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13 Maggio 2023
15:30

Valentina, mamma dopo una diagnosi di tumore al seno in gravidanza: «La forza l’ho trovata nei medici. La ricerca ha salvato me e mia figlia»

È stata una cura sperimentale italiana, oggi pratica clinica, a restituire alle pazienti malate di cancro al seno la speranza di avere un figlio. La ricercatrice Airc Del Mastro a Wamily: «Grazie all'attività di ricerca oggi molte donne possono diventare mamme». Ne è un esempio Valentina Robino, che ha ricevuto la diagnosi di tumore alla mammella in dolce attesa.

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Valentina, mamma dopo una diagnosi di tumore al seno in gravidanza: «La forza l’ho trovata nei medici. La ricerca ha salvato me e mia figlia»
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Valentina Robino, ex paziente oncologica, con i figli Matteo e Anna, nata durante la malattia

«Il momento più emozionante? Quando nasce il figlio di un’ex paziente oncologica. Ci sentiamo un po' delle cicogne, che hanno in parte contribuito alla nascita di quel piccolo. Ci ripaga degli sforzi e del tempo dedicato alla ricerca». A raccontarcelo è un’eccellenza italiana, Lucia Del Mastro, Professoressa Ordinaria di oncologia medica all’Università di Genova, ricercatrice Airc e Coordinatrice di Breast Unit presso l’Ospedale Policlinico San Martino di Genova, che, grazie al suo lavoro di ricerca sul cancro al seno, il tumore più diffuso in Italia, ha offerto alle donne che scoprono di avere il tumore alla mammella un’opportunità ineguagliabile: quella di diventare un giorno mamme, nonostante il male e le cure affrontati. La pionieristica ricerca della dott.ssa Del Mastro e della sua squadra, che oggi è riconosciuta a livello internazionale, ha permesso anche alle mamme in gravidanza di sottoporsi alle cure di chemioterapia senza rischi per sé e per il nascituro. Una di loro è Valentina Robino, a cui nel 2009 fu diagnosticato un tumore alla mammella quando era incinta della sua seconda figlia, Anna. Dopo un calvario di visite, un intervento e cicli di chemioterapie in dolce attesa, Valentina, grazie alle terapie allora sperimentali della dott.ssa Del Mastro, ha sconfitto il male, tenendo fra le braccia la piccola Anna.

«A convincermi ad affrontare la chemioterapia in dolce attesa è stata la paura di lasciare un figlio di 1 anno e 4 mesi e una che sarebbe stata neonata, di non vederli crescere, di non scoprire le persone che sarebbero diventati, di non assistere alle loro gioie, alla loro vita. – rivela a Wamily Valentina, a tredici anni di distanza da quel brutto male che oggi è diventato un ricordo – Grazie alla professionalità e alle rassicurazioni della dott.ssa Del Mastro e dei medici, sentivo che la piccola in grembo cresceva in sicurezza e che io potevo intraprendere un percorso sicuro per la mia guarigione».

La storia di Valentina: il cancro in gravidanza, dalla diagnosi alla cura

Era agosto 2009 e Valentina si trovava in vacanza con il figlio di poco più di un anno, Matteo, quando, insaponandosi in doccia, si accorge di un nodulo al seno. Subito scatta in lei un sospetto e decide di rientrare immediatamente a Genova per un controllo in un centro diagnostico. Dopo l’ecografia, il medico la rassicura: «Mi ha detto che non era nulla, di stare tranquilla e di non pensarci più» racconta Valentina. Qualche giorno dopo arriva la lieta notizia: mamma Valentina è di nuovo incinta. La vita familiare procede a gonfie vele, fra l’acquisto di una tutina rosa e la scelta del nome della creatura in arrivo, fino al 23 dicembre, quando Valentina, infastidita dalle dimensioni di quel nodulo al seno che nel frattempo aveva continuato a crescere, si sottopone a una seconda visita dalla sua ginecologa. «La faccia della dott.ssa quando ha esaminato il nodulo non la potrò mai dimenticare… Mi mandò d’urgenza dal primario di senologia dell’Istituto Scientifico Tumori». Nel giorno della vigilia di Natale, come una doccia fredda, il medico comunica a Valentina che probabilmente non si trattava di un innocuo nodulo, ma di cancro al seno. Per giunta, gravissimo: dalla biopsia risulta essere un tumore triplo negativo con un indice di proliferazione al 93%.

