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18 Gennaio 2024
12:30

Perché gli stereotipi di genere condizionano la vita dei nostri figli anche se non ce ne accorgiamo

Gli stereotipi di genere sembrano invisibili ma influenzano l'intera esistenza dei nostri bambini. La pedagogista Alessia Dulbecco ci mette in guardia sulla necessità di superare i vecchi pregiudizi e impostare una vera rivoluzione educativa.

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Perché gli stereotipi di genere condizionano la vita dei nostri figli anche se non ce ne accorgiamo
Intervista a Dott.ssa Alessia Dulbecco
Pedagogista, counsellor e formatrice
stereotipi di genere educazione

Dal colore del fiocco in sala parto alla scelta dello sport da praticare durante l'infanzia, l'educazione dei nostri bambini è ancora oggi profondamente imbevuta di pregiudizi e stereotipi di genere, i quali influenzano le vite dei nostri piccoli e, molto spesso, finiscono per incidere sulle decisioni che ne condizioneranno il futuro.

Invertire la rotta però non è affatto semplice. Lo stereotipo è per sua natura difficile da estirpare proprio perché talmente radicato nel "comun sentire" che diventa complicato accorgersi perfino della sua esistenza: per quale motivo un fiocco rosa dovrebbe rappresentare un cliché di genere? Perché dare scherzosamente a qualcuno della "femminuccia" potrebbe perpetrare una visione stereotipata della società? Dopotutto "si è sempre fatto così", perché cambiare?

«Esiste una celebre affermazione di Grace Murray Hopper che recita "la frase più pericolosa in assoluto è: abbiamo sempre fatto così"» afferma Alessia Dulbecco, pedagogista e formatrice che da anni si occupa di pedagogia di genere, ossia quella disciplina che si occupa di studiare come le differenze di genere possano influire sull'educazione del bambino.

«Trovo questa frase molto efficace perché sottolinea come quello che tendiamo a considerare “naturale” è in realtà frutto della reiterazione, delle tradizioni che le generazioni precedenti ci hanno trasmesso, e non sempre ciò veicola contenuti positivi. Grazie agli studi di genere, infatti, sappiamo che molti dei luoghi comuni che orientano la vita di uomini e donne alimentano le discriminazioni».

Ed è proprio partendo da questa odiosa frase che nel 2023 Dulbecco decide di pubblicare "Si è sempre fatto così – spunti per una pedagogia di genere" (Edizioni Tlon), un saggio nel quale l'autrice ha analizzato le tre fasi dello sviluppo (infanzia. adolescenza ed età adulta) per evidenziare tutte quelle incongruenze apparentemente invisibili, ma che continuano a privare i nostri figli società più egualitaria ed inclusiva.

Perché gli stereotipi di genere sono così duri a morire?

Gli stereotipi sono idee fisse, limitate, che utilizzano un tratto o una caratteristica presunta in una determinata persona in base al genere, all’etnia, alla classe sociale, a eventuali disabilità ecc. Gli stereotipi sono duri a morire sia perché si basano su bias, distorsioni cognitive attivate dal nostro cervello per velocizzare alcune operazioni di base, sia perché vengono costantemente reiterati.

Gli stereotipi legati al genere influenzano la crescita fin dai primissimi anni

In che modo influiscono sullo sviluppo dei nostri figli?

Gli stereotipi influenzano la crescita di bambine e bambine fin dalla più tenera età (addirittura, cominciano a fare effetto prima della nascita) perché creano delle “gabbie” entro cui costringono i loro comportamenti, le loro emozioni e le loro aspirazioni ad adattarsi.

Si manifestano subito, nel momento in cui, da persone adulte, scegliamo per loro un vestito di un certo colore o li iscriviamo a specifici sport presumendo siano in linea con la loro maschilità o femminilità, e poi continuano nella vita adulta, nelle scelte formative, nei percorsi di carriera.

Qual è un esempio concreto di stereotipo così presente nella nostra società da non essere nemmeno avvertito come tale?

Alcuni stereotipi li ripetiamo così tante volte che ormai non ci facciamo neppure più caso: dire a un bambino “non fare la femminuccia” o a un ragazzo “comportati da uomo” sono stereotipi che rimarcano l’idea di come un essere umano di genere maschile dovrebbe comportarsi per non essere confuso con il “sesso debole” (non a caso lo chiamiamo ancora così…), e non essere giudicato nella propria virilità.

