Durante un procedimento di mediazione familiare possono venire definite anche questioni legate alla gestione dei figli di minori, con l’obiettivo di raggiungere sempre un rapporto equilibrato di cogenitorialità.
Cosa accade, però, se un figlio minore rifiuta di mantenere i rapporti con uno dei due genitori?
Quando la coppia si separa finisce la relazione amorosa tra i due partner, ma non per questo termina la sussistenza e il proseguimento del rapporto familiare.
Qualora, infatti, siano presenti figli minori in comune è necessario che le parti instaurino un rapporto nuovo, che possa mantenere in vita la loro relazione come cogenitori.
In presenza di figli minori è fortemente consigliato procedere a una separazione il più possibile consensuale, che avvenga quindi al di fuori di un procedimento giudiziario e si svolga in un clima collaborativo e costruttivo, per disincentivare la conflittualità e aumentare le possibilità di trovare un punto di incontro tra le parti. Una separazione collaborativa, che avvenga ad esempio nei confini extragiudiziali della mediazione familiare, abbatte i momenti di scontro in favore della costruzione di un accordo condiviso.
Perché se la relazione di coppia termina a seguito della separazione, quello che non finisce è il rapporto di entrambi con i propri figli e quello vicendevole nella gestione genitoriale.
Cogenitorialità e mediazione familiare
Uno degli obiettivi più ambiziosi di un procedimento di mediazione familiare è proprio il raggiungimento di un equilibrato rapporto di cogenitorialità: in cui ex partner partecipino in maniera attiva alla crescita dei figli in comune, distribuendo in maniera equa il carico e promuovendo un rapporto sano dei minori con entrambi.
Il ruolo di cogenitore non si sposa con il raggiungimento aggressivo e imposto dei tanto agognati “diritti”, quanto in un più ampio rispetto dei “doveri” verso i figli in comune, ai quali assolvere con serietà e dedizione nel tentativo di garantire il corretto sviluppo psicofisico dei minori coinvolti. Bambini che hanno diritto a un’infanzia serena, per quanto incidentalmente toccata dalla separazione dei genitori, lontana dalla linea di tiro di uno scontro troppo cruento e manipolatorio.
La cogenitorialità è quindi un obiettivo centrale della mediazione familiare, ma non sempre si tratta di un risultato possibile. Può capitare, infatti, che ad opporsi alla costruzione (o mantenimento) di un regolare e continuativo rapporto con il genitore non sia tanto l’ex partner quanto, direttamente, uno dei figli.
Cosa succede in questo caso?
Rifiuto da parte del figlio di vedere il genitore
Durante un procedimento di mediazione familiare, volto alla definizione di un accordo condiviso di separazione, si decidono anche questioni legate alla gestione dei figli di minori. L’obiettivo resta, sempre, quello di un rapporto equo e armonico di cogenitorialità.
È possibile, però, che nel corso degli incontri venga in rilievo una problematica spinosa: un figlio rifiuta di mantenere un rapporto costante e continuativo con uno dei genitori arrivando, addirittura, a negare qualsiasi tipo di contatto con lui/lei.
Normalmente questa tematica rileva, in sede di mediazione, perché riportata durante i colloqui da una delle due parti. In questo caso il mediatore deve capire come procedere affinché venga tutelata, in primis, la posizione del minore coinvolto.
Da una parte è possibile che tale rifiuto non sia reale, ma esacerbato dal soggetto che desidera escludere l’ex partner dal suo ruolo genitoriale: “non ti vuole vedere, non vuole stare da te, con te sta male, meglio che rimanga con me, a casa tua non vuole dormire, non è a suo agio, al massimo puoi vederlo qui da me o portarlo fuori qualche ora”.
Allo stesso modo, invece, si potrebbe trattare di un rifiuto strumentalmente costruito dal genitore che non desidera assumere un ruolo attivo nella crescita del figlio e ingigantisce, a proprio favore, un disagio del minore a restare solo con lui in maniera tale da sottrarsi alle sue responsabilità in tema di affidamento: “il bambino con me non vuole stare, piange sempre, ti cerca, vuole stare con te, meglio che lo tenga tu, non me la sento di portarlo via così”.
Qualora, invece, il rifiuto a mantenere un rapporto con uno dei due genitori sia realmente frutto di un’esperienza diretta e volontaria del minore, questo esprime senza dubbio una condizione di sofferenza e disagio che necessita di essere indagata e, se necessario, opportunamente segnalata agli organi competenti.
