«Tutti abbiamo qualcosa, sai? La mamma da piccola era un pochino strabica, mio fratello Dani è quasi cieco (ha una grave miopia, ndr) ed io ho le macchioline sul corpo». Risponde Elisa, 8 anni e mezzo, un sorriso contagioso e un vestito da principessa indosso, quando qualcuno le chiede di più sulla sua malattia genetica rara con cui convive da quando è nata. Si chiama neurofibromatosi, si manifesta sul corpo attraverso delle piccole «macchie color caffellatte» e causa tumori generalmente benigni. A 7 anni ad Elisa è stato diagnosticato anche un disturbo del neurosviluppo, caratterizzato da disorganizzazione, disattenzione e iperattività, anche se a volte la sua dolce mamma Rebecca, stanca dalla giornata di lavoro, se lo dimentica. «Mamma, perché ti arrabbi? Ti sei scordata che ho l’Adhd e non riesco a ricordarmi tutto?» la rimbrotta lei. La piccola tempesta, classe 2014, ha un fratello, Daniele, di 6 anni e mezzo, e un gatto, Ariel, che i piccoli coccolano dalla mattina alla sera. I quattro vivono in una piccola valle montana in provincia di Lecco e, da quando sono rimasti soli, hanno imparato a reagire con forza e positività alle difficoltà della vita, come mostrano sui social, dove Rebecca pubblica i progressi della figlia e sensibilizza gli utenti sulla neurofibromatosi e sull’Adhd.
La diagnosi di neurofibromatosi
«Ho iniziato a raccontare la nostra storia due anni fa – racconta a Wamily Rebecca Albarani – sui social ci chiamiamo “mammasingle-ely-pio”, perché quando era più piccola Eli, avendo un disturbo del linguaggio, non riusciva a pronunciare correttamente il nome di Dani, e lo chiamava Pio (ride, ndr). Non avevo voglia di stare sul divano ad aspettare i ricoveri semestrali di Eli per capire a che punto fosse arrivata la malattia… Ho preso il telefono e ho iniziato a sensibilizzare sul tema».
Era trascorso circa un mese dalla nascita di Elisa, quando mamma Rebecca scoprì che la figlia soffriva di neurofibromatosi di tipo 1, che colpisce circa una persona su 2500/3000. È una malattia genetica rara di cui al momento non esiste una cura, in grado di causare neurofibromi, cioè tumori benigni, a carico, per esempio, di encefalo, midollo spinale, nervi, e di provocare deficit cognitivi e disturbi cardiovascolari. «Avere un figlio con la neurofibromatosi, e un quadro clinico complicato come quello di Eli, significa vivere sulle montagne russe, – continua Rebecca – ho imparato ad apprezzare i piccoli traguardi e non focalizzarmi sul negativo. Quando ti ritrovi in situazioni al limite, devi aggrapparti a qualcosa e andare avanti, se non vuoi affondare».
Mamma Rebecca, che è rimasta sola quando era incinta di Daniele, ha spiegato fin da subito ai piccoli che cos’è la neurofibromatosi. «Eli ferma le persone per strada e spiega: “Sai, io ho le macchioline!”, la vede come una sua caratteristica, – ci racconta – ovviamente non le dico che è incurabile, non sposto l’attenzione sul negativo, ma le ho insegnato a viverla con consapevolezza. I nostri figli imitano i comportamenti di noi adulti, perciò se noi neghiamo la malattia o la affrontiamo con paura, loro vivranno a loro volta le nostre paure».
Non era “agitata”: mia figlia aveva l’Adhd
Dopo un anno di scuola primaria, si è aggiunta la diagnosi di Adhd, il Disturbo da deficit di attenzione e iperattività. Elisa era irrequieta, agitata, faticava a stare seduta per ore al banco di scuola, non riusciva a completare un discorso, rifiutava qualsiasi proposta, e non ascoltava più la sua mamma.
«Inizialmente attribuivo alla neurofibromatosi la sua mancanza di collaborazione, il suo interrompere i discorsi, il suo non riuscire a stare ferma, perché la malattia a volte comporta anche deficit cognitivi lievi o medi, tuttavia la sua irrequietezza andava peggiorando, – spiega Rebecca – e anche se Elisa era seguita da una clinica specializzata ed andava a scuola, nessuno capiva cosa fosse». La risposta è arrivata durante uno dei controlli per la neurofibromatosi, quando i medici hanno sottoposto ad Elisa un test, e le fu comunicato un sospetto di Adhd grave, presto confermato dalla diagnosi.
«Quando perdo la pazienza e mi arrabbio con lei perché, magari, le ho ripetuto una cosa già dieci volte, lei mi sgrida: “Mamma, perché ti arrabbi? Ti sei dimenticata che ho l’Adhd e non riesco a ricordarmi tutto?” – racconta Rebecca, sorridendo – e io torno subito in carreggiata».
