Quante volte noi genitori, nel tentativo di scegliere il meglio per i nostri figli, ci sostituiamo a loro, anzi peggio: ai loro allenatori. Il bambino deve sentirsi supportato e non in conflitto perché, per esempio, non sa chi gli sta suggerendo la strategia migliore. Soprattutto deve scegliere liberamente l’attività sportiva che lo fa stare bene, o che lo invoglia perché suo fratello o i suoi amici gliel’hanno consigliata.
E se il piccolo non sa proprio cosa fare, possiamo aiutarlo osservando il suo carattere? Lo abbiamo chiesto alla psicologa, specializzata in Psicologia dello sport Sara Raffaele che ci ha illustrato una gamma di sport più compatibili con certe tendenze caratteriali. Come ha spiegato la dottoressa, dallo sport si possono imparare anche quegli atteggiamenti e quei valori che sembrano più lontani dai nostri bambini.
Dottoressa Raffaele, esiste lo sport adatto al bambino in base al suo carattere?
Le ricerche sono continue e diverse a proposito della correlazione tra il carattere del bambino e lo sport più adatto a lui. È evidente che ogni bambino abbia un corredo temperamentale differente, ve ne sono di più vivaci, più estroversi e più timidi. Quindi pensando alle caratteristiche dei piccoli possiamo fare una categorizzazione delle tipologie di sport più adatti a loro:
- I bambini che hanno elevata estroversione e spiccata energia, definiti ricercatori di sensazioni (sensation seekers), potrebbero prediligere sport di squadra, in cui questi aspetti sono sollecitati e stimolati.
- Ci sono bambini in cui l’aggressività è più spiccata, intesa non in senso negativo, ma come quella spinta naturale che tutti abbiamo alla competizione e al gioco. In questo caso è bene avvicinare il piccolo ad uno sport in cui la competizione venga particolarmente espressa, come il calcio. In caso contrario è bene invece inserirli in contesti dove il gioco predomina sulla competitività.
- Ci sono bambini più dinamici e con grande capacità di concentrazione per i quali si potranno prediligere sport che mettano in gioco open skills. Si intendono attività sportive come la pallavolo, il basket o il tennis, in cui la situazione cambia velocemente e sempre.
- Per bambini che invece sono molto attivi ma hanno difficoltà a rimanere concentrati sono più indicati sport di resistenza, come l’atletica.
- I bambini più timidi o che hanno maggiore predisposizione ad attività individuali, si sentiranno più portati per uno sport individuale, con questo non si deve pensare che il piccolo non verrà educato alla socialità. Pensiamo a uno sport come il tennis, il bambino durante la gara è solo ma nell’allenamento è con la squadra.
- Per i bambini molto vivaci sono migliori sport ad alta intensità, con ampia attività energetica, come il calcio o il basket. Così potranno scaricare questa pulsione molto forte al movimento.
- I bambini che hanno propensione al contatto possono darsi a sport in cui il contatto viene ben modulato, come le arti marziali. Sono attività in cui è sollecitato anche il rispetto dell’altro e del suo spazio.
Questa classificazione non vuole ovviamente dire che lo sport non permetta ai bambini di apprendere qualcosa di nuovo, però, essere messi in contatto con le proprie caratteristiche, facendo di queste un punto di forza, è facilitante e gratificante.
Vediamo, insieme alla dottoressa Sara Raffaele, come possono i genitori aiutare i bimbi nella scelta.
Come può il genitore aiutare il piccolo nella scelta?
Per il genitore oggi è difficilissimo sapersi orientare tra la moltitudine di sport che esistono, può però mettere in atto alcuni accorgimenti.
Innanzitutto, proprio perché ogni bambino ha una differente disposizione d’animo, il genitore deve comprenderla e ascoltarla. Nel caso in cui il bambino abbia già fatto una scelta, non resta che supportarla, in caso contrario, lo sport va reso interessante agli occhi del piccolo. In questo, però, sono molto agevolati dai compagni di scuola, e dai fratelli maggiori, i bambini si confrontano, e vogliono imitare le persone che stimano.
Il consiglio rimane sempre quello di spingere il bambino oltre i suoi limiti perché apprenda, senza portarlo a situazioni estremamente frustranti. Ascoltare il bambino, rispettarne la personalità, aiutarlo ad accettare le sue capacità, le sue caratteristiche, portandolo in contesti in cui le altre competenze sono sviluppate e sollecitate senza che provi frustrazione, è essenziale perché viva serenamente lo sport.
Infine il bambino può essere anche un campione nello sport scelto ma se vuole cambiare la cosa migliore è che il genitore lo supporti rimanendo aperto al dialogo.
