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8 Marzo 2023
11:00

Pubblicare foto di bambini online è reato? Quali sono i rischi e le conseguenze dello sharenting

Web reputation, consenso, sicurezza informatica e sicurezza personale sono solo alcuni dei temi sul tappeto quando si parla di esposizione online di minori. Inquantificabili risultano invece i potenziali rischi a carico dei bambini ritratti, sia nel mondo reale che in quello digitale.

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Pubblicare foto di bambini online è reato? Quali sono i rischi e le conseguenze dello sharenting
Giurista, Mediatrice Familiare e Criminologa Clinica
sharenting e diritti dei minori sui social

La foto del test di gravidanza, quella della prima ecografia, il video con il suono del battito fetale. Ancora prima di venire al mondo, milioni di bambini vedono nascere la propria identità digitale, creata dai genitori su decine di social network differenti.

La gioia di diventare genitori è un’emozione forte, che preme per essere condivisa con il mondo, ma non per questo resta esente da rischi e possibili ripercussioni. Il primo vagito, infatti, è solo l’inizio del fenomeno dello sharenting. Il meglio, in termini di esposizione mediatica del minore, deve ancora arrivare.

Sharenting è un neologismo che nasce dall’unione dei termini anglosassoni share (condividere) e parenting (genitorialità). Descrive il fenomeno della condivisione online di materiale ritraente minori, posto in essere da parte dei loro stessi genitori, ed è sufficiente scrollare la home di un qualsiasi social network per comprenderne la portata.

Sono, infatti, migliaia i contenuti condivisi su profili social, più o meno pubblici, in un’attività frenica e compulsiva di cui non si conosce l’effettiva portata, né tantomeno i rischi sul piano reale o digitale. Ma quali sono le conseguenze, a breve e a lungo termine, dell’esposizione online dei minori?

Consenso, privacy e diritto all’immagine

Il primo bagnetto, il primo compleanno, il primo giorno di scuola, la prima pappa, il primo costume di carnevale. Centinaia di foto, video e audio vengono riversati sul web ancor prima che un bambino possa pronunciare la sua prima parola. Figuriamoci esprimere il proprio consenso.

Ogni giorno milioni di genitori praticano "sharenting" anche se pochissimi di loro ne sono pienamente consapevoli

Da un punto di vista prettamente legale i diritti che rilevano, in primo luogo, quando si parla di esposizione mediatica dei minori sono il diritto all’immagine e il diritto alla riservatezza (c.d. diritto alla privacy). Diritti che, come ribadito nella Convenzione dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza e dallo stesso Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), sono riferibili al minore in quanto individuo a sé. Come soggetto degno di tutela in quanto tale.

La prima domanda che sorge spontanea è se pubblicare contenuti online, ritraenti minorenni, sia o meno lecito senza il loro esplicito consenso. Allo stato attuale sì, a condizione che questo venga prestato dagli aventi diritto che, fino al quattordicesimo anno di età del minore, sono i suoi genitori.

La pratica dello sharenting, quindi, laddove siano gli stessi genitori in comune accordo fra loro a realizzarla, è attualmente una pratica lecita da un punto di vista legale. Necessario sottolineare come lo sia, però, solo ad oggi. Gli esperti si interrogano, da tempo, se si possa ancora ritenere che siano loro i soggetti più idonei a prestare il consenso per tale finalità.

Diritti dei minori sui social

Che sia il momento di ristabilire le priorità?

Inizia a vacillare infatti l’assunto secondo il quale i genitori siano le persone adatte ad autorizzare l’esposizione digitale dei propri stessi figli, specialmente sui propri canali di comunicazione. Questo in ragione del fatto che sono loro stessi a guadagnare, anche in termini economici, da suddetta visibilità. Risultano, inoltre, spesso privi di una sufficiente formazione al digitale, mostrandosi all’oscuro di eventuali rischi connessi e non comprendendo appieno la potenza lesiva di suddetta esposizione.

Nasce il dubbio, quindi, sul fatto che i genitori siano in grado di tutelare adeguatamente i diritti dei propri figli quando si parla di esposizione digitale, o sia invece necessario pensare a una normativa idonea a proteggerli fuori dai confini della potestà genitoriale.

I bambini sono soggetti di diritto e non oggetti per le rivendicazioni di diritti altrui (nemmeno da parte dei genitori)

Troppo spesso infatti si dimentica come i minori siano soggetti di diritto, prima ancora che oggetti di diritti altrui. Facilmente si rivendica l’esercizio della potestà genitoriale, in forza del rapporto di parentela, ma non si deve scordare come il ruolo preminente del genitore sia quello di cura e tutela, non di autorità decisionale. Quello genitoriale è quindi un dovere piuttosto che un diritto, che va esercitato “nel miglior interesse” per il minore, non nel solo rispetto dei propri desideri e aspirazioni personali.

