La possibilità di attribuire al figlio anche solo il cognome materno è una conquista recente, di cui si sono avvalsi l’ex campionessa di atletica Silvia Salis e il regista Fausto Brizzi, che hanno scelto per il figlio Eugenio il cognome di lei. Era il primo giugno 2022 quando fu pubblicata la sentenza della Corte Costituzionale che dichiarava illegittime le norme che per ottant’anni avevano imposto automaticamente il cognome del papà ai neonati. Da quel giorno i genitori hanno tre alternative: assegnare al figlio il cognome di entrambi, solo quello del padre o solo quello della madre. Ad oggi, tuttavia, sono poche le coppie che si sono avvalse della novità normativa: a Milano, come riporta il Comune, appena il 16% dei neonati ha assunto il doppio cognome, l’11% ha preso il cognome materno, mentre la percentuale più sostanziosa, pari al 73%, continua ad avere esclusivamente quello paterno, seguendo la prassi tradizionale.
Silvia Salis e la scelta del suo cognome per il figlio
Ai pochi genitori che hanno rotto con la consuetudine decennale, si sono aggiunti Silvia Salis, dirigente sportiva e vicepresidente vicario del Coni, e il marito Fausto Brizzi, regista e sceneggiatore, che hanno deciso di attribuire al figlio, Eugenio, nato qualche giorno fa, il solo cognome materno, dietro esplicita richiesta dei coniugi.
L’ex campionessa di lancio del martello ha voluto motivare la scelta di utilizzare il suo cognome per il figlio in un lungo post condiviso su Instagram:
«In una società che, in un passato remoto, etichettava come “bastardo” un bambino non riconosciuto dal padre e che, in un passato più recente, guardava con vergogna l’avere il cognome materno, perché risultato di un rifiuto o di un abbandono, questa notizia avrebbe meritato le prime pagine. Al contrario, crediamo che crescere un figlio da sola fosse da eroina soprattutto in un paese che non ti aiutava certo. E riteniamo inoltre che sia sempre stata una profonda ingiustizia il senso di rifiuto che hanno subito milioni di figlie femmine nella storia per non essere in grado di portare avanti il “cognome di famiglia” e il senso di impotenza di tante madri per non essere riuscite a concepire un erede maschio. Per questo è importante dare un segnale, e con un neonato maschio».
Come funziona in Italia
«Discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio», nonché in contrasto con gli articoli 2, 3 e 117 della Costituzione italiana. Sono le parole che il 27 aprile 2022 ha utilizzato la Corte Costituzionale per dichiarare l’illegittimità della pratica automatica di attribuire il cognome paterno ai neonati. La sentenza ha messo un punto a una logorante battaglia del cognome che in Italia è durata decenni.
L’automatismo, valido da secoli, in realtà non era previsto da una legge specifica. Non esisteva, dunque, nell'ordinamento italiano una specifica disposizione diretta ad attribuire ai figli legittimi il cognome paterno, nonostante sia stata consuetudine per anni. La “regola del patronimico”, quindi, veniva desunta da una serie di disposizioni del Codice Civile.
Di quali disposizioni si tratta? L’articolo 231 del Codice Civile stabilisce che «il marito è padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio» e, quindi, per effetto della presunzione di paternità, chi nasce da una donna coniugata si presume figlio del marito e il cognome del neonato sarà quello del marito della partoriente. Se la coppia non è sposata, «il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto», quindi della madre, tuttavia se il viene riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori il neonato «assume il cognome del padre», secondo l’articolo 262. Pure nel caso di adozione compiuta da coniugi, «l’adottato assume il cognome del marito» (art. 299).
Disposizioni che, insieme, avevano sistematizzato la pratica di attribuire al figlio il solo cognome del padre in mancanza di un accordo. Non era consentito, invece, assegnare al neonato il cognome della madre anche se i genitori si trovavano di comune accordo.
La regola del patronimico ha iniziato a scricchiolare già nel secondo Novecento, quando i genitori iniziarono a portare il problema nei Tribunali. La prima a battersi per veder attribuito alle figlie anche il suo cognome, in aggiunta a quello del marito, è stata Iole Natoli, pittrice e scrittrice, che nel 1980 intentò una causa civile al Ministro dell’Interno per dimostrare che quella prassi violava la Costituzione. «Il cognome patrilineare è il burqa culturale delle donne» aveva commentato Natoli.
Nel 2014 la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva condannato l’Italia per aver negato a due genitori di iscrivere il figlio all’anagrafe con il cognome della madre, anziché del padre. All’epoca, l’organo giurisdizionale internazionale aveva esortato il nostro Paese a introdurre riforme legislative più all’avanguardia e allinearsi ai diversi Paesi europei che da tempo avevano rinnovato l’ordinamento introducendo il cognome della madre.
Il primo concreto cambio di rotta è arrivato due anni dopo, nel 2016, quando la Corte Costituzionale (che già dagli anni Ottanta aveva sollevato dubbi sulla prassi dell’automatismo del cognome paterno) con la sentenza 286 del 21 dicembre aveva dichiarato illegittima la regola dell’attribuzione automatica ed esclusiva del cognome paterno, aprendo al doppio cognome.
Solo nel giugno 2022, tuttavia, è arrivato il via libera per assegnare anche solo il cognome materno al neonato ed è stata sistematizzato il doppio cognome, che è diventato prassi automatica (e non più scelta praticabile solo dietro richiesta dei genitori) in nome della parità di genere.