Cade il divario minimo di 18 anni tra adottante e adottato (maggiorenne). Il 18 gennaio la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 291, primo comma, del Codice Civile che stabilisce, tra i requisiti minimi per l’adozione, il limite anagrafico di diciotto anni di differenza tra genitore e figlio adottivo.
La vicenda ha avuto inizio circa un anno fa, quando il Tribunale di Firenze nel gestire il caso di una coppia di genitori adottivi di Firenze aveva rinviato alla Consulta gli atti del procedimento civile in corso chiedendo di chiarire delle questioni ritenute essenziali. Una donna oggi 78enne, classe 1946, aveva chiesto ai giudici di adottare il figlio di suo marito, nato nel 1968 da un precedente matrimonio. L’adottato, oggi 61 enne, era rimasto orfano di madre quando aveva 5 anni ed era stato cresciuto dalla seconda moglie del padre, che ne ha richiesto l’adozione. La 78enne l’ha «accudito e cresciuto come un figlio – come si legge nella sentenza – senza differenza alcuna rispetto alla figlia biologica», tuttavia, quando aveva richiesto l’adozione, si era scontrata con il requisito del limite di età: la donna ha 17 anni e 3 mesi in più del figlio del marito, dunque meno dei 18 anni previsti dalla legge. Un ostacolo che è stato aggirato con la sentenza della Corte costituzionale, che ha accolto i dubbi del Tribunale di Firenze in merito alla richiesta di adozione dell’uomo da parte della donna, più vecchia di lui di 17 anni.
Si tratta del primo caso in Italia. La sentenza n. 5 del 2024 rappresenta quindi un risultato storico che apre nuovi spiragli per il futuro delle adozioni di maggiorenni. Non significa, tuttavia, che d’ora in avanti la strada per adottare un figlio adulto, con meno di 18 anni di differenza dal genitore adottivo, sia spianata. È necessario che il divario d’età sia ragionevole – la Corte ha parlato di un «esiguo scostamento» – e che esistano delle ragioni valide – «motivi meritevoli» – per procedere. Motivi che, nel caso della famiglia fiorentina, sono stati giudicati validi.
La sentenza è stata maturata sulla base dell’articolo 2 della Costituzione, che recita: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Proprio quella «personalità» del figlio adottivo si è modellata e forgiata nel corso degli anni nel rapporto, evidentemente sereno, con il padre biologico e la donna (oggi madre adottiva). Rifiutarsi di riconoscere il legame tra il figlio e la moglie del padre avrebbe rischiato di tradursi nella negazione della sua identità personale.
«La Corte – si legge nel comunicato dell'Ufficio stampa della Consulta – ha rilevato come l’adozione di persone maggiori di età abbia perduto l’esclusiva funzione tradizionale di trasmissione del cognome e del patrimonio e, divenuto strumento duttile e sensibile alle sollecitazioni della società, sia volta a suggellare legami “affettivo-solidaristici” che, consolidatisi di fatto nel tempo e preesistenti al riconoscimento giuridico, sono rappresentativi dell’identità dell’individuo e di istanze di solidarietà».
Le dichiarazioni della Consulta, che riconosce che la società oggi è mutata ed occorre più flessibilità nella decisione, aprono alla riflessione e al cambiamento e accendono speranze sul futuro delle adozioni e sulla possibilità di rivedere e modificare diversi ostacoli burocratici.