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15 Aprile 2023
15:00

Quali sono i campanelli d’allarme neuro-psicomotori nel bambino e quando preoccuparsi

Tra i campanelli d'allarme psicomotori rientra qualsiasi comportamento che l'adulto nota nello sviluppo del bambino. Potrebbe non significare nulla di preoccupante, così come potrebbe richiedere l'intervento di un professionista, che consigli la strategia e la stimolazione specifica più appropriata. L'importante è non trascurare quanto si osserva nel piccolo, senza creare eccessive ansie.

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Quali sono i campanelli d’allarme neuro-psicomotori nel bambino e quando preoccuparsi
Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’età evolutiva
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Spesso ai genitori viene consigliato di rivolgersi a uno specialista quando notano nel loro bambino determinati "campanelli d'allarme". Ma cosa s'intende per campanelli d'allarme? Cosa si osserva nel bambino? Quando ci si deve preoccupare?

Con campanello d’allarme s'intende, come chiarisce Treccani, un «avviso anticipatore di eventi spiacevoli e di difficoltà». In sostanza, è come quando il bambino inizia ad avere la febbre, avverte del prurito e il genitore sospetta che abbia la varicella e, quindi, decide di portare il figlio dal pediatra senza aspettare che sia ricoperto di macchie. Allo stesso modo, quando il raggiungimento di alcune tappe dello sviluppo neuro psicomotorio non corrisponde a quanto atteso per l’età oppure quando si notano modalità atipiche e particolari nel comportamento del bambino, è consigliabile rivolgersi allo specialista del settore per un parere.

Campanelli d'allarme divisi per aree: non semplifichiamo!

Cercando in rete informazioni sui campanelli d’allarme neuro psicomotori, si trovano una serie comportamenti e segnali da osservare nel piccolo schematicamente divisi per aree (motoria, comunicativa, cognitiva, relazione, eccetera). Ha davvero senso questa divisione? La divisione è valida nel momento in cui vogliamo fornire uno strumento utile al genitore che, leggendo, può riflettere su quella competenza o sul quel comportamento specifico del bambino. Tuttavia, è estremamente semplificatrice se si considera quanto sia complesso lo sviluppo.

Non parliamo a sproposito di sviluppo neuro-psico-motorio. Come ha ampiamente dimostrato la ricerca scientifica, queste aree sono strettamente collegate tra di loro: l’agito motorio permette al bambino di fare esperienze che supportano il cognitivo, che viceversa spinge il bambino a muoversi in modi sempre più complessi e agili per interesse verso il mondo circostante, mondo con cui il piccolo vuole entrare in contatto, sviluppando modalità comunicative per chiedere, mostrare, e così via.

Potrebbe succedere, quindi, che il bambino a 3 anni di età fatichi ancora a parlare e a farsi capire dagli adulti o che le insegnanti dell’asilo segnalino al genitore che il figlio è aggressivo e tollera poco la frustrazione. A quel punto, il genitore potrebbe pensare: “Dobbiamo educarlo, è troppo monello!” o viceversa “Lavoriamo sulla parte emotiva, per il linguaggio avrà i suoi tempi”. Ma, come spesso accadde, proprio la fatica nel farsi capire e nel relazionarsi con il mondo potrebbe portare il bambino a essere maggiormente irascibile e in difficoltà nel gestire il conflitto con i coetanei. Perciò, va bene partire da un campanello in un specifica area, ma non bisogna pensare che tutto poi sia slegato e diviso in modo netto.

È vero che ogni bambino ha i suoi tempi?

"Sni". Incontrando tanti genitori, a noi terapisti della neuro e psicomotricità capita di imbatterci in due diversi approcci alle difficoltà del figlio: uno che manifesta un'eccessiva preoccupazione, l'altro un'eccessiva disattenzione. Vediamoli:

  • Il bambino a 11 mesi circa non cammina e il genitore pensa: “Oddio, a undici mesi ancora non cammina, sta attaccato al divano ma non ha ancora fatto i primi passi”. In realtà è presto per preoccuparsi, tuttavia, se si preferisce essere rassicurati, se si desidera essere sicuri che al momento non ci siano segnali di difficoltà e che non si stia creando un ambiente sfavorevole, se si vogliono consigli su come favorire questa fase, ben venga una consulenza dal terapista. Ricordiamo che lo sviluppo avviene in fisiologia naturalmente, quindi si può intervenire creando un ambiente facilitante, ma non attraverso esercizi.
  • Il bambino a 18 mesi non cammina e il genitore pensa: “Ancora non cammina ma ogni bambino ha il suo tempo, sono venuto da lei solo perché mi ci hanno mandato le insegnanti”. Preciso che il “cancelletto” per i primi passi è indicato a 18 mesi, età entro cui il bambino dovrebbe averli già mossi. Senza dubbio, ogni bambino ha i suoi tempi e le sue modalità, per questo motivo nessuno intende aspettare con il cronometro e il fischietto di fianco al piccolo, dicendo: “Hey, hai tot mesi, inizia a fare questo! Alt, no, stop, non così, rifai, la gamba mettila così!”. Tuttavia, ci sono determinate tappe che se non vengono raggiunte entro una certa età richiedono urgentemente un intervento di uno specialista che faccia una valutazione approfondita; così come ci sono comportamenti atipici che non possiamo banalizzare nel “ogni bambino è fatto a suo modo”, ma che è bene approfondire.

L'approccio ecologico

Alla complessità dello sviluppo ecologico di ciascuno sappiamo che concorrono diversi elementi, dalla genetica alle esperienze vissute. Tra questi non possiamo dimenticare il fattore ambientale in cui il bambino è inserito.

I fattori ambientali costituiscono gli atteggiamenti, l'ambiente fisico e sociale in cui le persone vivono e conducono la loro esistenza” ( ICF, Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute).

Cosa c’entra il fattore ambientale con i campanelli d’allarme? Quando confrontiamo lo sviluppo del bambino con parametri di riferimento, bisogna sempre chiedersi:

  • Il bambino ha avuto la possibilità di sviluppare questa competenza? Per esempio, se è impacciato nella corsa, è bene chiedersi se il piccolo ha avuto la possibilità di correre o se, invece, ha vissuto per lo più in spazi piccoli. Magari, appena iniziava a prendere velocità gli adulti accanto lo fermavano per paura si facesse male.
  • Come si comportano le persone attorno al bambino? Per esempio, se l’insegnante segnala che il bambino ha spesso il tono della voce alto e fatica a regolarlo, il genitore si potrebbe chiedere se lui è abituato ad essere ascoltato e considerato anche quando non grida.

Come intervenire se qualcosa non va

Nei campanelli d’allarme rientra qualsiasi comportamento che il genitore, l’insegnante, la baby-sitter notano o qualsiasi dubbio che hanno circa lo sviluppo del bambino. L’importante è non trascurarlo e chiedere il parere di un professionista (TNPEE, logopedista, neuropsichiatra). Potrebbe essere necessario semplicemente aspettare, monitorando dopo alcuni mesi la situazione. Oppure, potrebbe servire attuare delle piccole strategie e stimolazioni specifiche a casa e a scuola. Potrebbe servire un percorso specifico, più o meno intenso, svolto direttamente dai professionisti. Potrebbe servire una valutazione completa ancora più approfondita che arrivi ad un inquadramento diagnostico di quanto osservato.

Serve preoccuparsi quindi? Il giusto: certo non trascurare quanto osservato, ma ricordarsi che un “segno”, oltre a non fare diagnosi, non ci dà un quadro completo del nostro bambino!

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