Dopo 40 anni, la Corte costituzionale ha abbattuto il muro che separava la famiglia adottiva da quella biologica. È una sentenza storica sull’adozione quella emessa oggi dalla Consulta, che ha ufficializzato la possibilità di mantenere dei legami socio-affettivi con la famiglia d’origine, purché ciò sia ritenuto dal giudice nell’interesse superiore del minore in questione.
Che cosa significa? Facciamo un passo indietro. A regolamentare l’adozione è la legge 184 del 1983, che all’articolo 27, terzo comma, recita:
Con l'adozione cessano i rapporti dell'adottato verso la famiglia d'origine, salvi i divieti matrimoniali.
Significa che per la legge italiana l’adozione piena presuppone una rottura con la famiglia di origine. Il minore, quando viene adottato, acquista lo stato di figlio legittimo della coppia che l’ha adottato e ne assume il cognome, recidendo radicalmente i suoi legami non solo con la mamma e il papà biologici, ma anche con fratelli, zii, nonni "naturali". Ma di quali legami si tratta?
Fino ad oggi, per «rapporti» si intendevano tutti i tipi di legame. Con la sentenza 183/2023 depositata oggi la Consulta ha ritenuto infondate le questioni di legittimità sollevate sull’articolo 27, terzo comma, della legge 184/1983 e ha chiarito di quali «rapporti» si parla. A cessare, con l’adozione piena, sono solo i legami giuridico-formali di parentela, non necessariamente quelli di natura socio-affettiva. Sarà il giudice, valutando il singolo caso e considerando esclusivamente il preminente interesse del minore, a stabilire se quel bambino o ragazzo adottato, pur slegato da legami giuridico-formali, potrà mantenere «significative, positive e consolidate relazioni socio-affettive con componenti della famiglia d’origine», come nonni, zii, fratelli, o meno. Proprio in virtù dell’interesse del minore, la Corte ha sottolineato l’importanza dell’ascolto del minore adottato.
In realtà, di fatto, il cavillo costituzionale veniva già aggirato nei Tribunali. Grazie al ricorso all’adozione mite e alle eccezioni previste dall’articolo 44, si è arrivati via via più di frequente a forme di adozione legittimante del minore meno rigide e restrittive rispetto al passato, anche se sempre a discrezione dei giudici e con grande cautela. Con l’adozione mite, per esempio, la famiglia adottiva si impegna a non far perdere i contatti del minore adottato con la sua famiglia d’origine, tutelando così l’interesse del piccolo. Tuttavia, si tratta di un tipo di adozione al quale si può ricorrere in condizioni e situazioni molto particolari, come l’inidoneità di mamma e papà biologici.
Con il verdetto emesso oggi dalla Corte Costituzionale, invece, vengono formalmente riconosciuti dei diritti in più al minore. Il passato del bambino adottato non deve, infatti, venire per forza cancellato definitivamente, se in quel passato c’erano anche componenti della famiglia d’origine che avevano un ruolo positivo nella sua crescita. Emblematico è il caso della relazione tra fratelli e sorelle non adottati dalla stessa coppia, che così possono continuare a frequentarsi. Oppure, potrebbe trattarsi di nonni che non possono prendere in carico il piccolo, perché magari l’adottato deve superare traumi particolarmente gravi, ma possono, in questo modo, mantenere un legame affettivo con lui, qualora il giudice lo ritenga giusto e nel pieno rispetto del preminente interesse del piccolo.
«La tutela dell’identità del minore – si legge nelle motivazioni – si associa al riconoscimento dell’importanza che rivestono, da un lato, la consapevolezza delle proprie radici e, da un altro lato, la possibile continuità delle relazioni socio-affettive con figure che hanno rivestito un ruolo positivo nel suo processo di crescita».