«Siete talmente assuefatti dall'ipocrisia che la verità non la volete nemmeno sentire: siamo un branco di falliti».
Inizia così, diretto come un pugno nello stomaco, il lungo sfogo che la professoressa palermitana Giovanna Corrao ha affidato alla propria pagina Facebook per commentare l'ormai famigerato caso di stupro perpetrato lo scorso luglio da un gruppo di giovani nel capoluogo siciliano.
Un video intenso che è subito diventato virale facendo rimbombare su migliaia di profili la voce arrabbiata, spesso strozzata dall'emozione, di un'insegnante che ha deciso di gridare all'intera società civile il proprio dolore per una crisi sociale che appare sempre più profonda e della quale noi tutti, che ci piaccia o no, siamo i diretti responsabili.
«I nostri figli violentano e stuprano le ragazzine, quindi qualche cosa è andato male negli ultimi 30/40 anni nel nostro progetto genitoriale ed è inutile che ti offendi: riguarda anche tuo figlio, perché tuo figlio non lo conosci»
Non lasciamo soli i nostri figli
«Se succedono questi episodi significa che non funzioni come padre, come madre, come struttura sociale, come professore, come maestro, nemmeno come nonno» continua la docente, amareggiata e frustrata dall'incuria dilagante che ormai sembra inquinare tanto le nostre città quanto i nostri rapporti interpersonali.
«Vi fate sempre e solo i selfie, non capite niente, vi fate i fatti vostri e lasciate i vostri figli soli davanti ai cellulari».
Un passaggio cruciale quello sul rapporto con la tecnologia, passaggio che la professoressa affronta senza mezzi termini:
«I vostri figli li dovete controllare, il bambino e l'adolescente non devono avere privacy perché siamo noi i responsabili dei nostri figli. A casa quando siamo genitori e a scuola quando siamo collaboratori e insegnanti».
Il controllo, quello sano, non è quindi un concetto fuori moda da sacrificare sull'altare dell'autonomia giovanile, ma uno strumento irrinunciabile per sapere come stanno crescendo i nostri figli, chi frequentano, a quali siti si iscrivono, cosa pensano e come si relazionano con il mondo.
Senza questa fondamentale "opera d'intelligence" è impossibile sapere davvero chi siano i ragazzi che abbiamo in casa.
Fare i genitori, farlo bene
L'appello più accorato è dunque rivolto proprio a noi mamme e papà.
«Non ve l'ha prescritto il medico di fare i figli. Non basta mettere al mondo un figlio per essere genitore: lo dovete diventare – scandisce l'insegnante – E se non sapete farlo, iscrivetevi a qualche corso. Non c'è niente di male, anzi, ne acquisite in onore, ne acquisite in dignità».
Chi fa un figlio dunque lo deve seguire, anche perché quando poi accadono tragedie come quella di Palermo, le ferite non si rimarginano né per le vittime, né per i carnefici e le loro famiglie.
«La comunità educante non è una parola astratta, ma un fatto concreto. Immischiatevi, non lasciate correre, siate parte attiva. Guardate i vostri figli in faccia, se sono tristi, se sono arrabbiati, se sono nervosi, se portano un brutto a a casa. Parlate tra di voi, parlate con gli insegnante, parlate con gli amici di famiglia e sopratutto, quando un figlio o una figlia esce domandate: ma con chi te ne stai andando?»
E infine un invito, l'ultimo, quasi disperato:
«Il 13 settembre ricomincia la scuola: venite a parlare con noi. Credeteci, abbiate fede. E ricordatevi che il futuro è nelle nostre mani. Chi fa un figlio se ne deve occupare in tutto. I figli ci guardano!»