Quando una delle parti coinvolte nella mediazione, quindi, riferisce durante i colloqui di un presunto rifiuto del minore a mantenere un rapporto con uno dei due genitori, ne vanno indagate le ragioni e i confini, per poter procedere nel modo più idoneo e in tutela dei diritti del minore.
Come procedere in caso di rifiuto del minore a un rapporto con il genitore
Per poter determinare se il rifiuto a un rapporto col genitore sia frutto di un disagio reale del figlio o una versione strumentale dell’adulto, è necessario coinvolgere il minore (se di un’età ritenuta idonea) nel procedimento di mediazione.
È infatti opinione largamente diffusa anche a livello europeo che sia sempre più utile coinvolgere attivamente il minore in prima persona in tutte le procedure che possano avere ripercussioni sulla sua vita, in maniera tale da permettergli di esprimersi direttamente e partecipare a tutte le decisioni che riguardino la sua persona.
Convocare il minore a colloquio significa non solo permettergli di esprimere la propria opinione in merito al procedimento di separazione della sua famiglia, ma altresì garantisce la sua testimonianza diretta al mediatore circa il presunto rifiuto a mantenere o meno un rapporto con un determinato genitore.
Sarà più facile per il professionista identificare, in questo modo, se il suddetto rifiuto sia un’espressione della sua volontà o, piuttosto, una versione edulcorata dell’adulto che riporta tale diniego per comprimere il ruolo genitoriale proprio o dell’altro.
Rifiuto reale o strumentale
Nel caso in cui il mediatore accerti che non esiste alcuna forma di rifiuto da parte del minore a proseguire e instaurare un rapporto col genitore, sarà tenuto a trattare la questione all’interno del procedimento di mediazione.
Dovrà sottolineare con i due ex partner l’importanza di procedere verso un rapporto di reale collaborazione, al fine di garantire l’ambiente più idoneo al minore per il suo corretto sviluppo psicofosico.
Potrà sottolineare il fatto che tale rifiuto risulti, in realtà, una manovra strumentale di uno dei due per l’ottenimento di determinati benefici (escludere l’ex partner dal ruolo genitoriale o deresponsabilizzarsi dai propri obblighi nei confronti del minore) e spingere i due soggetti a trovare nuove chiavi di comunicazione, più utili ed efficaci al raggiungimento di un accordo condiviso.
Qualora, invece, il mediatore apprenda che si tratti realmente di un rifiuto voluto dal minore, non sarà suo compito o responsabilità indagarne i motivi sottesi, né cercare di risolvere la situazione o forzare la mano, nel tentativo di riconciliarlo con il genitore rifiutato.
Le cause, infatti, che potrebbero spingere il bambino a rifiutare un rapporto genitoriale possono essere molteplici.vTra le più comuni e riscontrate ce ne sono due che andranno non solo indagate ma, soprattutto, gestite dagli organi di riferimento:
- In primo luogo potrebbero essere stati posti in essere abusi o maltrattamenti da parte del genitore rifiutato, che spiegherebbero l’allontanamento netto del bambino
- In secondo luogo il minore potrebbe essere vittima della cosiddetta sindrome da alienazione parentale, per cui essere stato spinto dal genitore alienante a un patto di lealtà che lo porta a escludere il genitore rifiutato dalla sua vita.
Il mediatore potrebbe intuire, in ragione del procedimento e delle sue competenze, in quale dinamica possa inserirsi lo specifico rifiuto, ma non riveste il ruolo più adatto per intervenire, tutelare e supportare il minore che si trovi coinvolto in un rapporto genitoriale abusante, maltrattante o alienante.
In casi simili il professionista dovrà interrompere la mediazione per un’impossibilità insuperabile a proseguire e spingere affinché la questione venga rimessa presso un tribunale ordinario.
È lo stesso legislatore a prevedere, ai sensi dell’art 473 bis c.p.c. che, nel caso in cui il minore rifiuti di incontrare uno o entrambi i genitori “il giudice proceda all’ascolto senza ritardo, assumendo sommarie informazioni sulle cause del rifiuto, e potendo disporre l’abbreviazione dei termini processuali”.
Nel caso in cui il mediatore, nel corso del tentativo di mediazione, maturi l’idea che il minore possa trovarsi all’interno di una dinamica familiare potenzialmente maltrattante o abusante, origine del rifiuto genitoriale, sarà sua premura riferire la questione agli organi competenti: le forze dell’ordine o la procura del tribunale per i minorenni.
In questo caso sarà personale qualificato e incaricato a indagare la situazione e, nel caso, intervenire in tutela del minore coinvolto.