«Sesso» e «infanzia» sono due parole incompatibili? Falso. Anche se scomodo, imbarazzante e indigesto, discutere di sesso in famiglia senza peli sulla lingua aiuta i nostri figli a vivere, un domani, la sessualità con consapevolezza, naturalezza e senza tabù. Censurare la scena a luci rosse di un film, coprendo gli occhi al piccolo, rischia di inculcargli la malsana convinzione che il sesso e la sessualità siano motivo di disagio e vergogna. Oggi i giovani navigano quotidianamente sul web incappando in contenuti sessuali impliciti o espliciti, eppure, a causa della scarsa o incompleta educazione sessuale ricevuta a scuola e in famiglia, la disinformazione su malattie veneree e sessualmente trasmissibili o sul funzionamento degli organi sessuali regna sovrana tra i teenager. Per prevenire traumi, segreti o, semplicemente, pericolosa ignoranza, è, quindi, raccomandabile iniziare ad affrontare l’argomento fin dalla tenera età, rispondendo alle domande dei più piccoli. È ora di archiviare la favola della cicogna?
A che età si inizia a parlare di sesso con i figli?
«Non esiste un’età in cui si inizia a parlare di sesso – risponde Elisabetta Lupi, psicologa del Comitato Socio-Scientifico di Wamily –. Ma esiste l’età delle domande. Le prime domande potrebbero arrivare già a partire dai 3-4 anni. I bambini potrebbero iniziare a notare le differenze di genitali maschili e femminili e chiederci a cosa servono».
Ovviamente, la scelta delle parole e la specificità delle informazioni dipendono dall’età del giovane interlocutore.
«Ogni età si caratterizza per livelli di comprensione differenti. I genitori sono chiamati a rispondere considerando l’età dei figli» puntualizza la dott.ssa Lupi.
Sdoganare l’argomento sesso è un bene, tuttavia non va vissuto come una costrizione da parte del genitore. «Nel caso ci si trovasse in difficoltà a parlare di sesso, non c’è niente di male se non vogliamo affrontare l’argomento possiamo chiedere al nostro partner di farlo al posto nostro» spiega la psicologa.
Scene hot nei film in compagnia dei piccoli: censurare o guardare?
L’affettuoso quadretto familiare, con genitori e figli accoccolati sul divano a guardare un film in una domenica di pioggia, rischia di essere brutalmente rovinato da lei. La scena di sesso tra gli attori che arriva inaspettata e rende paonazzo il viso di mamma e papà.
«Non è necessario coprire gli occhi al nostro bambino durante scene imbarazzanti – commenta Lupi –. Così facendo i bimbi potrebbero percepire il nostro disagio e le nostre difficoltà, questo potrebbe portarli ad alimentare tabù e segreti nel futuro».
Minori e accesso alla pornografia
Tra i 7 e gli 11 anni è l’età media del primo porno. Una fascia d’età che si abbassa periodicamente a causa dell’iperconnessione dei giovani di oggi e di un accesso a internet senza filtri. Sono i dati trasmessi nell’ultima analisi dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza Onlus. Numeri che lasciano sbigottiti e che puntano la luce su un fenomeno urgente: quello della sovraesposizione dei minori alla notizia e, quindi, alla pornografia. Una soluzione definitiva non esiste: l’unico balsamo è limitare e ritardare l’uso di dispositivi digitali.
«L’accesso veloce e facile alle notizie attraverso i siti web riguarda tutti gli ambiti, non solo la pornografia – dichiara la psicologa Lupi –. I bimbi di oggi sono bombardati in modo esagerato di notizie di ogni genere. Questo di per sé è un problema, con cui la nostra società sicuramente si troverà a fare i conti in futuro. Possiamo però fin da subito limitare e ritardare l’esposizione eccessiva ai device. Con il tempo e con l’avanzare dell’età dei nostri bimbi sarebbe però utopico pensare di bloccare questo tipo di accesso alle notizie».
«Potremmo incoraggiarli a riflettere sul sesso e sulla sessualità, sull’estrema mercificazione del corpo a cui si assiste, anche e soprattutto tramite il web. Ma anche sulle limitazioni relazionali a cui ci ha costretto cercando di soffermarsi sulla differenza tra reale e finzione» continua la dott.ssa Lupi.
«Il problema non è raccontare in modo esplicito la sessualità, anche se dovesse essere fatto attraverso i media – conclude –. Il problema è come la si racconta, e se tale racconto si dipinge di toni sessisti, razzisti o violenti».