterina non si dilata, medici e ostetriche possono provare a rompere artificialmente le membrane e somministrare dell'ossitocina per risolvere questa distocia dinamica. Se però dopo 12 ore (e con le membrane rotte) la dilatazione non progredisce, allora l'unica strada potrebbe essere quella di procedere con un taglio cesareo.
La distocia di spalla
Quando il nascituro non riesce ad uscire con le spalle che si incastrano sotto la sinfisi pubica, allora si parla di distocia di spalle, un'eventualità non molto comune ma che richiede contromisure adeguate e particolarmente rapide da parte del personale ostetrico.
Si tratta infatti di una vera emergenza ostetrica che nel 47% dei casi comporta il decesso del bambino se non viene risolta nel giro di 5 minuti.
Pe risolvere il mancato disimpegno delle spalle del nascituro, gli ostetrici possono dunque ricorrere ad alcune manovre quali:
- Manovra di McRobert: in questo caso si cerca di fare in modo che la divaricazione delle gambe della mamma sia massima, quindi si spingono le sue cosce verso il petto. In questo modo la sinfisi pubica viene ruotata verso l'alto, si appiattisce la lordosi lombare e il bebè ha più spazio per uscire.
- Manovra di Rubin 1: eseguibile se si conosce la posizione del dorso fetale. Consiste nella pressione sovrapubica sull'addome materno per spingere la spalla anteriore del feto in senso ventrale sul diametro obliquo del bacino in modo da farla svicolare dal di sotto della sinfìsi pubica.
- Manovra di Mazzanti: se invece non si conosce la posizione del dorso fetale, la pressione sovrapubica viene esercitata centralmente in senso anteroposteriore sulla spalla anteriore, con il palmo della mano, allo scopo di favorirne lo scivolamento al di sotto della sinfisi pubica.
- Manovra di Rubin 2: una volta introdotta una mano nella vagina, l'ostetrico esercita una pressione digitale sulla faccia posteriore (dorsale) della spalla anteriore spingendola ventralmente verso il torace fetale. Questa manovra ruota le spalle ventralmente nel diametro obliquo del bacino con diametro più favorevole.
- Manovra di Woods: è una manovra interna, ed è anche conosciuta col nome di manovra dello svitamento delle spalle in vagina. Per eseguirla il medico inserisce due dita in vagina ed esercita una pressione sul lato anteriore della spalla posteriore del bambino, la quale viene estratta una volta raggiunto il diametro obliquo dell'ingresso pelvico.
- Manovra di Jacquemier: l'obiettivo è estrarre il braccio posteriore del feto sostituendo il diametro bisacromiale (da spalla a spalla) con il più corto diametro axilloacromiale (da spalla ad ascella).
- Manovra di Zavanelli: spesso usata come "ultima spiaggia", consiste nel far ripercorrere a ritroso il percorso compiuto durante il parto alla testa del bimbo. Il capo viene quindi ruotato e riposizionato come si trovava appena fuoriuscito dalla rima vulvare e, dopo aver subito una certa flessione, viene risospinta in vagina il più in alto possibile. A questo punto però il parto deve avvenire con un taglio cesareo.
Parto distocico con forcipe e ventosa
Nel caso in cui il piccolo non ne volesse sapere di uscire, durante la fase espulsiva del parto, il personale medico può decidere di utilizzare degli strumenti che favoriscono l'espulsione del bambino. I più conosciuti sono il forcipe o la ventosa.
Il forcipe – uno strumento metallico simile ad una grande pinza – in Italia però non viene praticamente più usata, anche se le strutture ospedaliere ne mantengono una dotazione per obbligo di legge.
Si utilizza quindi la ventosa, che invece aderisce alla testa del bambino, è in plastica monouso, ed ha una coppetta che le permette di attaccarsi alla testa del feto. Si cerca comunque di evitarne l'utilizzo ai soli casi necessari perché, anche se raramente, la ventosa potrebbe provocare ematomi sulla testa del piccolo, emorragia retinica o aumentare il rischio di distocia di spalla.
Quando si ricorre al cesareo
Nel 70% dei casi di parto distocico, si ricorre ad un cesareo urgente. Quindi alla mamma viene effettuata un'anestesia spinale e il personale medico incide l'addome materno per poi estrarre poi manualmente il feto.
Nel caso in cui il piccolo fosse in posizione podalica generalmente il parto cesareo è invece la regola. Il parto spontaneo in questa condizione è considerato fattibile solo in caso di emergenza (quando cioè è ormai imminente e non rimandabile).
Le conseguenze del parto distocico
Generalmente, se l'equipe medica agisce tempestivamente e per il meglio, non ci sono conseguenze sulla salute di mamma o bambino. Anche se nei casi di distocia di spalla, ossia quando il piccolo è nella giusta posizione per essere espulso ma la spalla si incastra e gli impedisce i movimenti, gli strumenti o le manovre messe in atto per farlo nascere potrebbero provocargli la rottura dell'omero o uno stiramento del plesso brachiale.
Ematomi, emorragie, aumentato rischio di ittero o sofferenza neonatale possono essere le conseguenze di manovre messe in atto sul piccolo ma rappresentano comunque una evenienza decisamente di minore impatto rispetto alle conseguenze di un non agire attivamente e tempestivamente per risolvere l'urgenza/emergenza.