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14 Aprile 2023
9:00

Parto in anonimato: come funziona in Italia

Dal 1997 in Italia è possibile per una madre che non voglia riconoscere il proprio bambino farlo nascere e lasciarlo in ospedale rimanendo del tutto anonima. Ecco cosa dice la legge e qual è la procedura per casi così delicati.

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Parto in anonimato: come funziona in Italia
parto anonimato

Come ci ha ricordato la vicenda della Culla della Vita alla clinica Mangiagalli di Milano, in Italia è possibile per una madre che non desidera riconoscere il proprio figlio lasciare il piccolo alle cure di una struttura sanitaria e allontanarsi per non essere identificata in alcun modo.

Questo abbandono "controllato" però non è l'unica opzione a disposizione delle madri che scelgono di non essere tali e vogliono recidere qualsiasi legame con il bimbo.

Da anni infatti la legge italiana prevede la possibilità di ricorrere al parto in anonimato, una procedura particolare secondo la quale la madre biologica – una volta terminato il travaglio e ricevute tutta l'assistenza necessaria alla salvaguardia della sua salute e di quella del bambino – può decidere di lasciare in ospedale il bambino senza comparire in alcun documento ufficiale.

Come funziona il parto in anonimato?

In Italia è l‘articolo 2 comma I della legge n° 127 del 1997 – poi modificato dal DPR 396/2000, art. 30, comma 2 – a consentire che una donna possa partorire un bambino e lasciarlo alle cure dell'ospedale senza riconoscerlo né figurare con nome e cognome in alcun documento.

Tale procedura rappresenta un'estrema forma di tutela sia per la madre che per il bambino: la prima si vede garantire il proprio diritto all'anonimato, mentre il secondo evita di essere  abbandonato in contesti pericolosi per la propria salute, come un marciapiede o un cassonetto.

Rimanendo in ospedale poi, il piccolo viene subito individuato dallo Stato come soggetto dotato di tutela giuridica, ossia un individuo che ha diritto ad un nome, alla cittadinanza e, ovviamente a crescere in una famiglia.

Cosa succede dopo la nascita?

Una volte che la donna ha confermato al personale sanitario la propria volontà di ricorrere al parto in anonimato, il bambino appena venuto al mondo viene comunque registrato con un atto di nascita prodotto dal medico o dall'ostetrico/a dove viene segnata la dicitura "nato da donna che non consente di essere nominata".

Da quel momento il bambino viene subito segnalato come abbandonato, anche se la madre ha dieci giorni per cambiare idea e riconoscere il figlio come proprio.

Dopo il parto in anonimato la madre biologica ha 10 giorni di tempo per riconoscere il figlio, anche se esistono casi particolari dove può essere disposta una proroga dei tempi

Se allo scadere del termine la madre biologica non torna sui propri passi, il bambino viene affidato ad una famiglia o una struttura individuata dai Servizi Sociali.

Nel frattempo viene avviata anche la procedura per dichiarare l'adottabilità del minore, così da trovare in tempi relativamente brevi una nuova famiglia per il bebé.

«L’immediata segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni della situazione di abbandono del neonato non riconosciuto, permette l’apertura di un procedimento di adottabilità e la sollecita individuazione di un’idonea coppia adottante – si legge sul sito del Ministero della Salute – Il neonato vede così garantito il diritto a crescere ed essere educato in famiglia e assume lo status di figlio legittimo dei genitori che lo hanno adottato».

Nella segnalazione all’autorità giudiziaria però deve comunque essere omesso qualsiasi elemento identificativo della madre biologica.

Le eccezioni per casi particolari

Il limite di 10 giorni di tempo per riconoscere il bambino lasciato in ospedale può essere prorogato per «particolari e gravi motivi» che impediscono alla mamma di rivendicare la propria genitorialità.

In questi pochi casi la madre può chiedere al Tribunale per i minorenni dove è stata aperta la pratica di adottabilità un'ulteriore estensione dei tempi per provvedere al riconoscimento (massimo due mesi), impegnandosi però a mantenere un rapporto continuativo con il nascituro.

Qualcosa di molto simile avviene anche quando la madre non ha ancora compiuto 16 anni e dunque risulta impossibilitata per legge al riconoscimento. In questo caso la ragazza intenzionata ad occuparsi del figlio può richiedere la sospensione dell'adottabilità del bimbo finché lei stessa non avrà raggiunto i 16 anni d'età.

Anche qui però il mantenimento di un rapporto continuativo tra madre e figlio rimane una condizione imprescindibile per il buon esito della richiesta.

Il ruolo del padre

Finora abbiamo di cosa può fare una madre che decide di ricorrere al parto in anonimato, ma cosa succederebbe se invece il padre volesse riconoscere il nascituro?

Simili situazioni sono sempre molto delicate, anche perché la legge deve giocoforza far prevalere il diritto di uno dei due genitori sull'altro, visto che l'anonimato della madre non può conciliarsi con il riconoscimento di un padre poiché per le legge un bambino non può nascere senza una mamma.

In questa circostanza infatti, la volontà dalla madre di non essere nominata nell’atto di nascita tagli i ponti con qualsiasi identificazione di genitorialità e quindi impedisce automaticamente al padre biologico di procedere ad un riconoscimento del piccolo.

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Niccolò De Rosa
Redattore
Dagli studi umanistici all'esperienza editoriale, sempre con una penna in mano e quel pizzico d'ironia che aiuta a colorare la vita. In attesa di diventare grande, scrivo di piccoli e famiglia, convinto che solo partendo da ciò che saremo in grado di seminare potremo coltivare un mondo migliore per tutti.
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