«È stato un momento durissimo e amaro, – racconta Valentina – la forza l’ho trovata nei medici». Dopo l’operazione, la dott.ssa Del Mastro spiega personalmente a Valentina che, insieme al suo team di ricerca, aveva messo a punto un protocollo di cure per sottoporre donne incinte, come lei, alla chemioterapia, senza effetti collaterali sulla mamma e sul feto. Una soluzione alternativa rispetto al parto anticipato (che avrebbe comportato un pericolo per la neonata) e rispetto al rischioso rinvio del trattamento terapeutico a dopo la nascita. Così, il 18 gennaio Valentina inizia la chemioterapia. «Mi sono sottoposta a due cicli di chemio in gravidanza con protocollo speciale, – ricorda – l’infusione con una pompa durava 48 ore, era molto lenta per evitare accumuli tossici su di me e sulla piccola». E il 4 marzo 2010 nasce, a 34 settimane, la tenera Anna con un parto cesareo. «Ricordo comunque quel periodo con gioia – ammette Valentina – Anna è stata in incubatrice dieci giorni prima di tornare a casa, mentre io tre giorni dopo il parto ho ricominciato i cicli di chemio che mi rimanevano, dopodiché ho affrontato la radioterapia». «Se la chemioterapia viene iniziata dopo la 13esima settimana di gestazione, quando gli organi si sono formati – ci spiega la Prof.ssa Del Mastro, ricordando l’esperienza dell’ex paziente Valentina – non aumenta il rischio di malformazioni. Chiaramente, il trattamento è da eseguire con accortezza, utilizzando solo specifici farmaci ed evitando alcune terapie biologiche che potrebbero avere effetti negativi sul feto». Ad agosto il calvario si conclude ed arriva la notizia sperata: Valentina è di nuovo in salute.

La diagnosi di tumore in dolce attesa non ha spento l’entusiasmo di Valentina per la gravidanza. Anzi, l’ha rafforzato. «A volte la diagnosi di tumore è un buco nero che ti ciuccia le energie, invece io, quando l'ho ricevuta, stavo vivendo un momento di gioia, la nascita di mia figlia, ed ero più concentrata sulla maternità che sul resto, perciò ho vissuto la gravidanza ancora di più come un dono. Riuscire a portare avanti la gestazione in una malattia, curarmi, dare alla luce una figlia sana è stato un dono, e mi reputo fortunatissima». Mamma Valentina ha raccontato la travagliata esperienza ai figli, Matteo e Anna, che ormai hanno 15 e 13 anni. «Matteo ha qualche ricordo di me malata e quando è cresciuto mi ha chiesto: “Mamma, perché eri senza capelli?". Io gli ho spiegato che quando aspettavo la sorellina mi ero ammalata, ma che avevo trovato dei medici bravissimi che mi hanno curata con delle medicine speciali, che mi avevano fatto perdere i capelli».

