Superato il turno dei “terribili due”, si prospetta per i genitori un inaspettato round in cui tornare a combattere: quello dei “threenager”. L’Urban Dictionary, il dizionario online che raccoglie neologismi e slang della lingua inglese, definisce un “threenager” come un «bambino di 3 anni che si comporta come un adolescente viziato». L’esempio di utilizzo restituisce un’immagine chiara di quello che il termine designa: «Mia figlia è appena uscita di casa con vestiti spaiati /macchiati e 17 braccialetti perché è una threenager e ho sfide più importanti da affrontare». Si tratta quindi di una fase dello sviluppo che coincide con i 3 anni di età del piccolo, caratterizzata da manifestazioni di rabbia, frustrazione, irrazionalità, aggressività, impertinenza, da capricci e atteggiamenti dispotici e provocatori, che ricordano quelli di un adolescente in piena crisi ormonale.
Chi sono i threenager
Il termine “threenager", come è intuibile, nasce dalla commistione dei due vocaboli inglesi “three”, cioè «tre», e “teenager”, cioè «adolescente». L’anglicismo viene utilizzato per indicare quei bambini che a 3 anni si dimostrano impertinenti, provocatori e petulanti come degli adolescenti.
Lo psicologo James Dobson nel libro The Strong-Willed Child definisce tale fase una «prima adolescenza». Se la pazienza dei genitori ha superato indenne i “no”, i morsi e la lotta territoriale dei “terrible two”, capita che venga nuovamente minata alla soglia dei 3 anni, quando si affaccia l’ipotesi di scoprire di avere in casa un threenager. Non c’è due senza tre, quindi, nel vero senso della parola.
Come riconoscere un threenager
I threenager sono bambini di 3 anni che appaiono ribelli, aggressivi e petulanti. Accade perché sono attraversati da emozioni intense e stanno iniziando ad esprimerle, anche se a volte ne sono sopraffatti. Vediamo quali sono i “sintomi” che rendono riconoscibile un “threenager” (che, ricordiamo, è esclusivamente un’etichetta convenzionale):
- Pongono continuamente domande agli adulti e chiedono ripetutamente il “perché” di quello che accade o che vedono intorno a loro perché stanno cercando di comprendere il mondo
- Rifiutano il sonnellino pomeridiano
- Vivono un conflitto interiore, quello tra il desiderio di indipendenza e di scoperta e il bisogno di conforto e sicurezza che trovano nel genitore
- Continuano a rispondere di “no” alle richieste del genitore
- Pretendono di vestirsi come vogliono (generalmente in modo alquanto bizzarro, magari direttamente con il costume di Carnevale o accostando colori improbabili)
- Sono irascibili e protestano per qualsiasi cosa gli venga proposta
- Combinano guai, anche se li si lascia soli due minuti
- Manifestano emozioni estreme, passando dalla dolcezza e devozione al genitore più assoluta fino alla rabbia e violenza nei minuti di crisi
Quanto dura la fase “threenager”
Non esistono indicazioni univoche sulla durata della fase dei threenager. A volte non si palesa, mentre diversi bambini manifestano atteggiamenti ribelli, convenzionalmente definiti “da threenager”, per qualche mese o fino ai 4-5 anni. È verso i 4-5 anni d’età infatti che i piccoli sviluppano capacità esecutive come l’autocontrollo e la concentrazione.
Come gestire la crisi del threenager
Se l’espressione “terribili due” è ormai entrata nel linguaggio comune, meno utilizzato è l’anglicismo “threenager” dagli adulti, che si trovano impreparati davanti ai frequenti capricci e agli atti di ribellione dei figli e temono di essere gli unici. In realtà sono parecchi i papà e le mamme spiazzati dalla fase dei “threenager”. Esistono tuttavia dei consigli per i genitori per mitigarla:
Rispondere alle domande del bambino
A volte gli adulti, stanchi e annoiati dai continui “perché” del figlio, rispondono: “perché è così”. È invece essenziale spiegare correttamente quello che il figlio chiede, “abbassarsi” al suo livello, avere la pazienza di fermarsi e illustrargli il “perché” di quella cosa.
Evitare di trascurare i propri bisogni
Se il piccolo è impegnativo e gestirlo richiede tante energie, la soluzione non è lasciarsi prosciugare dalle sue esigenze e privarsi di hobby o del tempo da dedicare a sé per rivolgerlo esclusivamente a lui. Anzi, solo ricaricando le pile, dormendo a sufficienza, mangiando in modo salutare e ritagliandosi dei momenti per se stesso il genitore avrà le forze per curarsi del figlio.
Insegnare al bambino l’autocontrollo
È utile insegnare al bambino l’autocontrollo e ad aspettare il proprio turno mentre gioca. Quando desidera impazientemente qualcosa, ad esempio guardare la tv, un’ottima idea è utilizzare un timer per spiegargli il valore dell’attesa: l’adulto imposta il timer di 20 minuti e gli spiega “La tv la guarderemo tra venti minuti”.
Rispettare una routine ben definita
Avere degli orari fissi e programmi definiti aiuta il piccolo a vivere con tranquillità la giornata. Ha senso concentrare, se possibile, al mattino le attività che lo annoiano, come la spesa al supermercato
Coinvolgere il bambino nelle attività da adulto
Coinvolgere il figlio nelle attività da grandi, come sparecchiare o spazzare il pavimento, è un’ottima idea per stimolarlo. Al piccolo piacerà sperimentare il suo senso di indipendenza, anche se magari non porterà a termine in modo efficiente la mansione assegnata.
Evitare reazioni spropositate
Se l’adulto è sotto pressione e sull’orlo di una crisi di nervi dinanzi all’ennesima protesta del figlio, è preferibile mettere in atto delle tecniche di rilassamento o comunque trovare un modo per scaricare la tensione (come respirare profondamente o uscire un attimo, se il piccolo è sorvegliato). Dopodiché ha senso “riconnettersi” emotivamente con lui per trasmettergli il concetto che anche se il genitore si arrabbia lui sarà comunque amato.
Secondo uno studio pubblicato nel 2022 su Biological Psychiatry, infatti, la reazione dura e violenta del genitore nei confronti del figlio, con punizioni severe e critiche continue, rischia di produrre l’effetto opposto, e quindi di determinare comportamenti provocatori nel piccolo.
Comprendere il “perché” delle sue reazioni
A volte il genitore si concentra più sull’azione che sulle emozioni che l’hanno innescata. È utile ad esempio capire perché un figlio abbia picchiato il fratello per insegnargli a gestire e a comprendere le sue emozioni. Ha senso pure aiutarlo a descrivere quello che prova e le emozioni che lo attraversano con le sue parole.
Lasciarlo giocare
È fondamentale che a 3 anni il piccolo abbia modo, tempo e spazio per giocare e sprigionare la sua fantasia e la sua creatività. Il gioco creativo gli permette di esprimersi, di esplorare e di sfogarsi.
Accertarsi che non sia sovrastimolato
A volte il piccolo diventa rapidamente nervoso e irritabile perché è esposto a tanti stimoli. Ha senso quindi prestare attenzione all’ambiente che lo circonda, ai livelli di rumore, alle luci intense, al tempo trascorso davanti allo schermo, alle modalità di sonno.