Non esiste, al momento, alcuna supervisione sull’attività del genitore sulle piattaforme social, come invece avviene nel caso in cui l’immagine del minore venga utilizzata sui media tradizionali. Manca totalmente una valutazione esterna sull’opportunità di condividere determinati contenuti.

I social network diventano una terra di confine, nella quale sono gli stessi genitori che pubblicano l’immagine dei figli (sempre più spesso a scopo di lucro) a definire cosa, quando e quanto condividere. Sono sempre loro poi a determinare il livello di utilizzo dell’immagine e a farlo senza avere, spesso, piena consapevolezza di tutti i rischi in cui il minore può incorrere per essere stato esposto.

Un bambino che, ancor prima di poter formulare un consenso (libero, informato e consapevole) vedrà leso il proprio diritto alla privacy in modo irreversibile.

genitori social

Questi sono i dubbi che attanagliano le istituzioni di diversi paesi, soprattutto europei, che si trovano a vagliare eventuali direttive in materia. Gli stessi Ministero della Giustizia e il Garante della Privacy italiani sono attualmente impegnati nella valutazione del fenomeno, per varare eventuali soluzioni normative in grado di tutelare i diritti dei milioni di minori coinvolti.

Per quanto riguarda la questione del consenso, poi, è possibile analizzare la questione anche da un punto di vista etico-morale. In considerazione del fatto che molti di questi genitori guadagnano, in termini di visibilità se non addirittura economici, dall’esposizione online dei propri stessi figli, su piattaforme poco regolamentate assistiamo spesso ad un vero e proprio sfruttamento di immagine per finalità commerciali e con modalità sovente poco trasparenti o mal dichiarate.

In quest’ottica appare sempre più incongruo permettere che sia lo stesso soggetto che ha interesse a portare avanti tale pratica, ad essere quello preposto a prestare il consenso e a determinare anche l’opportunità della condivisione dei contenuti.

Chi sfrutta l’immagine del minore è lo stesso che dovrebbe garantirne la tutela e, al contempo, lo stesso a giudicare il valore e la necessità delle singole pubblicazioni. Si rileva dunque, per lo meno da un punto di vista giuridico, un evidente conflitto d’interessi tra i diritti dei bambini (alla riservatezza e all’immagine, ma anche alla sicurezza e all’anonimato) e l’interesse dei genitori (a percepire una qualsivoglia utilità, utilizzando la loro immagine con modalità spesso improprie e senza alcuna supervisione imparziale).

Web reputation e diritto all’oblio

Le questioni legate alla privacy e alla tutela dell’immagine non afferiscono unicamente a valutazioni di merito sulla validità del consenso. Essere esposti sui social media, vedendo scemare il proprio diritto alla riservatezza, è una questione che investe in maniera massiva lo stesso sviluppo psico-fisico dei minori coinvolti.

Uno dei temi più importanti, legati all’esposizione online, è connesso al fatto che quei contenuti una volta postati escono dalla sfera di dominio del genitore. Non solo, quindi, questi contenuti vengono creati senza il consenso del minore ritratto ma, una volta riversati sul web, difficilmente potranno essere del tutto eliminati in futuro.

Nell’era digitale non esiste una tutela effettiva del cosiddetto diritto all’oblio. In parole povere: Internet non dimentica. Una volta condivisi dei dati questi possono essere scaricati infinite volte da infiniti soggetti terzi, senza che si possa agire in alcun modo per limitarlo. Quei contenuti potranno essere altresì manipolati specificamente per offendere, ledere o denigrare il soggetto ripreso.

Il Web ha una "memoria di ferro" e ciò che viene caricato online è difficilmente controllabile

Il fenomeno della deep fake, ad esempio, prevede proprio che foto e video vengano distorti per crearne altri, anche di carattere sessuale, al fine di umiliare il soggetto ritratto, indipendentemente dal fatto che questi sia o meno maggiorenne.

Tralasciando i tentativi di utilizzo del materiale specificamente distorsivi, non si può non considerare come il contenuto, pur rimanendo inalterato, potrebbe essere lesivo di per sé della reputazione del minore. Se non ora magari in futuro.

Quelle foto, quei dettagli privati, restando consultabili sui social media potranno infatti essere trovati da diverse persone con cui il minore entrerà in contatto nella sua vita presente e futura: compagni di scuola, amici, insegnanti, colleghi di lavoro, partner. Quanti di quei contenuti potranno provocare imbarazzo? Quanti potrebbero essere fonte di disagio o divenire innesco di veri e propri atti di bullismo a suo carico? Quali conseguenze si verificheranno sul piano scolastico, relazionale o sociale?

Impossibile determinare, ad oggi, con gli occhi del genitore, cosa potrà essere considerato lesivo della reputazione di un minore da qui a 2, 5 o 10 anni. Come si può, quindi, schiacciare il tasto “condividi” senza chiedersi esattamente dove finiranno quei contenuti e come potrebbero essere utilizzati da conoscenti o centinaia di migliaia di sconosciuti?

