In Corea del Sud non nascono più bambini e il governo di Seul le sta provando tutte per uscire da questa drammatica situazione. Anche ad elargire generosissimi incentivi per tutti i cittadini che decidono di mettere al mondo un figlio.
Stando alle stime elaborate dalla testata Al Jazeera, infatti dopo le ultime misure varate per contrastare il fenomeno delle culle vuote, nei primi anni di vita di un bambino un neo-genitore coreano può arrivare a percepire dallo Stato un cifra complessiva pari a quasi 14.000 di won (la valuta nazionale), corrispondenti a circa 10.500 dollari, tra pagamenti cash, benefit e agevolazioni.
Cifre strabilianti, soprattutto per una nazione che non ha nel welfare uno dei suoi punti di forza. La crisi delle nascite appare però così profonda da giustificare qualsiasi sforzo, anche se molti espetti dubitano che si tratti di un andazzo sostenibile a lungo.
La situazione coreana
La Corea del Sud vanta il triste primato di essere il Paese con il tasso di natalità più basso dell'intero pianeta: 0,78 per donna, ancora meno dello 0,81 registrato l'anno precedente.
Per inquadrare l'entità del problema basta pensare che in Italia – dove da anni si dibatte sul continuo tracollo della natalità – il tasso è di 1,24.
Non solo, dal 2020 i decessi hanno superato le nuove nascite (come da qualche anno avviene anche in Italia), innescando una lenta ma progressiva erosione della popolazione. Per questo il governo ha cominciato a coprire di bonus chiunque scelga di diventare genitore, a costo di svenare le casse statali.
In che modo funzionano i bonus?
Al momento della nascita del bebè, le neo-mamme ricevono subito due milioni di won (poco più di 1.500 dollari). Poi, iniziano in contributi mensili: 700mila won (528 dollari) al mese per il primo anno di vita, 350mila won (264 dollari) al mese per il secondo e 200.000 won (151 dollari) fino all'età scolare.
Dal 2024 però, i versamenti mensili per almeno i primi due anni di vita aumenteranno ulteriormente, arrivando a fissarsi a 1 milione di won per il primo anno (755 dollari) e 500mila won per il secondo (377 dollari). Senza parlare poi di ulteriori bonus per le spese mediche o i servizi di assistenza e un congedo parentale di ben 18 mesi.
Insomma, Seul non sembra badare a spese pur di riempire i reparti maternità. Nel settembre 2022 lo stesso presidente Yoon Suk Yeol ha ammesso che negli ultimi 16 anni sono già stati spesi circa 200 miliardi di euro (fonte CNN) per cercare di dare uno sprint alla natalità nazionale. I risultati però non sembrano premiare tanti sacrifici
Perché i soldi non "comprano" la natalità?
Come stiamo sperimentando anche in Italia, mettere al mondo un figlio non è una questione puramente economica, anche di prospettive e formazione culturale.
Nel caso della Corea del Sud, ad esempio, la carriera e il mantenimento di un alto di un certo vita appiano ben più appetibili rispetto al dedicarsi per anni alla crescite e all'educazione di uno o più figli.
La società coreana si è infatti basata per decenni su dinamiche di estrema competitività e una marcata disuguaglianza di genere. Il risultato? Si sono fissati elevatissimi standard in termini di prestazione sia scolastiche che professionali, cosa che ha fatto schizzare alle stelle i costi per le scuole (tutti vogliono mandare i propri figli agli istituiti più prestigiosi) e ha reso difficile la conciliazione carriera/famiglia.
Un mix letale se combinato con un costo della vita mediamente elevato.
Non solo: le donne desiderose di emancipazione hanno visto nella maternità un freno alle proprie aspirazioni, visto che per emergere occorre faticare e lavorare molto più degli uomini.
Come ben mostrato da un recente sondaggio dalla Korean Association for Social Welfare Studies infatti, solamente il 4% delle giovani intervistate ha affermato di considerare l'essere madre e sposa come una parte fondamentale del proprio futuro. Più della metà del campione, invece ha espresso il desiderio di non avere figli o unirsi ufficialmente in una relazione stabile.