Diversità ed emarginazione
Non prendiamoci in giro. La diversità crea emarginazione in una società che non ha imparato ad accogliere chi non rispetta determinati canoni. Sorridiamo al diverso, simpatizziamo per lui, magari ci commuoviamo di fronte alla sua storia drammatica, eppure fatichiamo ad integrarlo. «Elisa più cresce più resta isolata, non arrivo a contare sulle dita di una mano le famiglie che la includono per quello che è, senza aver paura delle sue difficoltà – racconta Rebecca – ci vorrebbe più sensibilizzazione in famiglia e a scuola, parlare di diversità e disabilità fa ancora paura».
È diventato virale su Tiktok il video in cui mamma Rebecca mostra l’emozione di Elisa per un banale invito a una festa di compleanno, che per lei banale non è. «Per lei è stato un evento speciale, arrivato dopo l’esclusione dalla scuola di danza e dopo alcune vicende che l’avevano segnata – prosegue Rebecca – anche se è determinata e sicura, lei soffre e percepisce tutto ciò. Sogno un mondo più inclusivo».
Essere un fratello “sibling”
Ha 6 anni e mezzo e una maturità che lascia a bocca aperta perfino le maestre. Daniele, anche se è l’ultimo arrivato in famiglia, si comporta già come un ometto. «È un bambino straordinario perché è maturo, altruista, generoso – risponde mamma Rebecca, con la voce fiera e velata dalla commozione – con sua sorella è protettivo e dolce, vede come mi comporto io con lei e mi imita per tirarle su il morale».
È un fratello sibling, cioè un fratello di una persona con disabilità. «Dopo la morte di suo nonno, venuto a mancare nel sonno, Elisa mi ha chiesto: “Mamma, e se quando andiamo in ospedale per il controllo io mi addormento e non mi sveglio più, come il nonno?”. Io non sapevo cosa risponderle, Dani mi ha vista in difficoltà e le ha detto: “Se ti addormenti e vai nel paradiso delle stelle, vengo nel letto anche io, così dormiamo insieme”. Sono rimasta spiazzata».
Alla ricerca di insegnanti di sostegno e servizi educativi
A livello di servizi e infrastrutture, il nostro Paese non è in grado di venire incontro alle esigenze di chi ha la disabilità in casa. «Servirebbe un sostegno costante in un nucleo familiare con disabilità grave, il supporto che abbiamo non è adeguato, – risponde Rebecca – anche quando riesco ad accaparrarmi un bonus, hanno un periodo limitato e non riescono a coprire le ore educative di un centro estivo». In estate, in assenza di un sostegno economico adeguato che consenta ad Elisa di frequentare un centro con un educatore formato, la scelta ricade sull’oratorio del paesino, che, per quanto sia d’aiuto, non fornisce, ovviamente, un servizio adeguato alle esigenze di giovani disabili. «Sono consapevole che non ne trarrà beneficio, perché, mentre per un bimbo normodotato è un fantastico spazio di aggregazione, per Elisa è un posto caotico, ma è la mia unica risorsa in estate. Sarebbe un sogno avere una figura educativa di sostegno per più di due ore a settimana».
La scuola non è un tasto meno dolente. Ad Elisa è stata riconosciuta una disabilità grave, una 104 3 comma 3, e, per legge, ha il diritto di essere costantemente seguita da un insegnante di sostegno in un rapporto uno a uno, un diritto che a volte mamma Rebecca è stata costretta a reclamare con i denti per vederlo rispettato. «Ci vorrebbero più personale, più collaborazione e più comunicazione – continua Rebecca – per rendere la scuola un posto realmente inclusivo, che non faccia sentire diverso nessuno, e consolidare il rapporto scuola-famiglia. A volte noi ci sentiamo soli».
Il disegno, una valvola di sfogo
Si alza, corre, si siede, si rialza, non riesce a concentrarsi, a concludere un’attività, vive un’ansia e un'inquietudine costante. Essere Elisa è faticoso. Tranne quando disegna. Il disegno ha un valore catartico per lei: è una valvola di sfogo. «Il disegno non è solo la sua passione principale – spiega Rebecca – ma anche il suo modo di comunicare e di scaricare la tensione».
A volte disegna i suoi sentimenti su un foglio di carta, e poi lo infila sotto la porta per comunicare con la mamma, che si trova nell’altra stanza. «Per quanto Eli sia iperattiva e regga ritmi più alti, quando trascorre una giornata fuori con tanti stimoli, disegnare le permette di staccare la spina, oppure di comunicare qualcosa senza dirmelo a voce. È un utile strumento anche per noi, per capire come sta».
Una vita, quella di Rebecca, che oggi è dedicata ai figli, per i quali sogna una società più inclusiva e aperta alle diversità. «Finché potrò mi batterò per questo – conclude – affinché tutti possano essere felici e sereni, affinché ci possa essere una comunità inclusiva e nessuno si senta escluso, perché essere tagliati fuori fa male».