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29 Luglio 2023
12:30

Quando si cambia il ciuccio?

Il ciuccio va cambiato periodicamente per motivi di igiene, di sicurezza e in base all’età del piccolo. In genere, si consiglia di sostituire il succhietto vecchio ogni 4-6 settimane o, al massimo, 2 mesi. In caso di usura, va cambiato immediatamente.

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Quando si cambia il ciuccio?
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Il ciuccio ha una data di scadenza. Sia per motivi di igiene che di sicurezza, infatti, si consiglia di cambiare il ciuccio periodicamente, in media ogni 4-6 settimane. In più, il ciuccio va regolarmente sterilizzato almeno nei più piccoli, valutando durante la pulitura se la tettarella presenta segni di usura: in tal caso, il ciuccio va sostituito, anche se acquistato da poco. Anche l’età anagrafica incide sulla durata del succhietto: il ciuccio va cambiato in base ai mesi di vita del piccolo.

Come capire quando cambiare il ciuccio?

I ciucci si danneggiano e deteriorano facilmente e possono trasformarsi in  un veicolo di trasmissione di germi e batteri. Ecco perché vanno cambiati con regolarità.

Non esistono linee guida chiare e univoche che indichino ogni quanto cestinare il ciuccio per acquistarne uno nuovo. Generalmente, si consiglia di sostituire il ciuccio vecchio ogni 4-6 settimane o, al massimo, ogni due mesi per motivi di sicurezza e igienici. Molto dipende anche dal tipo di ciucco che il nostro bambino gradisce, di caucciù o di silicone.

Sicurezza del ciuccio

Prima di concedere il ciuccio al bimbo, è opportuno esaminarlo per valutare l’eventuale presenza di fessure, rotture o segni di usura nel succhietto, nonché cambiamenti nelle dimensioni o nella forma della tettarella. In caso si riscontri uno di questi problemi, il ciuccio va cambiato immediatamente per evitare che il piccolo inavvertitamente ingerisca pezzetti di plastica. Per questo, ha senso conservare uno o più ciucci di scorta nuovi per le emergenze.

Sull'usura influiscono tempo e intensità di utilizzo

Segni di usura sono anche l’indurimento della tettarella e il suo colore mutato rispetto al momento dell’acquisto, oltre allo stato appiccicoso della tettarella. I ciucci usurati, infatti, diventano pericolosi per la sicurezza del bimbo.

Rotture e danneggiamenti sono più frequenti quando il bambino ha già i denti o è nella fase in cui li sta mettendo, poiché tende a mordicchiare il succhietto. I buchi nel ciuccio, inoltre, rischiano di causare coliche addominali dovute alla suzione di aria.

Sull’usura influiscono due fattori: il tempo e l’intensità di utilizzo. Ovviamente, il ciuccio si rompe più in fretta se è utilizzato con assiduità e succhiato con forza dal neonato, mentre se il piccolo lo utilizza poco potrebbe durare più a lungo.

Igiene del ciuccio

Per quanto concerne l’igiene, è bene sterilizzare correttamente il ciuccio con regolarità. Al primo utilizzo e poi con regolarità  va sterilizzato in acqua bollente o nell’apposito sterilizzatore per evitare che sulla tettarella prolifichino virus e batteri.

Perché cambiare il ciuccio in base all’età?

I ciucci, come i vestiti, hanno misure diverse a seconda dell’età del piccolo. Nello specifico, il ciuccio va cambiato mano a mano che cresce il bambino, ad esempio a 6 mesi e a 18 mesi. In effetti, un lattante di un mese non può ciucciare il medesimo succhietto di un bimbo di 1 anno e mezzo: il secondo sarà inevitabilmente più grande del primo. Per questo, il ciuccio va scelto con cura e attenzione.

Esistono tre misure:

  • il ciuccio per gli 0-6 mesi ( anche se è meglio non proporre il ciuccio fintantoché non sia iniziata la corretta suzione del latte da parte del neonato)
  • il ciuccio per i 6-18 mesi
  • il ciuccio dai 18 mesi in avanti (anche se, ricordiamo, la comunità scientifica raccomanda di togliere il ciuccio entro i 2-3 anni di età)

Si suggerisce di sostituire il ciuccio durante il giorno per controllare l’andamento della suzione del piccolo con il succhietto più grande.

Le informazioni fornite su www.wamily.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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