Quali valori sono imprescindibili in qualsiasi contesto sportivo?
In ogni caso è bene scegliere contesti in cui vengano promossi valori come la cooperazione, l’inclusione, la solidarietà, perché sono aspetti importanti che aiutano il bambino a formare la personalità dell’uomo che sarà un domani. Ricordiamoci sempre che lo sport è una palestra di vita.
È essenziale anche che la competitività venga sollecitata, purché non diventi distruttiva. Se c’è un eccessivo orientamento al risultato, ossia se si pretende che il bambino vinca sempre, che sia migliore del suo avversario, o il migliore in campo, si rischia di creare meccanismi disfunzionali. Questo perché la competizione deve avere un orientamento al compito, deve puntare al miglioramento delle capacità, prediligere gioco e divertimento, altrimenti rischia di creare eccessiva pressione sul bambino.
Un bambino già molto competitivo, inserito in un contesto iper-competitivo può incorrere in eccessiva ansia per il risultato e può sviluppare aspetti narcisistici. Addirittura possono verificarsi casi di drop out, ossia in adolescenza, il ragazzino può decidere di smettere di fare sport perché il livello competitivo è diventato troppo.
Un altro rischio quando nel contesto, inteso come società, istruttore, genitore, vi è un eccessivo orientamento al risultato, è che venga meno la tolleranza alla frustrazione. Il bambino può iniziare a pensare che se non vince è meno capace e vale di meno.
Questo perché spesso accade che bambini molto talentuosi nello sport e che tendono a vincere con grande facilità da piccoli, da adolescenti entrano in sistemi competitivi più elevati, se non sono stati abituati a perdere o se, peggio, hanno imparato che l’errore ha valorialmente un significato negativo, quando perdono e non primeggiano hanno un brusco risveglio e ne possono molto risentire.
Il coinvolgimento del genitore nell’attività sportiva del bambino influisce sulle sue caratteristiche psicologiche?
Certo che influisce. Il genitore innanzitutto deve valorizzare l’impegno del piccolo e trasmettergli passione per il gioco, senza gettare su di lui le proprie aspettative. Uno dei contesti più pericolosi è quello in cui il genitore proietta sul bambino un proprio desiderio di vittoria e di successo. È normale che il genitore, come il bambino, sia competitivo, ma prendere consapevolezza di questo rischio, farà sì che moduli le proprie spinte competitive.
Succede anche molto spesso che alcuni genitori siano stati atleti in precedenza e spingano quindi i bambini a scegliere un certo tipo di sport. Ci sono casi estremi in cui il genitore vive il suo desiderio di vittoria attraverso il bambino, questo è sempre un grande rischio, perché il bambino percepisce delle aspettative che non gli appartiene.
Se addirittura dico cose diverse rispetto al suo allenatore, il piccolo non saprà più cosa fare a livello pratico, perché non ha ancora una struttura di personalità ben definita, e sentirà dentro di sé che ascoltando uno dei due, tradisce l’altro.
Quanto è importante la figura dello psicologo dello sport?E perché non tutte le società sportive ne hanno una di riferimento?
Innanzitutto c’è ancora un grosso tabù sulla professione e poca conoscenza a riguardo. Si sente dire che lo psicologo dello sport lavora solo nelle condizioni di disagio mentale ma non è vero, lavora anche in quelle situazioni, poiché ne ha le competenze, ma fa tanto altro. Alcuni pensano, invece, che lo psicologo dello sport sia un motivatore, che serva ad aumentare la performance e il successo dei piccoli atleti. La realtà è che siamo professionisti che cercano di accrescere la consapevolezza degli atleti affinché sappiano accettare i propri limiti con estrema tranquillità e padronanza di sé, sappiano portare all’interno del campo e della gara le proprie caratteristiche.
Gli atleti, parlando con noi, riescono a conoscersi e ad esprimere con maggiore libertà quello che sono, senza attribuire a una capacità di successo e risultato un aspetto valoriale del sé. Lo stesso vale per i bambini, per stare bene devono sapere che esistono a prescindere dal fatto che sono atleti, magari anche di successo.
Lo psicologo supporta oltre al piccolo, anche genitori e allenatori, perché è conoscitore del contesto e un facilitatore di personalità. Soprattutto per i giovani pazienti è importante chiedersi se i loro miglioramenti sono accompagnati da uno stato emotivo di felicità. Quello che porta il bambino a tornare in campo, alla fine, è che ha avuto un’esperienza positiva di se stesso, e dell’altro e dell’adulto. Lo psicologo dello sport in questo è un grande supporto, esattamente al pari dell’allenatore o del preparatore atletico.