Le terapie all’avanguardia che restituiscono speranza alle mamme e a chi vuole diventarlo

Nel 2022 sono stati 55.700 i tumori della mammella diagnosticati nel nostro Paese, un numero spropositato che rende il cancro al seno il tumore più diffuso nel nostro Paese e il più comune tra le donne sotto i 40 anni d’età, seguito dal tumore della tiroide e del melanoma. «Bisogna curare non solo il tumore, ma anche la persona con il tumore – commenta la Prof.ssa Del Mastro – per fare in modo che queste donne non solo guariscano dal cancro, ma anche che, dopo essere guarite, possano avere le stesse possibilità e prospettive di vita di coloro che di cancro non si sono mai ammalate». Ecco perché ai primi anni Duemila la Prof.ssa Del Mastro e la squadra di medici e ricercatori Airc ha avviato uno studio sperimentale sulla preservazione della fertilità in caso di cancro al seno, una ricerca formidabile che oggi, grazie al loro prezioso lavoro, è diventata una pratica clinica utilizzata in Italia e nel mondo. «Comunicare a una giovane una diagnosi di cancro ha un grosso impatto psicologico, ma restituiamo speranza quando spieghiamo loro che esistono delle strategie per preservare la fertilità e immaginare un futuro di figli e maternità. Quello che stanno attraversando è una parentesi che si è aperta ma che può chiudersi, senza togliere loro la possibilità di costruirsi una famiglia».

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La Prof.ssa e ricercatrice Airc Lucia Del Mastro

Prima della ricerca italiana, le donne con una diagnosi di cancro al seno si sottoponevano alla chemioterapia senza protezione e, di conseguenza, circa 1 su 4 di loro andava incontro a menopausa precoce. Nei primi anni Duemila è iniziata la sperimentazione italiana, che oggi è riconosciuta a livello internazionale e permette alle donne che vogliono preservare la loro funzione ovarica di non rinunciare alla maternità, nonostante i trattamenti oncologici subìti, o, addirittura, di sottoporsi a cicli di chemioterapia in gravidanza. «Nello studio, finanziato dall’Airc, abbiamo indagato se attraverso la somministrazione del nostro farmaco, che mette le ovaie in una condizione di quiescenza (cioè le blocca), fosse possibile ridurre la tossicità della chemioterapia a livello delle ovaie durante la cura, e i risultati ci hanno dato ragione». A metà donne fu somministrato il farmaco, mentre l’altra metà fu sottoposta alla chemioterapia seguendo il trattamento standard per l’epoca. Alla fine risultò che quel farmaco aveva ridotto in maniera sostanziale la percentuale di donne che andava incontro alla menopausa precoce come conseguenza della chemioterapia, incrementando la possibilità di avere un gravidanza dopo il trattamento terapeutico.

La prima regola per combattere il tumore alla mammella, comunque, è la prevenzione. «Per quanto riguarda la popolazione generale, escludendo chi appartiene a famiglie con un’aumentata incidenza di tumore al seno, è fondamentale sottoporsi alla mammografia di screening a partire dai 45 anni in assenza di sintomi per la diagnosi precoce» sottolinea la Prof.ssa Del Mestro. La palpazione e l’osservazione del seno aiutano: i campanelli d’allarme che dovrebbero indurre una donna a sottoporsi a una visita sono l’arrossamento della cute, la modifica della forma della mammella, la retrazione del capezzolo e la presenza di noduli a livello di mammella o ascella.

La ricerca sul cancro al seno non termina qui. «Oggi stiamo portando avanti un progetto che ha l’obiettivo di caratterizzare dal punto di vista della biopsia liquida i tumori mammari a biologia più sfavorevole, che sono i tumori triplo negativi. – ci spiega la dott.ssa Del Mastro – Stiamo valutando se con un semplice prelievo è possibile prelevare materiale biologico nel sangue periferico, capire quali sono le cellule che metastatizzano, quali caratteristiche hanno e trovare nuovi bersagli terapeutici». Si tratta di un altro studio finanziato da Airc, la Fondazione che, in occasione della Festa della Mamma 2023, porta le azalee nelle piazze d’Italia, come ogni anno in primavera, per sostenere i ricercatori impegnati a trovare diagnosi sempre più precoci e terapie più efficaci per i tumori che colpiscono le donne. «È grazie all’attività di ricerca – conclude Del Mestro – se molte donne oggi possono diventare mamme».

Le informazioni fornite su www.wamily.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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