Chiamare le parti intime con nomignoli o parole metaforiche è assolutamente normale e diffuso, eppure i genitori dovrebbero iniziare a chiamarle con i loro nomi anatomici, secondo gli esperti e le esperte di pedagogia, ma soprattutto secondo chi si occupa di abuso infantile.
Insegnare i nomi dei genitali ai bambini fin da piccoli, infatti, potrebbe proteggerli dalla violenza fisica (dando loro degli strumenti in più per parlarne) e soprattutto potrebbe rendere il rapporto con la propria intimità più sano e salutare a lungo termine. Sarebbe, in altre parole, il primo step dell'educazione sessuale.
Ecco perché in dettaglio.
Farfalla e pisello: una tradizione dura a morire
Anche se di generazione in generazione l'approccio cambia, e anche se i genitori millennial sembrano più consapevoli di questo concetto, la tendenza è ancora quella a usare i nomignoli per indicare i genitali, forse per un senso di imbarazzo, forse per il tabù generale che aleggia attorno a questo concetto.
Meno di un quinto dei 2mila genitori intervistati da Eve Appeal (un'associazione di ginecologia inglese), per esempio, usa con le proprie figlie e figli la parola "vagina" e meno dell'1% "vulva". Per un terzo, sarebbe appropriato farlo solo dopo gli 11 anni. Eppure sarebbe appropriato – usando questo concetto – farlo molto prima. Anzi: fin da subito.
Chiamare le parti intime con i loro nomi anatomici, come vulva, vagina e pene, rompe questa tendenza culturale, aprendo la porta a una comunicazione più aperta e consapevole.
Togliere il tabù
L'Italia è ultima in classica in Europa, per quanto riguarda l'educazione sessuale a scuola. Come lei, solo Cipro, Bulgaria, Polonia, Romania e Lituania non prevedono curriculum specifici. Ma la conoscenza di questi argomenti è essenziale tanto per il benessere fisico quanto per quello mentale.
Chiamare le parti intime con nomi appropriati è un primo passo per eliminare il tabù associato all'anatomia umana nella sua totalità. Usando un linguaggio chiaro e diretto si normalizza infatti l'argomento, promuovendo una visione più sana del corpo e della sessualità. Questo approccio favorisce una comprensione positiva e consapevolezza di sé, contribuendo a sfatare stereotipi e pregiudizi radicati.
I genitali sono sì intimi e privati, ma sono anche parti del corpo importanti e sane, normali e fondamentali. È giusto nasconderle agli altri e tenerle per sé, pretendendo il rispetto e ma ciò non significa che non bisogna parlarne, aggiungendo tabù al tabù.
Nomi anatomici e prevenzione degli abusi: che c'entrano?
Un aspetto cruciale del chiamare le parti intime con i loro nomi è la protezione dei bambini e delle bambine. Il concetto base è semplice: conoscere vuol dire avere armi per proteggersi.
L'utilizzo di termini anatomici precisi favorisce infatti una comunicazione chiara e aperta tra adulti e bambini riguardo al loro corpo. Questo non solo aiuta i bambini a sviluppare una consapevolezza sana di ciò che è intimo e ciò che gli altri possono o non possono toccare e invadere, ma può anche essere fondamentale nella prevenzione e nell'identificazione di situazioni di abuso. Se i bimbi, infatti, non hanno consapevolezza e non possiedono i termini per parlarne, fanno molta più fatica a indicare la violenza o la mancanza di rispetto.
Parlare apertamente dei genitali è quindi un modo per insegnare ai bambini l'importanza del rispetto del proprio corpo e per riconoscere eventuali segnali di comportamenti inappropriati.