Quante declinazioni conosciamo del termine "Pazienza"? La usiamo in frasi come "Bisogna avere pazienza per certe cose" intesa come tolleranza, sopportazione o comunque attesa; "Sono una persona paziente" intesa qui come una disposizione d'animo, disposizione caratteriale; "Se perdo la pazienza, sono guai!" qui usata come sforzo che tende all'inibirsi, al trattenersi, al limitarsi; altre volte è proverbiale "La pazienza è la virtù dei forti"; e in altri contesti rimanda invece alla relazione con un dottore "Sono il paziente del dottor …".
I molti rimandi e le diverse rappresentazioni che abbiamo del termine forse non aiutano e capita di incontrare famiglie che tendono a travisarne il concetto, a volte fino all'esasperazione, per poi arrivare a reazioni spropositate sentendosi legittimati da – appunto – l'aver pazientato "anche troppo!".
Portare pazienza o attendere?
Portare pazienza e attendere sono due azioni profondamente differenti. Le situazioni che più spesso vengono raccontate convergono in una narrazione così sintetizzabile: "Quando fa i capricci non reagisco. Io lo ignoro perché penso e forse spero che prima o poi smetta. Quando non succede, mi rendo conto che mi innervosisco io e, piuttosto che arrabbiarmi, non dico niente. Solo che a un certo punto scoppio e poi giustamente urlo, perché non va bene che faccia così".
Nessun genitore deve sentirsi giudicato per quel che fa e nemmeno deve sentirsi sbagliato nell'esercizio del ruolo genitoriale, ma riflettere su questo tema merita sicuramente uno spazio.
I bimbi fanno i capricci per esprimersi
Perché sta facendo i capricci? Più che riflettere sulla causa – che non sempre è controllabile, quindi inutile per ora chiederselo – concentriamoci sul fatto che in quel momento c'è un bambino che si esprime e se lo fa in quel modo è perché non ha altri modi immediatamente disponibili per farlo.
Ecco che il nostro atteggiamento cambia al solo pensiero: passiamo dal tollerare all'ascoltare, dal resistere al sentire. Resistere significa rimanere sulle proprie posizioni con tanta forza quanta ne ha il bambino; tollerare, invece, significa sospendere la reazione senza entrare nel merito. In entrambi i casi disperdiamo energie che con il passare del tempo vengono sempre meno, senza però averle investite nella soluzione di quell'impasse.
Gli effetti indesiderati del portare pazienza
Nel momento in cui sospendiamo l'azione educativa e tolleriamo, sopportiamo, portiamo pazienza, in quel momento non stiamo dando risposta a una richiesta. Il bambino che fa i capricci, come abbiamo detto, sta comunicando e, per quanto sia una comunicazione socialmente non accettabile, nonché disfunzionale, bisogna posizionarsi sul sentire.
Altrimenti? Altrimenti succede che il bambino rimane nell'horror vacui, provando una sensazione spiacevole e – al momento – difficile da gestire, senza alcuna risposta. Al senso di disagio si aggiunge un senso di smarrimento, in cui al comportamento non viene corrisposta una guida sicura, per quanto silenziosa, e presente. Una guida che da risposte con il solo esserci, senza insalate di parole o grandi spiegazioni su cosa si fa e cosa non si fa.
Con il tempo, mentre ci impegniamo a "portare pazienza", allontanandoci quindi dal sentire altrui, il bambino prosegue senza una guida sicura nei suoi momenti insicuri. "Se non porto pazienza, reagisco e faccio peggio". Allora che fare? Non portare pazienza, ma attendere trasmettendo al piccolo che quella sensazione spiacevole che sta provando forse non riusciremo a toglierla, ma diamogli fiducia nel fatto che sarà in grado di tollerarla.