“Le donne sono le peggiori nemiche delle donne” descrive invece un altro stereotipo che ha a che fare con determinati atteggiamenti che si presume siano propri delle donne, ritenute subdole, incapaci di fare squadra e sempre pronte a primeggiare l’una sull’altra.

Gli stereotipi sono dannosi nella misura in cui si riversano nella nostra vita e iniziamo a usarli come metro di giudizio (per esempio, storcendo il naso all’idea di lavorare all’interno di un equipe di donne ipotizzando sia un ambiente faticoso) o per creare delle gerarchie (“veri uomini” vs “tutti gli altri”).

Esistono davvero "cose da maschi" e "cose da femmine"?

Oggi molti studi sostengono che non vi sono, a livello cognitivo, differenze tali da poter desumere la diversa “predisposizione” di maschi e femmine alla cura, all’esplorazione o a determinate professioni siano dovute a fattori naturali o genetici. È l’ambiente in cui siamo immersi, ancor prima della cultura, che fa la differenza. Per questo è importante chiedersi, come adulti, se stiamo preparando il terreno affinché le persone più piccole, a prescindere dal genere, abbiano la possibilità di compiere esperienze che le arricchiscano come persone ancora prima che in relazione al genere che incarnano. Liberare il terreno dagli stereotipi è funzionale non solo per le future donne ma anche per i bambini e ragazzi, spesso impossibilitati a esprimere emozioni e sentimenti perché sono azioni considerate non abbastanza virili.

giochi stereotipi di genere
L’idea di "giochi da maschi" e "giochi" da femmine è un esempio di stereotipo di genere radicato nella nostra cultura.

È nel superamento degli stereotipi che risiede la chiave per contrastare la violenza di genere?

Il superamento della violenza necessita di molti punti d’appoggio in grado si sostenerlo. Certo è che contrastare gli stereotipi – come sottolineano anche la Convenzione di Istanbul e l’Agenda 2030 – è un’operazione indispensabile perché è nella reiterazione di determinati stereotipi che riguardano la vita di uomini e donne e le loro relazioni che si annidano i germi della violenza.

Gli stereotipi di genere “insegnano” come si deve stare in una relazione, cosa è consentito e cosa no; la violenza intrafamiliare si verifica proprio quando le donne – il genere più colpito e in posizione sfavorevole  – cercano di sottrarsi agli obblighi imposti. Contrastare gli stereotipi in ambito relazionale, creare spazi in cui sia possibile portare l’educazione affettiva e al consenso sono mosse imprescindibili, se vogliamo finalmente smettere di trattare il tema della violenza in ottica emergenziale e cominciare a vederla per quello che è: un problema socio-educativo.

In che modo la scuola può contribuire a questo processo?

Creare spazi di educazione alle differenze (che fa proprio il contrario di chi sostiene che si vogliano annullare, al contrario si vogliono riconoscere), promuovere un orientamento formativo efficace che aiuti ragazzi e ragazze a fare scelte non omologate per genere sono sicuramente modi efficaci con cui la scuola potrebbe promuovere il processo. Serve, ovviamente, anche la capacità di aprirsi al dialogo con le tante professionalità che da anni si impegnano per diffondere questi argomenti.

Quali consigli dare ad un genitore per crescere figli e figlie liberi da preconcetti di genere?

Il suggerimento è quello di mantenere uno sguardo curioso e critico. Molti dei temi che vengono affrontati da chi si occupa di promuovere la pedagogia di genere come il
contrasto alle discriminazioni e l’estensione dei diritti vengono volontariamente condivisi e narrati in modo pretestuoso. Il mio invito è di informarsi, di provare a conoscere questi argomenti. Mettere in discussione lo status quo non significa eliminare il nostro passato; significa al contrario capire da dove proviene e scegliere cosa vogliamo passare alle nuove generazioni e di cosa vogliamo liberarci.

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Niccolò De Rosa
Redattore
Dagli studi umanistici all'esperienza editoriale, sempre con una penna in mano e quel pizzico d'ironia che aiuta a colorare la vita. In attesa di diventare grande, scrivo di piccoli e famiglia, convinto che solo partendo da ciò che saremo in grado di seminare potremo coltivare un mondo migliore per tutti.
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