Le microplastiche, residui di sacchetti e bottiglie di plastica, sono state trovate perfino nella placenta umana, l’organo deciduo che si sviluppa insieme al feto nell’utero durante la gravidanza. È il risultato di un recente studio condotto dall’Università del New Mexico – Health Sciences che allarma ulteriormente gli esperti per il potenziale impatto dei contaminanti sulla salute dei nascituri all’interno del grembo materno. Appena qualche mese fa, nel corso di una ricerca italiana, erano state rintracciate sostanze chimiche nel latte materno e nella pipì dei neonati.
Arriva dagli Stati Uniti la notizia della presenza di sostanze chimiche nella placenta, un organo temporaneo, che nasce, si sviluppa ed esaurisce la sua funzione con la gravidanza, nel giro di otto mesi. Ad evidenziarlo è stato uno studio pubblicato lo scorso 17 febbraio sulla rivista scientifica Toxicological Sciences da un gruppo di ricerca del dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università del New Mexico. Le microplastiche, peraltro, sono state rilevate in ognuno dei 62 campioni di placenta analizzati, con concentrazioni che vanno dai 6,5 ai 790 microgrammi per grammo di tessuto.
I ricercatori hanno scoperto che il polimero più diffuso nel tessuto placentare era il polietilene, utilizzato per realizzare sacchetti e bottiglie di plastica (54%). Il cloruro di polivinile (meglio noto come PVC) e il nylon rappresentavano ciascuno circa il 10% del totale della plastica, mentre il resto era costituito da altri nove polimeri.
Secondo il professore Matthw Campen, che ha guidato il team di ricerca, la presenza di contaminanti nel tessuto placentare è allarmante perché la placenta cresce in pochi mesi, mentre «in altri organi del corpo [le microplastiche] si accumulano in periodi di tempo molto più lunghi».
Le sostanze chimiche presenti nei tessuti umani non derivano esclusivamente dai prodotti alimentari che si acquistano al supermercato e si consumano a tavola, ma anche dall’aria che si respira. Il materiale di plastica inizia a deteriorarsi in discarica a causa delle radiazioni ultraviolette presenti nella luce solare, finisce nelle acque sotterranee e a volte si disperde nell'aria, diffondendosi nell’ambiente, dove colpisce gli uomini, come gli animali e le piante.
L’impatto delle particelle sulla salute non è ancora chiaro, anche se Campen ha dichiarato che la crescente concentrazione di microplastiche nei tessuti umani potrebbe spiegare l’evidente aumento di alcuni tipi di problemi di salute, come le malattie infiammatorie intestinali e il cancro al colon nelle persone sotto i 50 anni, nonché il calo del numero di spermatozoi. «Se vediamo effetti sulla placenta, allora tutta la vita dei mammiferi su questo pianeta potrebbe esserne influenzata – ha spiegato Campen –. Questo non è buono».
Le microplastiche erano già state rilevate una prima volta nelle placente umane nel 2020, nei campioni di quattro donne sane che hanno avuto gravidanze e parti nella norma in Italia. E lo scorso novembre nel corso del concreto della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP) a Bologna erano stati illustrati i primi risultati di uno studio italiano ancora in atto, “Life Milch”, in cui erano stati rintracciate microplastiche nel latte materno e nelle urine dei neonati. In quell’occasione, gli specialisti avevano sottolineato i rischi derivanti dall’esposizione delle mamme durante la gravidanza e l’allattamento alle sostanze tossiche, che rischiano di aumentare il rischio di obesità, pubertà precoce, diabete, disturbi neurocomportamentali durante l’infanzia. Come prevenirli o, almeno, ridurli? Attuando accortezze in più, come limitare l’uso di plastica monouso, di contenitori di plastica per conservare e scaldare i cibi e di biberon non certificati, prediligere un abbigliamento con tessuti naturali e utilizzare prodotti naturali per l’igiene personale.