I bambini esposti di oggi vedono sfumato il proprio futuro diritto all’oblio di domani. In questa prospettiva appare sempre più inadeguata una normativa che autorizzi il genitore, spesso poco formato sulle possibili conseguenze dello sharenting, a eliminare il diritto all’anonimato dei propri figli, per il resto della loro vita, con un semplice click.

Sicurezza personale e digitale

L’esposizione online di minori solleva questioni legate al consenso, al diritto alla privacy e alla reputazione dei minori ma non solo. Lo sharenting può seriamente attentare alla sicurezza, personale e digitale, dei bambini coinvolti.

Esistono diversi piani di rischio, così come indicato anche da numerose associazioni specificamente impegnate nella tutela dei diritti dell’infanzia.
Per quanto riguarda la sicurezza personale, ad esempio, è la stessa organizzazione internazionale Save the Children a stabilire come i contenuti condivisi online possano essere la chiave per identificare un bambino, localizzarlo geograficamente e tentare un adescamento online e offline.

Migliaia di genitori caricano online foto e video nei quali i minori sono perfettamente visibili e identificabili. Spesso questi contenuti vengono corredati da informazioni personali e geotag in grado di indicare chiaramente il parco giochi in cui si recano regolarmente, le attività svolte con più frequenza, l’istituto scolastico di appartenenza, il nome e il volto di nonni e tate che se ne occupano in assenza dei genitori.

Quante volte, ad esempio, capita di osservare la foto di un bambino in divisa, con lo stemma dell’istituto scolastico o del centro sportivo chiaramente leggibile? Quante volte queste foto vengono accompagnate, inoltre, da didascalie molto esaustive nelle quali sono indicati il nome del bambino e informazioni personali?

I pericoli dei minori sui social

Se uno sconosciuto in strada si avvicinasse a un minore per fotografarlo in viso, pretendendo di conoscere il suo nome, il giorno del suo compleanno o il nome della sua scuola che frequenta probabilmente il genitore chiamerebbe le forze dell’ordine. Si allontanerebbe terrorizzato, cercando di proteggere il bambino da un’invasione così violenta della sua privacy. Lo farebbe temendo il peggio, pensando che le informazioni possano diventare armi molto pericolose in mano a un malintenzionato. Come mai, quindi, dare spontaneamente le stesse informazioni a migliaia di sconosciuti, alcuni dei quali potenzialmente pericolosi, non fa scattare lo stesso campanello di allarme in milioni di genitori dediti allo sharenting?

L’eventuale adescamento del minore, poi, non è l’unico rischio alla sua sicurezza. Le informazioni personali che accompagnano, normalmente, le foto e i video possono essere utilizzate per pratiche lesive digitali di varia natura. Come, ad esempio, furti d’identità.

Il semplice post con il quale i genitori annunciano la nascita del figlio contiene, senza nemmeno una foto, tutti i dati considerati sensibili, che potrebbero un giorno essere utilizzati per minare la sicurezza informatica del soggetto in questione: data e luogo di nascita, nome e cognome, nome e cognome di entrambi i genitori. Grazie a quelle poche righe sarà possibile per chiunque, in futuro, provare a rubare l’identità digitale di quella persona ricostruendo le informazioni base necessarie e combinandole tra loro.

Il semplice post con il quale i genitori annunciano la nascita del figlio contiene, senza nemmeno una foto, tutti i dati considerati sensibili

A questo post incriminato ne seguiranno altri, ad esempio con l’indicazione del nome dell’animale domestico, del personaggio dei cartoni prediletto o del campo estivo dove il bambino trascorre tutte le estati. Se queste informazioni, prima dell’avvento digitale, potevano sembrare innocue o venir fuori in casuali conversazioni presto dimenticate, allo stato attuale diventano delle carte d’identità informatiche che restano indelebili e facilmente recuperabili.

Post tutt’altro che innocui possono costituire dei passpartout digitali, per risalire alle password di qualsiasi sito internet o portale informatico personale come quelli bancari, assicurativi o istituzionali. Più che una condivisione di attimi di vita privata, il tutto diventa una catalogazione sistematica di dati sensibili che, ancor prima di restare impressi nella memoria dei protagonisti, vengono depositati sul web in attesa che qualcun altro possa scaricarli e usarli a proprio piacimento anche tra decine di anni, con una semplice consultazione su un qualsiasi motore di ricerca.

Dopo esserci chiesti, quindi, se l’esposizione dei minori online sia lecita e opportuna, è il momento di chiedersi: è davvero sicura come pensiamo?

Condividere online foto e video della propria famiglia è una cosa che appare naturale e viene realizzata, per lo più, con le migliori intenzioni. Ma ad oggi non è più possibile ignorare come questo possa essere potenzialmente pericoloso e lesivo per i diritti dei minori coinvolti.

Il consenso di un genitore, spesso non del tutto informato e imparziale, non appare più un vessillo sufficiente a tutelare tutti gli interessi in gioco.

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