L’errore, in tutte le sue forme, ha un valore inestimabile per la crescita di un bambino, anche se sin da piccoli veniamo abituati a cancellarlo o anticiparlo per evitare imbarazzi. Questo accade molto spesso durante i primi anni di vita, quando i genitori tendono a sostituirsi al bambino, completando al suo posto l’azione che era in procinto di compiere: il bimbo sta per usare un bicchiere? Meglio intervenire subito e versargli l’acqua prima di rovesciare tutto per terra!
Un altro atteggiamento ricorrente è poi quello di correggere un comportamento ancora prima che questo venga compiuto.
«Quando un bambino prova a tagliare un frutto o un pezzo di verdura, normalmente viene fermato o gli viene impedito di maneggiare il coltello. Invece, dopo i due anni e mezzo, è bene introdurre i coltelli e mostrargli come usarli, così come gli si può far vedere come rifare il letto, come usare una scopa o usare un bicchiere. Mettere il bambino nelle condizioni di far qualcosa è un punto fondamentale della sua crescita».
A parlarcene è Elena Ravazzolo, neuropedagogista e membro del comitato scientifico dell’APP (Associazione Professioni Pedagogiche), che proprio per aiutare le mamme e i papà a favorire uno sviluppo sano e autonomo del bambino introduce la figura del “genitore di sicurezza”, un adulto che si mette di fianco al bambino e, pur rimanendo vigile affinché la situazione non sfugga di mano, si limita a guidarlo con le parole, senza però risultare impositivo.
«Rimanendo all’esempio del coltello, il genitore di sicurezza non esclama “Fermo!” o “Attento!”, ma suggerisce al piccolo di prendere il coltello dalla parte del manico e di usare il palmo dell'altra mano per spingere la lama dentro l’oggetto da tagliare, in modo che le dita non siano mai sotto la parte affilata. E se le cose vanno male e il tentativo non riesce? Il genitore non porta a termine il compito al posto del bambino, ma lo invita a riprovarci».
La fiducia come salvagente educativo
Un simile approccio, se adottato fin dai primi mesi di vita del bambini, porta il grande vantaggio di educare il bambino all’ascolto, elemento indispensabile per sviluppare un rapporto di fiducia tra il genitore e un figlio che crescerà consapevole di poter tentare nuove esperienze, senza il timore costante di rimbrotti o sguardi severi.
Ciò implica anche un impatto positivo sull’autostima. Se un bambino inizia a legare ogni accadimento ad un rimprovero, il piccolo si sente bloccato, frenato, ingabbiato, il che rischia di fomentare reazioni di rabbia o, al contrario, portare ad uno spegnimento degli stimoli e della curiosità di esplorare il mondo. Il bambino che “dove lo metti sta” è tanto preoccupante quanto quello esagitato.
Correggere l’errore? Sì, ma con rispetto
Finora abbiamo parlato del prima, ma come dobbiamo comportarci quando il bambino commette effettivamente un errore o assume un atteggiamento negativo? Semplicemente mantenendo ben salda la rotta e – armandoci di tanta, tantissima pazienza – continuare a costruire un rapporto basato sul rispetto reciproco.
«Facciamo finta che il bambino si metta a giocare con la farina e combini un macello per tutta la cucina – spiega Ravazzolo – La prima reazione sarà quella di urla e stridore di denti, ma la scelta migliore sarebbe fare non uno, ma mille respiri, e poi porsi in un confronto costruttivo col piccolo: “Quella farina – si potrebbe dire – serviva per fare un torta. Non hai fatto una gran cosa, ora puliamo insieme per tutto il tempo che ci vorrà”».
Dobbiamo ricordarci che il bambino non fa marachelle per dispetto, ma perché non ha esperienze pregresse e non conosce le conseguenze delle proprie azioni: per lui ogni errore è in realtà una grande scoperta. Pertanto, dopo aver spiegato i motivi per cui una determinata cosa non vada fatta, il passo successivo può essere dare al piccolo gli strumenti necessari per riprovare la stessa attività che prima è degenerata in un guaio, ma in un ambiente controllato dove non può ferirsi o fare danni.
«Tornando all’esempio del disastro in cucina, si potrebbe mettere a disposizione una vaschetta con un po’ di farina, qualche contenitore e una spugnetta per pulire appena la farina cade sul pavimento o sul tavolo di lavoro. Questo è un modo con cui giocare senza rimettere a soqquadro la stanza».
