Subire un aborto terapeutico o un aborto spontaneo è un grosso trauma per l’intera famiglia che stava per comporsi. Inoltre, soprattutto se l’aborto si verifica in là con la gravidanza, oltre al tremendo dramma psicologico, la donna riporterà sul suo corpo i segni della gravidanza non andata a buon fine. La legge tutela le lavoratrici che si trovano a vivere questa condizione, concedendo loro il congedo di maternità? Sì, se l’aborto si verifica dopo il 180° giorno di gravidanza.
Il congedo di maternità in caso di aborto
Il congedo di maternità è il periodo di 5 mesi di astensione obbligata dal lavoro di cui le mamme lavoratrici hanno il diritto di usufruire per tutelare il loro corpo e quello del bambino durante la gravidanza e in vista della sua nascita. A dichiarare ciò è il testo della Legge 151 del 2001 che specifica che la donna può decidere, in base al proprio stato di salute e al tipo di lavoro svolto, come distribuire i mesi prima e dopo la nascita del piccolo. La stessa legge all’articolo 19 parla anche dell’interruzione volontaria della gravidanza, alla quale la donna ha diritto, entro i limiti di tempo stabiliti dalla legge, di sottoporsi e che a livello lavorativo deve essere tratta come la malattia.
Il diritto a godere dei giorni di astensione dal lavoro pagati, viene tutelato dall’articolo 12 commi 1 e 2 del Dpr n. 1026/1976, anche nel caso in cui però la gravidanza, ormai avviata da 6 mesi, non dovesse andare a buon fine. Purtroppo può accadere, infatti, che la donna si trovi ad affrontare un aborto spontaneo, rischio cui la gravidanza è sottoposta entro le prime 12 settimane. Oppure lo staff medico potrebbe dover optare per un aborto terapeutico, ossia l’interruzione della gravidanza volta a tutelare la sua salute o quella del bambino dopo i primi 90 giorni di gestazione.
I requisiti per richiedere il congedo di maternità in caso di aborto
L’articolo 12 del Dpr n 1026/1976 ai commi 1 e 2 specifica come dopo il 180° giorno la gravidanza non andata a buon fine sia da considerarsi comunque parto e non più aborto, e dunque la donna debba essere tutelata come in caso di gravidanza andata a buon fine.
Si leggono dal sito dell’INPS la procedura da seguire e i requisiti:
- La lavoratrice, in caso di aborto spontaneo o terapeutico(avvenuto dunque dopo il 180° giorno di gestazione) deve produrre entro 15 giorni dall’evento un certificato medico che specifichi il mese di gravidanza durante il quale la donna si trovava e la data che sarebbe stata quella del presunto parto.
- Se l’interruzione di gravidanza è avvenuta prima del 180° giorno viene considerata aborto, dunque la donna lavoratrice dipendente non ha il diritto a fruire di periodi di astensione obbligatoria dopo il parto.
- Se le condizioni di salute della donna, avvenuta l'interruzione di gravidanza prima del 180° giorno, non le consentono di riprendere a lavorare, l'assenza viene considerata malattia prodotta dallo stato di gravidanza.
- Se l'interruzione di gravidanza è invece successiva al 180° giorno, deve essere considerata parto e la donna dunque per i 3 mesi successivi può fruire del congedo di maternità.
E se la donna vuole ricominciare a lavorare?
Non a tutte le donne, che hanno subito un evento tragico come l'aborto spontaneo o terapeutico, serve però rinchiudersi tra le mura domestiche nel proprio dolore, la cura a volte, se ne esiste una, può essere proprio tornare alla routine di sempre.
Anche questo diritto viene tutelato dalla legge, precisamente dal Decreto Legge n.119, approvato nel 2011. La donna ha la possibilità di tornare a lavorare in qualsiasi momento, deve però avvisare il datore di lavoro almeno 10 giorni prima del rientro. Inoltre la lavoratrice necessita di un certificato medico che attesta che questa decisione non le nuocerà né psicologicamente, né fisicamente.