Nella tarda mattinata di giovedì 14 settembre la premier Giorgia Meloni è intervenuta al Budapest Demographic Summit, l'evento giunto ormai alla quinta edizione che riunisce politici, ecclesiastici e intellettuali conservatori per discutere di famiglia e riflettere sulle migliori strategie da adottare per affrontare la sfida del calo demografico che sta interessando sempre più Paesi dell'occidente.
Dal palco del panel "Famiglia, la chiave per la sicurezza", Meloni si è profusa in un lungo discorso nel quale sono stati ripresi temi cari al suo esecutivo, come la necessità di ergersi in difesa dei valori di "Dio, patria e famiglia" (la premier ha parlato di famiglie, identità e Dio, ma il senso non cambia molto) e la massima priorità riservata al tema dell'aumento delle nascite tra gli obiettivi principali dell'agenda di governo.
«Abbiamo messo la famiglia al centro delle politiche del governo, con un ministero ad hoc che si concentra sulla natalità e sulle pari opportunità per le donne e la famiglia» ha affermato Meloni, indicando il "padrone di casa" Viktor Orbán tra gli esempi da seguire per invertire la tendenza verso l'inverno demografico.
«Ci sono nazioni più ricche dove nascono meno bambini, dobbiamo mobilitare le risorse per sostenere la famiglia così com'è e l'Ungheria dà un esempio perfetto» ha dichiarato la Presidente del Consiglio, sottolineando come anche Papa Francesco abbia rilevato i successi del governo ungherese nel corso della sua ultima visita pastorale.
«L'esempio dell'Ungheria dimostra che le cose possono cambiare se abbiamo il coraggio di fare le scelte e gli investimenti necessari. In Ungheria si è riusciti a fermare la tendenza in calo della natalità, sono aumentati i posti di lavoro, e anche l'occupazione femminile».
Il modello Orbán
La stima di Giorgia Meloni per Orbán dopotutto non è né una novità né un segreto.
Nonostante le controversie che da anni contraddistinguono l'operato del primo ministro ungherese – spesso tacciato di una deriva estremamente autoritaria – i due sono legati da idee politiche molto simili, in particolare quelle relativi alla visione molto tradizionale della società e della famiglia.
Non stupisce dunque che in tema di lotta alla denatalità l'Ungheria di Orbán sia per Meloni un modelli cui ispirarsi, anche perché ad una prima lettura dei dati le misure adottate dal premier magiaro sembrano aver davvero capovolgere il trend demografico, con un tasso di fertilità – ossia il numero medio di figli per donna in età feconda – che si aggira intorno all'1,6 (la base di partenza era all'1,2, molto simile a quello italiano di oggi).
Eppure, come spesso accade, non tutto è oro ciò che luccica.
Ungheria è davvero il paradiso per le famiglie?
Negli ultimi anni l'Ungheria ha investito molte risorse nella battaglia per la natalità, introducendo agevolazioni fiscali per i genitori, bonus per le famiglie con tre figli e addirittura esentando a vita da qualsiasi tassa le madri che donano alla patria quattro o più figli.
Una condotta che può suonarci famigliare visto che alcuni provvedimenti del governo Meloni – annunciati o già varati – sembrano andare proprio in questa direzione, privilengaindo le famiglie più numerose.
I traguardi tanto elogiati da Meloni però non ci dicono tutto sull'effettiva situazione delle famiglie e delle donne ungheresi.
Le leggi magiare infatti penalizzano eccessivamente i cittadini che non possono o non vogliono avere figli, imponendo a single o coppie senza figli un carico fiscale e, implicitamente, un giudizio morale piuttosto gravoso.
Ma i punti critici non si esauriscono certo qui.
Il congedo di maternità ungherese, ad esempio, è piuttosto lungo – ben 24 settimane – ed è prolungabile fino ai tre anni di vita del figlio. I padri però possono godere di soli cinque giorni di congedo retribuito: una disparità che ben dimostra la concezione di Orbán sulla distribuzione dei carichi di cura all'interno del nucleo famigliare, dove giocoforza sarà sempre la madre a dover rinunciare al proprio lavoro per badare ai bambini.
Gli incentivi previsti poi sono sì facilmente ottenibili per le coppie sposate (alle quali spetta anche un prestito a interessi ridotti di 31.500 euro se la moglie è sotto i 40 anni d'età), ma in caso qualcosa andasse storto nel piano coniugale, allora sarebbero guai.
Se infatti marito e moglie non riescono ad avere il numero di figli necessari, l'intera somma erogata dallo stato deve essere restituita.
Non solo: in caso di divorzio o rottura della coppia, le tutele sono poche e le donne che non hanno rinunciato ad un'occupazione per poter fare le madri rischiano seriamente di finire in mezzo ad una strada. Da qui la tendenza decisamente insana a rimanere con il partner anche in presenza di abusi.
Secondo l'European Institute of Gender Equality, nel 2018 circa il 18% delle donne ungheresi (quasi una su cinque) aveva subito violenze all'interno del contesto domestico.
Senza parlare infine della lotta spietata che il governo Orbán da anni sta perpetrando nei confronti degli omosessuali – censure, divieti e discriminazioni sono all'ordine del giorno – e dell'aborto, una pratica sempre più difficile da praticare e che dall'anno scorso legge prevede per legge che le donne ascoltino il battito cardiaco dei feti prima d'interormpere la propria gravidanza.
Siamo davvero sicuri di volere tutto questo pur di riempire le culle del nostro Paese? Non sarebbe forse preferibile imboccare una strada lastricata da maggiore parità tra i sessi, salari più alti e un mercato del lavoro più sano?
Ai posteri l'ardua sentenza.