Urlare non educa
Se aggrediamo un bambino alzando la voce o ponendoci con veemenza, quest’ultimo assocerà le proprie curiosità a emozioni ed esperienze negative dalle quali, in futuro, cercherà naturalmente di fuggire. La paura però non crea né apprendimento, né educazione.
Legando emozioni positive ai tentativi d’interagire con il mondo, invece, il bambino saprà di poter chiamare mamma o papà ogni volta che vorrà provare una cosa nuova. Ciò ovviamente accadrà solo dopo i due/tre anni, ma quando avrà respirato accoglienza e comprensione per la propria “fame” di scoperta, allora sarà sempre più spronato a chiedere di poter fare qualcosa in sicurezza, permettendo al genitore di allentare il proprio controllo. E lo stesso avviene anche a scuola…
L’errore a scuola, tra insicurezze e penne rosse
Troppo spesso noi adulti diamo per scontato l’entità del cambiamento che l’ingresso nel mondo della scuola impone ad un bambino. Proviamo a pensarci: all’improvviso, dopo anni passati a saltare, correre e giocare, un bimbo di 6 anni viene messi dietro ad un banco e, come se non bastasse, gli si dice di stare zitto e concentrato per ore, senza la possibilità di alzarsi o sgranchirsi le gambe se non all’interno di orari prestabiliti. Un bel cambiamento, non vi pare?
«Con l’inizio delle elementari, il corpo che i bimbi usavano ogni giorno per tutto il giorno, viene dimenticato – afferma Ravazzolo – A scuola ci si scorda che l’apprendimento passa anche dai movimenti che stimolano il cervello, ma nonostante questo si pretende che i bambini rimangano sempre attenti e, soprattutto, non commettano errori».
Ogni allievo però, prima o poi, sbaglia una lettera, un verbo o un’operazione, e quando succede, ecco che sui quaderni compaiono correzioni, faccine e segni di penna rosso fuoco che risaltano sul foglio come indelebili marchi d’ignominia. Eppure, anche quando i bambini imparano le lettere dell’alfabeto – attività che ogni adulto considera semplice e quasi automatica – in realtà stanno apprendendo qualcosa di mai visto prima e che richiede molto impegno. Se dunque sottolineiamo con durezza ogni imperfezione, finiamo immancabilmente per svilire il loro grande sforzo, anche se il nostro intento era quello di spingerli a fare meglio.
Ma allora non si devono mai far notare gli errori? Assolutamente no, l’errore deve essere notificato e corretto, ma può cambiare il modo in cui ciò viene fatto. Uno strumento giusto per questi casi può essere, per esempio, l’ironia: “Queste A sono un po’ schiacciate, che abbiano preso dei punti? E queste B sono un po’ storte, forse c’era del vento in classe…”
Rivolgendosi in questa maniera ad un allievo che ha scritto delle lettere un po’ sgangherate lo porteremo a ridere, capire i propri errori con più leggerezza e dunque auto-correggersi, spiega la pedagogista, la quale ricorda anche l’importanza di potenziare l’apprendimento attraverso il gioco: «Anche nei brevi tratti di strada tra casa e il supermercato, il genitore può proporre ai figli dei giochi con le parole per aiutarli a prendere confidenza con sillabe, suoni e lettere».
Educare con rispetto significa darle tutte vinte?
Chi critica un approccio basato sul rispetto, non tiene in considerazione il fatto che l’educazione non serve a “inquadrare un bambino” qui ed ora, ma a formare un adulto per la vita. Se abituiamo un ragazzo ad essere svalutato e sminuito, avremo un adulto che faticherà a togliersi di dosso tutto questo e non sarà curioso. L’obiettivo è l’uomo di domani, non il piccolo di oggi.
Educare nel rispetto poi, non significa mica farle passare tutte lisce, ma evitare di umiliare qualcuno quando sbaglia qualcosa durante i primi tentativi. Che ci piaccia o no, ricorrere alla punizione significa non avere più capacità educativa e constatare la rottura del rapporto di fiducia tra adulto e bambino. Meglio dunque lavorare sul prima, per far sì che l’impianto educativo sia abbastanza forte da reggere gli urti, i litigi e i conflitti che durante la crescita non verranno certo a mancare.