La ventosa ostetrica è uno strumento utilizzato durante parti complicati per favorire o accelerare la nascita del piccolo ed evitare un taglio cesareo ad alto rischio o un aggravamento delle condizioni del feto. Si tratta, di fatto, di una piccola campana in plastica collegata a un sistema di vuoto e inserita nella vagina della mamma: aderendo alla testa del neonato, ne facilita la fuoriuscita. In Italia oggi viene usata in media nel 4-5% dei parti, anche se la ventosa ostetrica è comunque preferita rispetto al forcipe, lo strumento metallico a forma di pinza posizionabile intorno alla testa del feto, come riporta la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia. Il parto operativo (quello cioè che utilizza la ventosa ostetrica) comporta comunque dei rischi per la mamma e per il nascituro: per questo motivo deve essere eseguito solo se esiste un’indicazione appropriata e se il rapporto benefici/rischi è favorevole all'utilizzo della ventosa rispetto all'esecuzione di un taglio cesareo.
Quando si usa la ventosa nel parto
La ventosa ostetrica viene utilizzata dagli operatori sanitari in sala parto per aiutare l'uscita del neonato quando questo non esce da solo. Nello specifico, può essere utilizzata, come riporta il Manuale MSD, in caso di:
- Alterazioni del battito cardiaco fetale
- Travaglio prolungato (arresto del secondo stadio del travaglio)
- Esaurimento delle forze materne
- Presenza di un disturbo nella donna che rende controindicato un periodo espulsivo prolungato
Il ricorso alla ventosa è un'opzione valutabile dal personale medico, anche se nessuna di quelle indicazioni è assoluta perché la possibilità del parto cesareo è sempre disponibile.
Parto in acqua: benefici e rischi per mamma e bambino
In gergo tecnico, la pratica viene chiamata “vacuum extraction” o "vacuum assisted vaginal delivery", cioè "parto vaginale sotto vuoto". Durante il travaglio, se la nascita del neonato è rallentata, in alcuni casi il personale sanitario opta per l’uso della ventosa ostetrica. Si tratta di una tazza o una campana di plastica che da un lato è attaccata a un sistema di vuoto, mentre dall’altro aderisce, grazie allo stesso, alla testa del piccolo. Durante la contrazione e con l’aiuto della spinta, il ginecologo tira delicatamente per favorire il parto (che prende il nome di “assisted birth”, cioè “parto operativo”, o “instrumental delivery”, “parto strumentale”). Se la procedura non funziona, si ricorre al parto cesareo, quindi all’intervento chirurgico.
La Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) dichiara che il ricorso alla ventosa ostetrica «in alternativa ad un taglio cesareo riduce il rischio di complicanze materne e permette l’estrazione del feto in tempi più rapidi».
Quando non si deve usare
Esistono delle chiare indicazioni sull’utilizzo della ventosa ostetrica in sala parto. Secondo quanto indicato dalla SIGO, il ricorso alla ventosa va evitato in caso di:
- Epoca gestazionale inferiore alle 32 settimane di gravidanza
- Dilatazione cervicale non completa
- Parte presentata del feto non impegnata e non di vertice
- Patologie fetali associate a un maggior rischio di fratture craniche o di emorragia
Quali sono i rischi per il neonato
Il ricorso alla ventosa comporta dei rischi soprattutto per il neonato, ma anche per la gestante. Nel caso del bambino, i pericoli, possono essere:
- Ematomi sul cranio
- Emorragia retinica fetale
- Distocia di spalla (dopo la fuoriuscita della testa non escono le spalle) con i vari rischi connessi
- Ittero
Quali sono i rischi per la mamma
Per la mamma, invece, i rischi sono legati a:
- Lacerazione (cucita con punti solubili) vaginale di 3° o 4° grado (che coinvolge il muscolo o la parete dell’ano e del retto)
- Maggiore rischio di trombosi venosa
- Maggiore rischio di incontinenza fecale o urinaria
In ogni caso, la ventosa deve essere utilizzata solo se esiste un’indicazione appropriata.