Referente per il bullismo, gruppo di contrasto alla violenza fra studenti, «animatori digitali», team di emergenza. Figure scolastiche che esistono, almeno sulla carta, per depotenziare quel fenomeno giovanile che – dati alla mano – peggiora di anno in anno e che trova nella scuola il suo terreno fertile. Punti di riferimento confezionati con cura negli uffici del Governo, ma che faticano a trovare spazio nella realtà di scuole che già soffrono terribilmente la carenza di personale.
56 studenti su 100 hanno ammesso di non avere idea di chi sia il referente del bullismo nel loro istituto, anzi, non l’hanno mai sentito nominare, nonostante fino all’83% dei docenti intervistati abbia garantito che quel nome – “referente per il bullismo e il cyberbullismo” – fosse uscito almeno una volta dalle loro bocche.
Mentre ci impegniamo a capire se siano gli studenti a non aver ascoltato le parole del professore il primo giorno di lezione, o se la colpa sia degli insegnanti non adeguatamente informati, il bullismo continua a correre fra le aule a una velocità terrificante. Ogni 100 giovani, più di 22 si alzano la mattina e vanno a scuola con la consapevolezza di dover affrontare una giornata di scherni e angherie da parte dei compagni bulli.
Cosa sono il referente e il Team Antibullismo
Nel 2021 sono state aggiornate le Linee di Orientamento per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di bullismo e cyberbullismo nelle scuole, emanate dal Ministero dell’Istruzione nell’ottobre 2017 in ottemperanza alla legge n. 71. Si tratta di una serie di strategie di intervento mirate ad arginare gli episodi di violenza subìti o perpetrati dagli studenti. Il documento ministeriale prevede, per esempio, attività di formazione e sensibilizzazione rivolte sia agli alunni, che agli insegnanti e ai genitori.
È in quel contesto che è stato istituito il referente del bullismo, una figura di riferimento nell’ambiente scolastico che ha il compito di gestire le attività di contrasto al bullismo e al cyberbullismo all’interno della scuola. Ad oggi risultano essere più di 10.000 i docenti referenti iscritti a Elisa, la piattaforma e-learning attivata nel 2018 dal Miur con l’Università di Firenze che offre corsi di formazione ai docenti impegnati nella lotta alle sopraffazioni fra minori a scuola.
Nel 2021 il Ministero dell’Istruzione ha suggerito alle scuole di nominare, oltre a un referente, un «Team Antibullismo» ed, eventualmente, un «Team per l’Emergenza», oppure un «gruppo di lavoro integrato», che si occupino della cosiddetta «prevenzione terziaria o indicata», indirizzata a un’utenza – quella degli studenti – in cui il problema del bullismo è già presente e in stato avanzato.
Il primo, cioè il Team Antibullismo, è idealmente costituito dal Dirigente scolastico (che ne è il coordinatore) e dal docente referente del bullismo e del cyberbullismo, dall’animatore digitale (cioè l’insegnante che guida l’innovazione tecnologica nella scuola) e dal personale qualificato (per esempio, lo psicologo scolastico, il pedagogista e gli operatori socio-sanitari, se presenti). Lo scopo del Team Antibullismo è di coordinare attività di sensibilizzazione e formazione, di raccogliere le segnalazioni di atti di violenza, di gestire i casi critici e scegliere quale intervento attuare (se individuale o se con il coinvolgimento della classe e della famiglia).
Il Team per l’Emergenza, invece, include professionisti specializzati del territorio, per favorire il coinvolgimento di forze dell’ordine, servizi sanitari e strutture educative esterni, laddove sia necessario.
I risultati del 2020-2021
Nonostante nelle disposizioni si raccomandi di «comunicare nella maniera più ampia all’interno della comunità educante i nominativi del/dei referente/i scolastici o dell’eventuale Team per l’Emergenza», dal monitoraggio ministeriale condotto nell’anno scolastico 2020-2021 è emerso che più della metà degli studenti non ha mai sentito nominare la figura del referente del bullismo e del cyberbullismo e, quindi, non sa della sua esistenza.
