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5 Marzo 2023
14:30

Secondo The Lancet il vero problema del latte artificiale è il business del marketing

A sei anni di distanza dall’ultima indagine sull’allattamento, la rivista scientifica inglese torna a schierarsi contro il mercato del latte in formula che, attraverso campagne pubblicitarie a nove zeri, specula sull’allattamento al seno, violando il Codice internazionale.

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Secondo The Lancet il vero problema del latte artificiale è il business del marketing
the lancet

Per Organizzazione Mondiale della Sanità e Istituto Superiore di Sanità il latte materno ha benefici sulla salute di mamma e figlio ineguagliabili, eppure meno della metà dei neonati nel mondo viene allattato alla nascita. Di chi è la colpa? Secondo l’autorevole rivista scientifica The Lancet la responsabilità è delle multinazionali e delle loro strategie di marketing, che sponsorizzano il latte in formula attraverso campagne pubblicitarie dal guadagno multimiliardario (55 mld nel 2019).

Un business che dipinge l’allattamento al seno come una pratica «generica, antiquata e antifemminista» e che nell’ultimo decennio si è impennato del 164%. Una sponsorizzazione portata avanti, secondo The Lancet, sulla pelle di neonati innocenti e mamme spaventate, che ogni anno mieterebbe vittime silenziose, circa 820mila bambini e 20mila madri, che con il latte materno si sarebbero potuti salvare.

L'indagine di The Lancet

A febbraio 2023 è stata pubblicata sulla rivista The Lancet una triade di articoli della serie “Breastfeeding”, cioè “Allattamento”, il seguito di quella pubblicata dalla rivista inglese nel 2016. I tre documenti, indirizzati a genitori, personale sanitario e vertici politici e ripresi dall'Istituto Superiore di Sanità, sono:

  • Allattamento al seno: di fondamentale importanza, ma sempre più minato in un mondo guidato dal mercato
  • Marketing di latte artificiale in commercio: un sistema per catturare genitori, comunità, scienza e politica
  • L'economia politica dell'alimentazione dei neonati e dei bambini: affrontare il potere delle imprese, superare le barriere strutturali e accelerare il progresso

Titoli forti, che intendono lanciare un messaggio chiaro al mondo alla comunità scientifica (e non): l'industria che produce i sostituti del latte materno o “latte in formula” (commercial milk formula, CMF) speculano sull’alimentazione dei neonati, in nome di un fatturato annuo che ammonterebbe a circa 55 miliardi di dollari.

Un neonato su due non viene allattato entro la prima ora di vita

Per The Lancet le aziende in questione creano disinformazione sull’allattamento al seno, insinuando che il pianto, l’agitazione e l’insonnia notturna dei cuccioli d'uomo siano abitudini patologiche da ricondurre al consumo di latte materno, destinate a scomparire se ai piccoli fosse somministrato il latte artificiale. Influenze commerciali che, tra l’altro, violerebbero il Codice internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno.

Nonostante la comunità scientifica sia concorde nel ritenere quella dell’allattamento al seno la modalità di alimentazione migliore in assoluto per la diade mamma-bebè, circa un neonato su due non viene allattato al seno entro la prima ora di vita.

Perché si allatta poco?

L’indagine punta il dito, oltre che contro le multinazionali, contro le associazioni di categoria che eserciterebbero sui governi pressioni per scoraggiare il rafforzamento delle leggi sulla tutela dell’allattamento al seno. Politiche e sistemi economici, secondo la ricerca, ignorano il lavoro di cura delle donne (incluso l’allattamento del figlio) e non tutelano (o tutelano poco) i diritti della maternità, specialmente per le donne appartenenti al ceto più povero.

A scoraggiare l’allattamento al seno sarebbe addirittura una frangia ristretta di sanitari, quelli che non promuovono a sufficienza la pratica delle poppate, per, essenzialmente tre motivi:

  • i sistemi di potere di genere e biomedici negano un'assistenza incentrata sulle donne e culturalmente appropriata
  • i fattori economici e ideologici accettano e perfino incoraggiano l'influenza commerciale e i conflitti di interesse
  • le politiche fiscali ed economiche lasciano i governi con fondi insufficienti per proteggere, promuovere e sostenere adeguatamente l'allattamento al seno
L'allattamento al seno non è una responsabilità solo al femminile

In più, ricorda The Lancet, l’allattamento al seno non è una responsabilità esclusiva delle donne: è un dovere della comunità incentivarlo attraverso approcci sociali collettivi. Le mamme, insomma, dovrebbero essere sostenute e supportate nella fase delicata dell’allattamento, in ospedale così come in famiglia.

allattamento

Perché l’allattamento al seno è importante?

L’allattamento è una pratica essenziale sia dal punto di vista nutrizionale, che relazionale, specie nei primi 6 mesi di vita del bebè. Il colostro, prodotto secreto dalle ghiandole mammarie durante la gravidanza ed i primi giorni dopo il parto, è ricco di componenti preziose (cellule immunitarie, acqua, proteine, leucociti, immunoglobuline, grassi, carboidrati) e il latte materno gode, oltre che di un’impareggiabile funzione nutritiva, pure di un effetto immunitario e lassativo.

Il latte materno, oltre svolgere una funzione nutritiva e immunitaria, sviluppa il bonding

In più, l’allattamento contribuisce a sviluppare il bonding, cioè il processo di formazione di un legame fra la mamma che allatta e il figlio, una relazione profonda, fisica e psicologica insieme.

Ovviamente, quella delle poppate non è una strada perseguibile da tutte le mamme. Esistono specifiche condizioni che ne controindicano l’apporto e motivano all’uso di sostituti del latte materno, come malattie rare quali "malattia delle urine a sciroppo d’acero”, galattosemia, fenilchetonuria (che tuttavia permette un allattamento al seno parziale, purché sotto supervisione) ed eventuali infezioni o patologie della mamma (come l’HIV).

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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