Quali sono le cause del calo delle nascite in Italia?

Nel 2022 sono nati meno di 400.000 bambini: è il numero più basso mai registrato dall’unità d’Italia. Stipendi bassi e mancanza di welfare sono tra le cause di una denatalità costante che va avanti da circa 15 anni.

18 Agosto 2023
11:22
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Quali sono le cause del calo delle nascite in Italia?
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Nel 2100 in Italia potrebbero esserci metà delle persone che ci sono oggi. Passeremo quindi dai 60 milioni di abitanti a 30 milioni di abitanti. Ma com'è possibile? Beh facile: perché facciamo sempre meno figli.

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Pensate che quando venne fatto il primo censimento nel 1862, i nuovi nati erano circa 900.000. 160 anni dopo sono addirittura dimezzati: parliamo di meno di 400.000 nuovi nati nel 2022. È il numero di nascite più basso mai registrato dall’unità d’Italia. I giovani fanno sempre meno figli e chi li fa, invece, lo fa sempre più tardi: secondo il rapporto Istat sulla natalità e fecondità del 2021, l’età media delle donne al momento della nascita del primo figlio è di quasi 32 anni e il numero medio di figli è meno di 1,2 per donna. Chiaramente 150 anni fa i tempi erano molto diversi dai giorni nostri. Ma anche se guardiamo solo agli ultimi 15 anni il trend è nettamente negativo. Un crollo delle nascite continuo a partire dal 2008, quando i nati registrati furono quasi 600.000.

Perché gli italiani non fanno più figli?

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Dare una risposta a questa domanda non è semplice. Innanzitutto quella di fare figli è una scelta personale dettata da svariati motivi che non può essere giudicata. Ma se analizziamo le motivazioni date dalle madri nel report “Le equilibriste” di Save the Children, quello che ci ritroviamo davanti è un quadro che mostra chiaramente il perché le donne preferiscono non allargare la famiglia o, addirittura, di non mettere al mondo neanche un figlio. A giocare un ruolo fondamentale, come potete ben immaginare, è la stabilità economica che, se arriva, arriva dopo i trent’anni. E questo, di conseguenza, influisce sulla decisione di quando, in che quantità o se, fare figli.

Siamo all’interno di un contesto del mercato del lavoro già precario, dove le donne, e nello specifico le madri, devono ancora fare i conti con il gender gap. È un dato di fatto che guadagnano meno degli uomini: secondo un'indagine del 2022 di Alma Laurea a fronte di 1860 euro netti guadagnati dai papà, le mamme ne guadagnano 1505.  Spesso, a causa dell’assenza dei servizi di cura e di welfare, sono costrette a subire un rallentamento di carriera, magari passando a un part time, rinunciando a delle promozioni o addirittura sacrificando il proprio lavoro. Secondo il report dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro sulle dimissioni delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri, nel 2021, su un totale di 52.436 dimissioni, 37.662, cioè il 72%, sono date dalle madri.

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Tra queste, più della metà si dimette perché non riesce a conciliare la cura dei figli con la carriera. Infatti, dopo il congedo obbligatorio, che dura un totale di 5 mesi per le donne e solo 10 giorni per gli uomini, le mamme devono rientrare a lavoro dovendo affidare il figlio alle cure di qualcun altro. E a chi lo danno questo neonato? Ai nonni? Se ci sono e possono dare una mano, sì! Ma chi non può affidare i figli alle cure dei nonni si deve rivolgere ai nidi. Il problema, però, è che i nidi pubblici non sono abbastanza e la retta di quelli privati è davvero alta. Secondo un’indagine del 2022 di Altroconsumo sui nidi privati, infatti, la retta di questo servizio essenziale può arrivare a costare anche più di 600 euro al mese. A casa, poi, la situazione non migliora: le mamme sono sole nella cura dei figli. Le donne dedicano alla cura del figlio circa 16 ore al giorno, contro le sette ore del partner. In questo contesto, ritagliarsi del tempo libero per se stesse o per la coppia è sempre più faticoso. Ma anche superati i primi anni, in cui i bambini sono più dipendenti dai genitori, la situazione resta difficile. Secondo la Relazione annuale della Banca d’Italia del 2021, crescere un figlio costa a ogni famiglia più di 600 euro al mese. Mantenerlo nel suo primo anno di vita può costare complessivamente dai 7 mila fino ai 17 mila euro. Tutti questi fattori spingono le donne a scegliere di fare sempre meno figli.