Un risultato che non ci meraviglia, se consideriamo che il 9% dei docenti ha addirittura risposto di non conoscere le Linee di Orientamento confezionate dal Governo per lottare contro il bullismo fra i banchi di scuola. E appena un decimo di loro assicura di conoscerle nel dettaglio, mentre il restante – e ben più sostanzioso – 79,5% confessa di non conoscerle approfonditamente.
Eppure, il monitoraggio condotto dal Miur all’interno del progetto Elisa, sottolinea che gli studenti delle superiori che subiscono e soffrono di bullismo sono il 22,3% del totale. Una percentuale inquietante, che, peraltro, non include chi, di fronte al questionario, non ha avuto il coraggio di ammettere le violenze subite.
E anche se da sei anni a questa parte esisterebbe, nelle culle dell’istruzione d’Italia, una figura inventata da zero appositamente per controllare il fenomeno delle sopraffazioni fra i più giovani, la prima risposta al bullismo continua a essere la punizione. Gli studenti che hanno partecipato al questionario, infatti, hanno sentenziato che la strada maestra adottata dai professori per intervenire di fronte a episodi di bullismo in classe è quella delle sanzioni disciplinari, dei tre sul registro, della nota sul libretto. In alternativa, i docenti procedono con il supporto alla vittima oppure con la mediazione. Meno frequente è la discussione di gruppo.
Le misure anti-bulli funzionano?
Al di là dei risultati del monitoraggio ministeriale – a cui hanno aderito il 25,7% delle scuole superiori e il 21% delle scuole elementari e medie d’Italia – è innegabile che qualcosa, rispetto al passato, si stia muovendo.
Il primo passo per affrontare e risolvere un brutale fenomeno sociale – nel nostro caso, quello di bullismo e cyberbullismo – è ammetterne l’esistenza. E le istituzioni governative, così come la Scuola, oggi hanno indubbiamente riconosciuto il problema, raggiungendo negli anni una consapevolezza imprescindibile per impegnarsi sul fronte della lotta al bullismo.
Le perplessità, se mai, riguardano le modalità adottate per contrastare il fenomeno. Alla luce dei sondaggi, ci accorgiamo che le iniziative su carta faticano a tradursi in realtà. È grave che il 56% degli studenti non sappia dell’esistenza di una figura concepita e ideata per aiutarli.
Tra l’altro, quella consapevolezza dell’entità del bullismo raggiunta dagli adulti, non è stata evidentemente trasmessa ai giovani: se il 22,3% degli studenti della Secondaria intervistati ha rivelato di aver subìto episodi di bullismo, solo il 18,2% di loro ha ammesso di essere un bullo o un ex bullo. La discrepanza fra i due numeri ci dice che la percezione della realtà cambia da vittima a prevaricatore: quasi il 4% degli studenti non è consapevole di essere un bullo e di urtare la sensibilità di un compagno con i propri atteggiamenti. Più persone, insomma, si ritengono vittime di violenza, rispetto a quelle che si rendono conto di provocarla.
Ecco perché è essenziale parlarne, spiegare che il bullismo non è solo una violenza di pugni e percosse, ma che anche un gesto o una parola che a noi non suona offensiva, potrebbe ferire l’altro, fino a danneggiarlo nel profondo. L’arma più efficace che abbiamo è parlare ai giovani, alle famiglie, a chi li educa, perché l’unico mezzo comunicativo che – se saggiamente domato – sovrasta la violenza è la parola.
Per finire, resta lo zoccolo duro, costituito da quel 18,2% di studenti che, pur sapendo di sbagliare, sbaglia. In questo caso, la coscienza di agire nel male è un’aggravante. Sono giovani già consapevoli dell’errore, che, quindi, vanno ascoltati, accompagnati e salvati.