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14 Marzo 2024
19:12

Per la Ministra Roccella in Italia è più facile abortire che partorire. Eppure oltre 6 ginecologi su 10 sono obiettori

Ma quindi è vero che, in un Paese in cui nel Mezzogiorno i ginecologi obiettori di coscienza rappresentano il 78,5% del totale, «l’accesso all’aborto è assolutamente garantito», come assicura la Ministra? Ne abbiamo parlato con Federica di Martino, fondatrice della piattaforma "IVG - sto benissimo".

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Per la Ministra Roccella in Italia è più facile abortire che partorire. Eppure oltre 6 ginecologi su 10 sono obiettori
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«In Italia è più difficile trovare un ospedale dove andare a partorire piuttosto che uno dove andare ad abortire». A dichiararlo è stata la Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella, a margine di un convegno Farmindustria sulla natalità che ha avuto luogo ieri a Roma. Un concetto che Roccella ha ribadito più tardi al Question Time della Camera, supportando la sua tesi con i dati emersi dall’ultima Relazione del Ministero della Salute sull’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG) in Italia. Nel documento, pubblicato a settembre, si legge in effetti che «in proporzione, esistono più punti IVG che punti nascita» sul territorio nazionale. Ma quindi è vero che, in un Paese in cui nel Mezzogiorno i medici obiettori di coscienza rappresentano il 78,5% del totale, «l’accesso all’aborto è assolutamente garantito», come assicura la Ministra? Non esattamente.

Wamily ha affrontano la questione con la psicologa e psicoterapeuta Federica Di Martino, fondatrice della piattaforma online “IVG – sto benissimo”, che punta a destigmatizzare la retorica dominante dell’aborto (unicamente descritto come un’esperienza dolorosa e traumatica) e promuove iniziative di prevenzione della salute riproduttiva e campagne a supporto delle donne che vogliono interrompere la gravidanza.

«Trovo gravissimo – prosegue Di Martino – che una Ministra al servizio delle istituzioni e di tutti i cittadini e delle cittadine utilizzi strumentalmente dei dati per portare avanti battaglie ideologiche che hanno al centro la morbosa spinta nei confronti della natalità a tutti i costi, che passa attraverso il contrasto all’autodeterminazione da parte delle donne».

«Vengono messe ancora una volta in contrapposizione donne che scelgono di portare avanti una gravidanza e donne che vogliono interromperla, come ci fosse un diritto che prevale su un altro, – continua Di Martino – quando in realtà la giustizia riproduttiva coinvolge tutte le donne. Senza dubbio, c’è una tempistica che è molto più ristretta per le donne che devono interrompere la gravidanza, che hanno a disposizione un massimo di 12 settimane e sei giorni per l’aborto terapeutico e 9 settimane per il farmacologico».

«I dati offerti dal Ministero della Salute sono dati parziali – continua Di Martino -. Innanzitutto non fotografano la situazione attuale: sono relativi al 2021 quando avevamo una pandemia in corso e li attuiamo alla contemporaneità. In più, grazie al lavoro dell’associazione Luca Coscioni sappiamo che sono lacunosi».

Il riferimento è all’ampia e dettagliata indagine sull’IVG “Mai dati. Dati aperti (sulla 194), perché sono nostri e perché ci servono per scegliere” ad opera delle giornaliste Chiara Lalli e Sonia Montegiove, pubblicata nel 2022 con l’Associazione Luca Coscioni. Secondo Lalli e Montegiove, la Relazione annuale del Ministero della Salute sull’aborto in Italia (all’epoca l’ultima pubblicazione era quella del 2021 in riferimento al 2019) restituiva una fotografia parziale e sfocata della realtà. Per realizzarlo, le autrici avevano inviato un’istanza alle aziende sanitarie e ospedaliere d’Italia, richiedendo i dati sull’applicazione della legge sull’aborto. Dall’indagine autonoma di Lalli e Montegiove erano emerse diverse discrepanze rispetto al report ministeriale, nel quale fra l’altro non veniva toccato l’argomento del pendolarismo delle pazienti (le donne costrette a spostarsi da una regione all’altra per abortire).

Quel che traspare inequivocabilmente pure dai dati ministeriali, comunque, è l’ingente numero di medici obiettori, che nel 2021 riguardava il 63,6% dei ginecologi italiani (secondo l’indagine di Lalli e Montegiove, la percentuale è superiore e in 26 strutture arriva al 100%). Si tratta di più della metà del totale dei ginecologi, con picchi che sfiorano l’80% in Campania.

«Per capire che in Italia l’aborto non è garantito basta fare una cosa semplice, che la politica non fa più: interfacciarsi con le persone – continua Di Martino –. Tutti parlano di aborto ma nessuno parla mai con le donne che hanno abortito».

Le difficoltà e i punti interrogativi che incontrano le donne che vogliono interrompere una gravidanza sono talmente ricorrenti che nell’autunno 2023 una rete informale di associazioni pro-scelta italiane ha redatto la prima guida italiana all’Interruzione Volontaria di Gravidanza, dal titolo “La tua scelta, zero ostacoli”. Parecchie donne infatti si trovano impreparate e abbandonate a loro stesse nel lungo iter dell’aborto e, nonostante le Linee guida dell’Oms prevedano un sito istituzionale dedicato all’IVG, l’Italia ne è sprovvista.

«Non si tratta di una discriminazione solo di genere, ma anche di classe. Tante donne per abortire sono costrette a migrazioni intra ed extra regionali, quindi a spostarsi da una città, una provincia, una regione all’altra per sottoporsi all’IVG, e lo possono fare solo se hanno i mezzi economici. Nell’ultimo report dei diritti umani dell’Europa sono stati sollevati 12 punti di problematicità rispetto alla salute riproduttiva in Italia, tra cui la forte presenza del personale obiettore. I problemi sono questi. L’aborto è un diritto purtroppo solo su carta».

Le informazioni fornite su www.wamily.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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