Sempre secondo il report “Le equilibriste”, su un campione di 800 mamme con un figlio tra i 0 e i 2 anni, quasi la metà sostiene di non volerne altri.  Alla domanda sul perché di questa scelta hanno risposto perché troppo faticoso, perché non riuscirebbero a conciliare vita lavorativa e familiare, e perché non ricevono abbastanza supporto dallo Stato.

Il problema dell'infertilità

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Ma non è finita qui, perché, come se non bastasse, a metterci il carico da 90 ci pensa la biologia, che insieme a tutti i motivi citati finora, incide sulla nostra capacità di fare figli. Abbiamo detto che la stabilità economica e quindi la nostra possibilità di metter su famiglia non arriva prima dei trenta, trentacinque anni. Ma questo è proprio il periodo in cui la nostra fertilità, soprattutto per le donne, cala drasticamente. Secondo il Ministero della Salute, il periodo di fertilità massima per le donne si registra dai 20 ai 30 anni. Si ha poi un primo calo intorno ai 32 anni, che diventa più significativo sui 35-37 anni rendendo sempre più difficoltoso avere un figlio naturalmente.

Va anche detto che questa forte denatalità che stiamo vivendo dipende anche da un problema fisiologico: ci sono meno donne in età fertile rispetto alle generazioni precedenti. Questo perché, dopo il baby boom degli anni ‘60, abbiamo attraversato quello che viene definito baby bust, cioè una contrazione delle nascite nel ventennio 1976-1995. Meno nascite significa avere meno bambine e quindi meno donne che in futuro faranno figli, innescando così un effetto a catena che, capite bene, porterà a una sempre maggiore denatalità. E questo effetto a catena è stato evidenziato anche dalla rivista scientifica The Lancet che ha stimato che entro il 2100 ben 23 paesi del mondo, andando a questo ritmo, potrebbero dimezzare la loro popolazione. Nello specifico la popolazione dell'Italia, potrebbe passare dai 61 milioni di abitanti attuali a circa 30 milioni entro la fine del secolo. Questo scenario è confermato anche dall’Istat, che prevede una popolazione, nel 2070, di circa 47 milioni.

Le conseguenze del calo delle nascite

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Ma cosa significa vivere in un paese con una popolazione dimezzata e con sempre meno nuovi nati? Innanzitutto significa porre l’Italia davanti a una sfida economica che, visto il trend, probabilmente ci ritroveremo ad affrontare prima di quanto pensiamo. Avere meno giovani in un paese significa avere meno lavoratori e quindi meno contribuenti. In parole povere, significa che lo Stato dovrà trovare un altro modo per sovvenzionare tutti i servizi pubblici di cui usufruiamo e che attualmente finanziamo attraverso le tasse: come la sanità, l'istruzione, la difesa ma, soprattutto, le pensioni. Secondo un rapporto dell’Istat sul futuro della popolazione, nel 2050 ci sarà 1 giovane ogni 3 anziani: non abbastanza forza lavoro per garantire a tutti una pensione adeguata.

Questo dilemma del fare figli sta accadendo in un periodo storico in cui essere giovani è sinonimo di precarietà. Facciamo sempre più fatica a inserirci nel mondo del lavoro, spesso senza neanche avere la certezza di un contratto. Gli stipendi poi non crescono da decenni: secondo l’ultima elaborazione Ocse, lo stipendio medio di un italiano, è rimasto intorno ai 40 mila dollari lordi dal 1990. Intanto il costo della vita aumenta: l’alta inflazione impoverisce sempre di più i lavoratori, abbassando il loro potere d’acquisto. Fare la spesa costa di più e gli affitti sono alle stelle. E anche quella di comprare casa per mettere su famiglia è una scelta che in molti non possono permettersi: la crisi del settore immobiliare infatti rientra tra le cause evidenziate dall’Istat per spiegare il calo della nascita dei primi figli. Alla luce di tutto ciò, non stupisce la scelta di uomini e donne di mettere al mondo meno figli, anche quando si desiderano. Ed è difficile immaginare che le cose cambino finché il contesto sarà questo.

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